giovedì 25 marzo 2010

25 marzo 1945. Napoli milionaria!

Il 25 marzo 1945 Eduardo, con la sua nuova compagnia "Il Teatro di Eduardo con Titina De Filippo", aveva ottenuto per un'unica rappresentazione, il cui ricavato era a favore dei bambini poveri della città, il teatro San Carlo di Napoli. Con la guerra finita da pochi mesi, Eduardo portò in scena Napoli milionaria!, scritta probabilmente tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945. Eduardo anni dopo rievocherà quella prima rappresentazione:

«Arrivai al terzo atto con sgomento. Recitavo e sentivo attorno a me un silenzio assoluto, terribile. Quando dissi la battuta finale: "Deve passare la notte", e scese il pesante velario, ci fu un silenzio ancora per otto, dieci secondi, poi scoppiò un applauso furioso, e anche un pianto irrefrenabile. Tutti avevano in mano un fazzoletto, gli orchestrali che si erano alzati in piedi, i macchinisti che avevano invaso la scena, il pubblico che era salito sul palco. Tutti piangevano e anche io piangevo, e piangeva Raffaele Viviani che era corso ad abbracciarmi. Io avevo detto il dolore di tutti.» (Enzo Biagi, La dinastia dei fratelli De Filippo, la Stampa 5 aprile 1959).

Questa commedia rappresenta un punto di svolta nella produzione teatrale di Eduardo che abbandona il repertorio comico e, con la nascita della sua nuova Compagnia, di cui non fa più parte Peppino, si trova ad esser meno vincolato nella scrittura dei suoi testi, non dovendo più fare i conti con l'esigenza di scrivere equilibrando i ruoli da loro interpretati. Inizia quindi ad emergere quello che sarà, nella produzione futura, il suo personaggio protagonista, in costante opposizione con gli altri.

Il primo atto di Napoli milionaria! viene considerato come la conclusione della Cantata dei giorni pari poiché presenta ancora molte caratteristiche delle commedie scritte fino a quel momento; con il secondo atto si entra nei Giorni dispari. Dopo la prima trionfale rappresentazione al San Carlo di Napoli, la commedia fu rappresentata al Salone Margherita di Roma, il 31 marzo, ed in quella occasione  Eduardo si affacciò sul palcoscenico e spiegò al pubblico:

«Ogni anno di guerra, signore e signori, ha contato come un secolo della nostra vita di prima. Davvero non è più il caso di tornare a quelle vecchie storie. La commedia di stasera ha un primo atto che si riallaccia a quel genere: le conseguenze della guerra viste attraverso la lente della farsa. Ma dopo statevi attenti, è il dopo che importa!»

lunedì 15 marzo 2010

La voce di Titina

Il 29 giugno 1978, al Teatro Tenda di Roma, l'impresario Carlo Molfese organizzò una serata d'onore per Eduardo, dal titolo Lieta serata con Eduardo e i suoi compagni d'arte. Parteciparono grandi nomi dello spettacolo, tra cui Pupella Maggio, Luca De Filippo, Isa Danieli, Ferruccio De Ceresa, Angelica Ippolito, Gigi Proietti, Marcello Mastroianni, tutti andati a rendergli omaggio.
Vittorio Gassman condusse la serata e naturalmente lo stesso Eduardo alla fine comparve sul palcoscenico, regalando una emozione indimenticabile al pubblico presente e a coloro che seguirono la trasmissione televisiva dello spettacolo. Maurizio Giammusso, nel suo libro "Vita di Eduardo", racconta così quello che accadde:

«[...]  Gassman, come un efficiente "servo di scena", collocò una poltrona sul palcoscenico deserto. La poltrona vuota diede subito il senso di un'assenza, di una casa svuotata dalla morte, che imprime alla mente il silenzio dal quale sorgono le voci della memoria. Eduardo cominciò una scena di Filumena Marturano insieme a Titina. Insieme a Titina? Sì, con una scelta rischiosa e della quale nessuno poteva prevedere l'esito artistico ed emotivo, lui disse le battute di Domenico Soriano e attese le repliche di Titina-Filumena. Su quella poltrona illuminata, gli spettatori prima immaginarono, poi quasi videro lei. La voce arrivava da una fonte registrata, collocata con tanta accortezza da non potersene scorgere la provenienza. [...] Più che una recita sembrò una seduta medianica, l'evocazione di una presenza lontana e mai dimenticata, immersa in una luce arcana. La platea festeggiava Eduardo. Eduardo commemorava Titina».




