In quegli anni iniziano a mettere insieme un loro repertorio, comprendente commedie scritte da loro stessi, testi di Scarpetta, Pirandello, Armando Curcio, Luigi Antonelli, Paola Riccora ed altri. Nelle loro opere i fratelli De Filippo pongono un'attenzione particolare nella ricerca di ruoli adatti alle loro personalità, equilibrando le parti e sfruttando al meglio le capacità interpretative e le caratteristiche di ognuno. In questa ottica sembra fare eccezione l'atto unico di Eduardo dal titolo Quinto piano, ti saluto!, scritto nel 1934 e rappresentato per la prima volta nel novembre dell'anno successivo.
Il giornalista e scrittore Orio Vergani, in una sua recensione ad una messa in scena del 1948, lo definì «appena un foglietto di appunti a matita» e, sebbene non si fosse espresso in termini positivi, questa definizione a me è piaciuta molto. Si tratta di un breve atto unico dai toni malinconici, pur non mancando alcuni spunti comici. Racconta la storia di Giacomo, un uomo che trovandosi a passare casualmente in una via di Napoli nella quale aveva abitato in gioventù, scopre che il palazzo in cui era vissuto sta per essere demolito. Sale allora fino alla sua vecchia abitazione del quinto piano e, di fronte agli operai che la stanno buttando giù mattone dopo mattone, prende commiato dalla casa della sua infanzia e giovinezza. Secondo alcuni è possibile rintracciare un'ispirazione autobiografica nell'atto unico in quanto, proprio nel 1934, fu abbattuto il palazzo in cui aveva vissuto per un periodo sua madre. In ogni caso, come recitava il sottotitolo del programma di sala, si tratta di uno «scorcio nostalgico», quasi una riflessione che l'autore rivolge al pubblico, affidata al monologo di Giacomo. Il testo è introdotto da una didascalia iniziale piuttosto lunga, nella quale Eduardo intende trasmettere l'atmosfera che si respira
«[...] I muri maestri e quelli divisori sono abbattuti per metà scoprendo di fronte un enorme palazzo moderno circondato di luce e sole che dirada e spacca ogni tanto i nuvoloni di calcinaccio sollevati dal tufo che volta a volta precipita sotto i colpi più violenti dei picconi. Questo contrasto di vita e di agonia deve essere tanto forte da risvegliare immediatamente in tutti gli spettatori quel senso di rimpianto e di pena che abbiamo per tutte quelle cose che scompaiono dalla vita, cose forse anche brutte, ma che morendo lasciano sempre un piccolo vuoto nel mondo dei ricordi e della nostalgia [...]».
I personaggi della commedia sono tutti maschili, quindi non era prevista la presenza in scena di Titina. Per quanto riguarda invece la parte affidata a Peppino, non è ben chiaro quale fosse, probabilmente uno dei muratori impegnati nella demolizione. La commedia non ebbe particolare successo e fu ripresa dalla compagnia dei fratelli in poche occasioni, probabilmente perché si tratta di un testo che si discosta notevolmente dal genere comico che li aveva resi celebri ed anche perché, oggettivamente, si tratta quasi di un abbozzo, una sperimentazione in un genere non ancora nelle corde dell'autore. Nel 1948 Eduardo la rimise in scena introducendo un riferimento all'attualità: il palazzo infatti viene abbattuto a causa dei danni riportati durante i bombardamenti. Questa variazione tuttavia non sarà presente nel testo pubblicato nel 1959 nella Cantata dei giorni pari, così come non lo sono alcune parti del monologo di Giacomo che, nel copione del 1948, risultano lasciate "a soggetto".
Nel 1959 ne viene registrata una edizione radiofonica, diretta ed interpretata dallo stesso Eduardo insieme a Pietro De Vico, Enzo Petito, Enzo Cannavale, Gennarino Palumbo, Antonio Casagrande, Lello Grotta, Pietro ed Ettore Carloni e Riccardo Grillo. Di recente questa edizione è stata trasmessa da Radiotre ed è possibile riascoltarla.
Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, vol I, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Teatro, vol I, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
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