giovedì 29 luglio 2010

29 luglio 1950. La paura numero uno

Il 29 luglio 1950, in occasione dell'XI Festival del Teatro della Biennale di Venezia, debutta al Teatro La Fenice La paura numero uno, commedia che fu commissionata ad Eduardo per l'occasione. Si tratta di un lavoro che si lega alla cronaca ed all'attualità, poiché tratta il tema della paura di una nuova guerra e si ispira ai temi della guerra fredda, della minaccia incombente di un conflitto atomico, della celebrazione dell'Anno Santo del 1950. Proprio quell'anno tra l'altro avviene l'invasione della Corea del Sud da parte della Corea del Nord ed il conseguente conflitto che durerà tre anni.

Matteo Generoso è ossessionato dalla paura che possa scoppiare una nuova guerra e, a causa di questa fobia, rende la vita impossibile a tutti i suoi familiari. In particolare la moglie Virginia è esasperata e si rivolge a suo fratello Arturo per risolvere questo problema. Arturo escogita un espediente: con l'aiuto di Mariano, fidanzato della figlia di Matteo, inscena un finto comunicato radiofonico in cui viene annunciato lo scoppio della terza guerra mondiale. È una guerra pianificata a tavolino, che coinvolge tutte le nazioni del mondo, in conflitto le une contro le altre. La vita dei cittadini continuerà a scorrere normalmente, non ci saranno oscuramenti, se qualcuno dovesse trovare una bomba atomica sganciata e rimasta inesplosa, non più grande di un pallino da biliardo, dovrà consegnarla alle autorità. Nel momento in cui Matteo apprende queste notizie, improvvisamente riacquista la calma, si tranquillizza e tutte le sue paure sembrano svanire: la guerra non è più una minaccia, è una realtà da affrontare. Si persuade persino a stabilire finalmente una data per le nozze della figlia Evelina con Mariano e di sua nipote Maria (che vive insieme a loro) con il fidanzato Antonio. Chi invece non reagisce bene alla notizia del conflitto è Luisa Conforto, madre di Mariano e vicina di casa dei Generoso. Luisa ha perso il marito, disperso durante la prima  Guerra Mondiale ed un altro figlio nella Seconda, da cui si è miracolosamente salvato Mariano, ed ora vive nel terrore di perderlo.

Nel secondo atto veniamo a sapere che il figlio di Luisa è scomparso il giorno in cui avrebbero dovuto celebrarsi le sue nozze con Evelina ed ora, passati quindici giorni dalla sparizione, non si riesce a capire dove possa essere finito. Vengono fatte ricerche, viene coinvolta la polizia, Matteo convoca persino Vera, una donna che aveva nascosto il ragazzo in casa sua durante la guerra, poiché si sospetta che all'epoca fossero stati amanti e che ora Mariano abbia avuto un ritorno di fiamma. In realtà il giovane è stato murato da sua madre in uno stanzino e quando finalmente riesce a praticare un foro nei mattoni, scappa e si rifugia in casa di Matteo. L'atto si conclude con l'arrivo di un gruppo di pellegrini di varie nazionalità, giunti in occasione dell'Anno Santo e ospiti della pensione che si trova all'ultimo piano del palazzo. Matteo, scambiandoli per invasori stranieri, viene preso dal panico e tenta di organizzare una fuga.

Il terzo atto si sposta in casa di Luisa Conforto. Mariano ed Evelina si sono appena sposati e stanno per partire per il viaggio di nozze. Vengono a galla le apprensioni e la gelosia di Luisa nei confronti del figlio, il suo rimpianto per il tempo in cui Mariano era ancora nel suo ventre e poteva avere un rapporto esclusivo con lui. Ora ha dovuto lasciarlo andare ma riversa i suoi istinti di possesso e di protezione sulle marmellate e le conserve che produce lei stessa e che può, senza il rischio di essere presa per pazza, tenere sotto chiave nella credenza.

LUISA […] Perché un poco di dolcezza nella vita piace a tutti quanti… E poi pure perché ti fanno compagnia, ti aiutano… e ti danno soddisfazione. Apri il mobile e dici: «Questa l'ho fatta io… È roba mia!... Nessuno me la tocca».