Sullo stesso argomento:
Primi piani per Filumena
Lacrime come acqua pura sulla ghiaia
7 novembre 1946. Filumena Marturano

giovedì 11 marzo 2010

11 marzo 1932. Gennareniello

Nel 1932 i fratelli De Filippo erano impegnati al cinema teatro Kursaal dove, tra una proiezione e l'altra, rappresentavano sketch, scenette e atti unici che dovevano rinnovarsi continuamente. L'11 marzo 1932 misero in scena l'atto unico Gennareniello, scritto da Eduardo. Il titolo originario era Don Gennaro e Don Gennarino.
  
La scena si svolge sulla terrazza di una casa all'ultimo piano, da cui si vedono i tetti di Napoli. Concetta sta facendo il bucato e chiacchiera con Anna Maria, la giovane dirimpettaia. Gennaro è il marito di Concetta ed è un uomo anziano che sente il bisogno di evadere dal grigiore e dalla mediocrità che caratterizzano la sua esistenza scrivendo poesie e dilettandosi ad inventare marchingegni. La coppia ha un figlio, Tommasino, un ragazzo diciottenne viziato e  mammone che non perde occasione per provocare e fare dispetti alla zia Fedora, sorella nubile di Gennaro che vive insieme a loro. Fedora condivide con suo fratello la vena artistica ed infatti la troviamo impegnata a dipingere sulla terrazza. Per far quadrare i conti della famiglia, una stanza della casa è affittata a Matteo, maestro di disegno che sta aiutando Gennaro a realizzare il progetto della sua ultima invenzione: il meccanismo per impedire la foratura dei copertoni delle macchine; insieme stanno cercando di illustrare a Michele, un giovane ingegnere conosciuto da Gennaro, il funzionamento dell'apparecchiatura ma questi è distratto da Anna Maria, che li osserva dalla finestra. Gennaro si accorge dei segnali che i due si lanciano a distanza ma, nel momento in cui richiama Michele a prestargli attenzione, la ragazza, per prenderlo in giro, gli dichiara di non avere occhi che per lui. Matteo e Michele subentrano nel gioco e lo convincono a dare un bacio alla ragazza. In quel momento però esce sulla terrazza Concetta che reagisce.

ANNA MARIA: Donna Concetta… ma che volete dire? Questo è stato uno scherzo innocente…
CONCETTA: Innocente? Sicuro… io po' so' scema…
GENNARO: Ma tu fosse pazza…
CONCETTA: Mo so' pazza appriesso? Vedite… nu viecchio 'e chell'età!

Gennaro minaccia di andarsene di casa e allora intervengono Matteo e Michele che cercano di riportare la pace tra marito e moglie ma  finiscono invece per mettere in ridicolo Gennaro. La vista di suo marito con un cappello, un bastone ed un paio di calzini a fungere da guanti, trasformato in una macchietta dai due uomini, scatena la reazione di Concetta

CONCETTA: Ma vuie a chi credete 'e sfruculià…? Ma 'o sapite ca io femmena e bona tengo 'o core 'e ve piglià a pacchere a tte dduie… Maritemo è n'ommo serio… Maritemo è d' 'o mio e ghiatevenne!

Il finale vede la rappacificazione della coppia, anche se Tommasino ammicca al padre:

Papà… te piaceva 'a signurina, eh...?

