lunedì 19 settembre 2011

Eduardo, Pierino e il lupo

L'opera Pierino e il lupo, del compositore russo Sergej Prokof'ev e scritta nel 1936, è una favola musicale destinata ai bambini. Si compone di musica, eseguita da un'orchestra,  e testo. Ogni personaggio della storia è rappresentato da uno strumento.

Molti negli anni i personaggi che hanno interpretato la voce narrante: da Dario Fo a Gigi Proietti, da Roberto Benigni a Filippo Timi a molti altri, tra cui anche Eduardo.

Diversi anni fa trovai il CD, nell'esecuzione dell'Orchestra Filarmonica di Vienna diretta da Karl Böhm, per l'etichetta Deutsche Grammophon. 


«È difficile pensare ad un Eduardo senza volto, proprio lui incredibile artigiano della recitazione essenziale, rarefatta talvolta, e dove il viso è l'occasionale unico sostegno dei silenzi e delle pause.
È difficile pensare ad un Eduardo lontano dalla realtà napoletana nella quale e della quale fu assoluto interprete, portando il teatro dialettale ai vertici del teatro d'arte.
È difficile pensare ad un Eduardo senza i fratelli Titina e Peppino, senza gli attori che diedero vita a quella infinita galleria di personaggi che, sin dalle iniziali tematiche pirandelliane, restituirono la prepotente e commossa vitalità dei vicoli della Napoli emarginata.
Ebbene, anche un Eduardo senza volto, senza Napoli e senza la sua gente riesce perfettamente a porgere le agili trame del bestiario musicale di Prokofiev. Sembra che la sua voce ci abbia già raccontato la favola di Pierino e il lupo sin dalla nostra più tenera età, e che il racconto e la voce che gli dà vita appartengano ad un nostro passato nebuloso e piacevolmente intimo»

(Claudio Ricordi, dalle note del libretto di accompagnamento al CD)


giovedì 15 settembre 2011

Tempeste

Angela Leonardi, laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l'Università Federico II di Napoli, nel 2007 ha pubblicato per Colonnese Editore un interessante saggio sulla traduzione di Eduardo dell'opera di Shakespeare "La tempesta" in dialetto napoletano del Seicento.

Lontani tra di loro nel tempo e nello spazio, queste due grandissime personalità hanno votato le loro esistenze alla comune passione per il teatro, facendone una ragione di vita e lasciando tracce indelebili attraverso la loro arte. Hanno condiviso la medesima visione del teatro come metafora del mondo, in cui la condizione dell'attore rispecchiava quella dell'uomo.

Eduardo non ha mai nascosto la sua ammirazione per il drammaturgo inglese, primo autore teatrale a cui si accostò in gioventù, scegliendo di iniziare a leggere, durante gli anni della sua formazione, tra i vari autori proprio «il primo della classe: Guglielmo Shakespeare».  E quasi come a chiusura di un cerchio, la traduzione de "La tempesta" ha rappresentato la sua ultima fatica, terminata pochi mesi prima di morire.

Eduardo non si limitò a farne una semplice traduzione ma, grazie anche alla scelta di utilizzare il dialetto napoletano seicentesco, adattato e reso comprensibile ad un pubblico del nostro tempo, ne ha compiuto una vera e propria trasposizione. Mantenendo la fedeltà al testo originale non ha dimenticato mai uno degli elementi essenziali nella sua idea di teatro, ovvero il "personaggio in più", il pubblico. Nei vari capitoli di questo saggio l'autrice, mettendo a confronto i due testi, evidenzia l'accuratissimo lavoro compiuto da Eduardo per rendere comprensibili allo spettatore del proprio tempo concetti e situazioni di un'epoca lontana, spesso dilatando il testo originale, più raramente eliminando alcuni versi, con numerosi richiami anche alla Commedia dell'Arte.

«È però evidente che qualsiasi operazione condotta sul testo originale ha per lui lo scopo principale di servire la propria poetica, esplorando i modelli e le potenzialità espressive che gli consentono di porla in essere. Ed è in questo spazio ideale che va collocato il tratto che innanzitutto colpisce il lettore-spettatore, vale a dire il ricorso pressoché generalizzato al dialetto napoletano dei Seicento - "ma come può scriverlo un uomo che vive oggi; sarebbe stato innaturale cercare una aderenza completa ad una lingua non usata ormai da secoli"; un idioma fortemente evocativo, ricchissimo, sia dal punto di vista lessicale che sematico, capace di immergere il testo scespiriano nel mondo della cultura e delle tradizioni napoletane persino quando Eduardo cerca di mantenersi fedelissimo all'originale [...]. Così, con accenti diversi emergono in tutta la loro forza i temi e le forme originari: la favola del mago Prospero, i prodigi di Ariel e degli altri spiriti, le fattezze mostruose di Caliban, i duetti comici tra Stephano e Trinculo e, soprattutto, le situazioni e i rapporti tra i personaggi, che danno modo alle più contrastanti pulsioni dell'animo umano di venire alla luce».

Angela Leonardi, Tempeste. Eduardo incontra Shakespeare, Colonnese Editore



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