Eduardo finisce di scrivere la commedia all'inizio di luglio 1950 e durante le prove apporta qualche modifica al testo. Il debutto  avviene in un clima di grande attesa. Nonostante il successo ottenuto e gli elogi per le prove d'attore, soprattutto rivolte a Titina che interpreta Luisa, la critica sollevò alcune perplessità, riferite soprattutto alla mancanza di omogeneità tra i primi due atti, caratterizzati da situazioni comiche e farsesche, ed il terzo, più malinconico ed intimista, in cui Luisa acquista il ruolo di protagonista a scapito di Matteo.  Ad esempio su "Il Popolo" il critico Aldo Camerini scrisse che il terzo atto «ci mostra un Eduardo De Filippo che cerca una soluzione poetica a una lunga farsa». Altri invece videro l'ultimo atto come quello più completo ed in fondo come il cuore della commedia, che andava anzi a riscattare i primi due che apparivano più frammentari.

Dopo il debutto a Venezia la commedia venne rappresentata durante la stagione 1950-51 e avrebbe dovuto esserne tratto anche un film, interpretato da Totò e Titina ma che poi, per diverse ragioni, non vide la luce. In teatro non fu mai più ripresa; ne venne realizzata la versione televisiva nel 1964.

Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. II, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)


giovedì 8 luglio 2010

Vuò vedé?

Vuò vedè ca cunfromme me ne vaco,
tu me vuò bene comme ll'ata sera,
e rieste, cumm'a me, felice e allera,
pecché saie ca si parto resto ccà?

Ccà resto, 'o ssaie: sto ccà. Pure si 'a vita
me porta 'a n'ata parte...
E me fa pena tanta e tanta gente
ca quanno parte, 'o vero se ne va.
[1969] 
Da Le poesie di Eduardo (pag.58), Einaudi


lunedì 5 luglio 2010

Sono andata a trovarlo

Era veramente da tanto tempo che volevo farlo ma, per un motivo o per l'altro non mi ero mai decisa. Mi sembrava un'esagerazione, una cosa eccessiva: sì, va bene, è una grande passione, ma questo non sarà un po' troppo?
Eduardo è sepolto a Roma, la mia città, nel Cimitero Monumentale del Verano. Qui riposano personaggi illustri dell'arte, della cultura e della storia del nostro Paese come ad esempio Vittorio Gassman, Ettore Petrolini, Trilussa, Moravia, Vittorio De Sica, Alberto Sordi, Claretta Petacci, Palmiro Togliatti, Nilde Iotti…

Entrando dall'ingresso di via Tiburtina, nei pressi di piazzale delle Crociate e svoltando subito a sinistra, alle spalle del cimitero israelita vi sono una serie di cappelle a schiera e, se non sbaglio, la seconda è la cappella di Eduardo. Sono tutte protette da una sorta di cancellata che riproduce dei rami, i nomi in alto, dietro la cancellata un vetro che, a causa del riflesso della luce esterna, non consente di vedere molto bene. L'interno è essenziale, alle pareti semplici mattoncini, sul lato destro le sepolture. L'unica che sono riuscita ad individuare chiaramente è quella della piccola Luisella, la figlia che Eduardo perse quando aveva solo 10 anni e che si trova in basso, quasi a fare da base ad un altare su cui ci sono dei vasi vuoti e un lumino (Allùmmela na lampa nnanz' 'o muorto…). Dovrebbe essere sepolta qui anche la sua seconda moglie e madre dei suoi figli, Thea Prandi, morta a distanza di un anno dalla figlia. In questa stessa cappella riposano anche le ceneri di Isabella. Nella parete di fronte due sedili di legno fissati al muro e un piccolo inginocchiatoio. Il pavimento è di legno e a terra, davanti all'entrata, c'è un grande poster con un primo piano di Eduardo che sembra voler guardare chi si affaccia per osservare all'interno.

Ho pensato che era stato lì da vivo, per seppellire moglie e figlia, che quello era un posto che gli apparteneva, che apparteneva alla sua sfera più privata ma mentre ero lì non ho pensato tanto al fatto che lì dentro ci fosse quello che resta della sua persona… Non mi sono trattenuta molto; nonostante oggi fosse una giornata piena di sole, devo aver risentito un po' del fatto che mi trovavo comunque in un cimitero, luogo che non frequento abitualmente, tanto meno da sola. Prima di arrivare avevo pensato che mi sarei fermata, quasi a voler intrattenere un colloquio silenzioso "a tu per tu" ma non è stato così. Ho fatto un giro nei dintorni, so che nelle vicinanze c'è anche la tomba di Peppino e Titina, che però non ho trovato. Ho staccato poi un rametto di bouganville da una pianta in un viale e sono tornata a metterlo tra la cancellata e il vetro.

Strana sensazione, è un posto che, seppure non mi mette completamente a mio agio, esercita su di me una grande attrazione. Ora che ci penso credo di essere andata via senza neanche "salutarlo". Sarà per la prossima volta...