La  famiglia di questo atto unico presenta molte similitudini con quella di Natale in casa Cupiello, il cui primo atto (il secondo attuale) fu scritto nel 1931. Oltre ai nomi  - la madre Concetta, il figlio Tommasino -  si possono riscontrare analogie nei caratteri e nelle relazioni che intercorrono tra i personaggi: il padre sognatore che si rifugia nel presepe o nelle poesie e le invenzioni; la madre che porta avanti la casa e che ha viziato il figlio; il ragazzo che discute con lo zio in un caso e con la zia nell'altro.
L'atto unico fu rappresentato per diverse stagioni consecutive, abbinato ad altri atti unici o a commedie in due atti. Eduardo interpretava Gennaro, Titina era Concetta, Peppino vestiva i panni di Tommasino mentre Tina Pica era Fedora. Nel 1939 Titina lasciò la compagnia dei fratelli e la commedia non fu più ripresa, anche perché ormai Peppino non era più credibile nei panni di un diciottenne.
Il pubblico apprezzò molto questa commedia agrodolce e la critica mise in evidenza soprattutto il fatto che Eduardo aveva travalicato i confini della farsa.


Nel 1952 Eduardo, insieme a Turi Vasile e a Diego Fabbri, scrisse la sceneggiatura per un episodio del film Marito e Moglie, tratta dall'atto unico. Gli interpreti rimasero gli stessi, tranne che per il ruolo di Tommasino, il cui carattere viene mitigato e diventa qui un ragazzo attaccatissimo a sua madre e un po' ritardato a causa di una malattia. Per interpretarlo Eduardo scelse un ragazzo handicappato poiché, come scrive Paola Quarenghi nella sua nota storico-teatrale nella Cantata dei Giorni Pari (Mondadori, I Meridiani): «Eduardo […] all'epoca amava combinare nei suoi film soluzioni teatrali con altre quasi documentaristiche».

Nel 1978 la commedia viene registrata per la televisione, con scene e costumi di Raimonda Gaetani, Pupella Maggio nel ruolo di Concetta, Marina Confalone in quello di Fedora e Luca De Filippo che interpreta Tommasino. Eduardo la riprese poi nel 1980 insieme a Sik-Sik e a Dolore sotto chiave per il suo addio alle scene. In quella occasione Aggeo Savioli scrisse su L'Unità:

«A Calvero e a Chaplin, anche, ci faceva pensare Eduardo in Gennareniello, quando semiaccasciato sulla sedia, gli occhi chiusi, e offrendosi inerme ai suoi sbeffeggiatori, il personaggio, d'improvviso, "accetta d'invecchiare", ed è come se entrasse nell'anticamera della morte: un mirabile silenzio protegge allora, quasi dissipando il chiacchiericcio circostante, la maschera inimitabile dell'interprete, trasformandola in un emblema vivente della sofferenza e della dignità umana».


Bibliografia
Eduardo De Filippo - Teatro, vol. I, a cura di Nicola De Blasi e Paola Quarenghi (I Meridiani - Mondadori)
Eduardo De Filippo - Cantata dei Giorni pari, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)


venerdì 5 marzo 2010

5 marzo 1942. Io, l'erede

Io, l'erede è la commedia che conclude la Cantata dei Giorni Pari. Fu rappresentata per la prima volta dalla Compagnia Teatro Umoristico i De Filippo, senza Titina che in quel periodo era nella compagnia di rivista di Nino Taranto, al Teatro La Pergola di Firenze, il 5 marzo 1942. Quarant'anni dopo Eduardo raccontò di aver scritto questa commedia  nel 1941, «per passare il tempo» durante un periodo trascorso da sfollato a Sorrento e che la prima lettura pubblica avvenne durante un coprifuoco.
La commedia è costruita su una situazione paradossale che sembra prendere spunto da due lavori che la compagnia dei De Filippo aveva rappresentato negli anni precedenti, Sarà stato Giovannino! di Paola Riccora eIl coraggio di Augusto Novelli. In questi lavori si fa riferimento rispettivamente alla carità cristiana apparentemente disinteressata ed alle pretese di un aspirante suicida che ritiene dovere di colui che lo ha salvato provvedere al suo mantenimento vita natural durante.
Secondo alcuni studiosi è possibile ritrovare nella commedia di Eduardo dei riferimenti a Pirandello, in particolare a Il piacere dell'onestà. Come spesso accade, Eduardo, nelle sue Lezioni di Teatro, riferisce di un episodio realmente accaduto che gli avrebbe dato lo spunto per la trama della commedia: «Un mio amico, un bravo giornalista, Arturo Milone, antifascista com'era, perdette il posto nel giornale in cui lavorava […] Io gli volevo molto bene, stavamo sempre insieme, lo aiutavo, era sempre a casa mia. Milone morì […] C'era un altro amico che si chiamava De Pino […] Quando Arturo Milone morì venne questo De Pino e mi disse: "adesso che è morto Milone, posso venire io? Mi puoi invitare?" Da questa battuta nacque Io, l'erede».


I membri della famiglia Selciano, Amedeo, avvocato, sua sorella Adele, sua zia Dorotea, sono tutti dediti ad opere di beneficienza.  Lo stesso padre di Amedeo, Matteo Selciano, quando era in vita aveva accolto in casa sua Bice, la figlia ormai diciassettenne di una domestica, e Prospero  Ribera, un ex compagno di scuola caduto in disgrazia e che era poi rimasto con la famiglia Selciano per trentasette anni, fino alla sua morte avvenuta qualche giorno prima.
Ed è proprio Ludovico, il figlio di Prospero che, inaspettatamente, si presenta in casa Selciano per riscuotere "l'eredità" lasciatagli dal padre. Abbandonato dal genitore all'età di quattro anni, aveva vissuto con una portinaia e con suo marito marinaio dopo la morte della mamma. Dopo una vita trascorsa arrangiandosi, facendo il pescatore, a volte anche il contrabbandiere, approda causalmente a Napoli il giorno del funerale di suo padre. Presentandosi ai partecipanti alle esequie in qualità di figlio del defunto Prospero, riceve da Amedeo una cassetta contenente i pochi averi di suo padre, tra cui in diario in cui sono riportate in maniera precisa le abitudini di tutta la famiglia Selciano e ogni dettaglio della vita che Prospero ha trascorso con loro. Il quadro che ne viene fuori non è poi così idilliaco e quella che sembra a prima vista una famiglia animata da spirito di solidarietà per il prossimo, in realtà non fa che elargire una "carità pelosa", costringendo i beneficiati ad uno stato perenne di soggezione nei loro confronti.

LUDOVICO: […] Il beneficiato odia il benefattore appunto per la riconoscenza che gli deve… Perché non crediate che il benefattore si accontenta di una riconoscenza normale. Il benefattore, quando t'ha fatto una buona azione, dopo pretende chissà che cosa… Infatti si affeziona al beneficato perché, beneficandolo, crede di comprarselo poco per volta e farne cosa sua.

Lo stesso Prospero, qualche tempo prima aveva avuto una furibonda lite con il suo amico e benefattore Matteo Selciano per non avergli lasciato il passo entrando in ascensore. Quella che Ludovico viene a reclamare non è quindi una eredità materiale ma una eredità affettiva e sentimentale, quella che ha consentito prima a Selciano padre e poi a suo figlio di impersonare il ruolo di benefattore. In breve Ludovico intende stabilirsi in casa e prendere il posto di suo padre, prestandosi anche a diventare lo zimbello della famiglia, oltre che consigliere e tutto fare. Dopo le prime proteste di Amedeo, Ludovico arriverà ad imporre la sua presenza con la minaccia (tra le cose di suo padre ha ritrovato una rivoltella sul cui calcio è incisa la frase "non si sa mai").

mercoledì 3 marzo 2010

Toni Servillo alla tavola di donna Rosa

Un paio di sere fa ho visto in DVD Sabato, domenica e lunedì nella messa in scena di Toni Servillo, del 2002. Questo spettacolo ebbe a suo tempo un grandissimo successo e fu rappresentato nel 2006 anche a Parigi.

Non esiste alcuna documentazione filmata di questa commedia da parte di Eduardo, sebbene  fosse stata registrata negli anni Sessanta. Poi, non si sa bene come, scomparve dagli archivi della Rai insieme a Sik Sik l'artefice magico, sembra per riciclare i nastri magnetici. A tale proposito c'è una interessante testimonianza di Andrea Camilleri, all'epoca dirigente Rai.

È una messa in scena molto differente da quelle a cui siamo abituati pensando alle commedie di Eduardo, a cominciare dalla scelta di realizzare una scenografia molto essenziale.
Poco tempo fa avevo letto di questo allestimento in un libro di Anna Barsotti, dove è riportato, tra l'altro, un lungo intervento tenuto dall'attore e la sua compagnia al Teatro Verde di Pisa, nel 2004. Penso valga la pena riportare alcuni brani:

Come ti sei accostato a quest'opera?
[…] L'accostamento è perché… ci sono tante ragioni, le elenco un po'… Io credo che una delle cose che a me interessano di più del teatro di Eduardo è la centralità che lui pone, all'interno della sua drammaturgia, di interesse nei confronti dell'uomo medio, cioè dell'uomo italiano che appartiene ad una classe media, che sta a metà tra la piccola borghesia e la borghesia. E sulla quale lui esercita una spietatezza "denunciatoria" di responsabilità molto forti che questa classe ha; […] la straordinarietà di Eduardo è di non raccontare la vita com'è, perché, se noi mettessimo intorno ad una tavola sedici persone nella loro apparente normalità che si mangiano il ragù, creeremmo una dimensione di noia totale, mentre invece lui mette intorno a questa tavola persone che impongono la loro stranezza; e la cosa inquietante è che però la devono condividere […] e attorno a un luogo simbolico dove questa concentrazione dovrebbe significare gaiezza e gioia di vivere, che è quella di mangiarsi il ragù, e che invece è tutto il contrario, cioè intorno a quel simbolo, vengono fuori tutte le conflittualità. Allora questa è la ragione per cui io ho, d'impatto, immaginato di mettere in scena il testo, perché credevo che per queste ragioni tematiche vi potesse essere una curiosità.
[...] La scenografia è un contenitore quasi astratto, con però degli elementi molto concreti e molto funzionali, tutti funzionali all'azione...
[...] Io nella semplicità di questo allestimento [...] mi sono ispirato non solo ad una sua dichiarazione, in cui lui afferma di essere per un teatro semplice, povero, umile, onesto. Quando vedeva degli allestimenti troppo costosi, troppo ricchi sul piano scenografico, diceva: «hai speso troppo»; ma questa battuta significava che a Eduardo interessava, essendo un attore, che al centro del suo teatro vi fosse la chiarezza del lavoro dell'attore.
 [...] Il finale eduardiano tutto sommato è sempre 'aperto', e basta poco per rovesciarlo: sopprimere un battuta, una didascalia.

Io ho tolto due battute finali [...] perché mi sono accorto che certi contenuti di amarezza, di routine, di una certa aurea mediocritas nella quale si scioglieva comunque questo rapporto faticoso, in certi momenti inerte, d'amore nella coppia, nel titolo stesso che racconta una circolarità, un tempo circolare che si ripiega su se stesso, potessero lasciare immaginare comunque che il Lunedì è un giorno transitorio, che può riportare poi a un Venerdì che crea le condizioni perché si ricreino un Sabato e una Domenica uguali.


Servillo, oltre che interprete è stato anche regista dello spettacolo e scenografo insieme a Daniele Spisa, mentre Rosa Priore è interpretata da una bravissima Anna Bonaiuto. 


Sullo stesso argomento:
6 novembre 1959. Sabato, domenica e lunedì