La commedia, senza timore di essere smentiti, può essere considerata uno dei capolavori di Eduardo. È un testo bellissimo che aveva fatto scrivere al critico Renzo Tian, riferendosi a Eduardo nella sua recensione ad una messa in scena del 1977, «è un visionario che solo incidentalmente si esprime in termini realistici». È la commedia della disillusione che mostra la società del dopoguerra corrotta dagli eventi bellici e che ha perduto ogni parvenza di umanità.
Da anni si discute sulla fortuna delle commedie di Eduardo dopo la sua scomparsa ed è oramai un dato di fatto che le sue opere siano da considerarsi perfettamente in grado di sopravvivere al loro creatore. Basti pensare alle numerosissime messe in scena che raccolgono consensi anche all'estero. L'allestimento di Toni Servillo ne è la riprova tangibile, è la dimostrazione che Eduardo ha composto opere capaci di sopravvivergli, grazie anche ad un interprete straordinario. Servillo è un vero fuoriclasse, un attore di grande carattere che non cede alla tentazione di riprodurre Eduardo facendone un'imitazione. Trattandosi nello specifico di una commedia della quale esiste un documento filmato, immagino sia facile per un attore tendere a riprendere, anche involontariamente, l'originale. Mi è capitato ad esempio qualche mese fa di assistere alla rappresentazione di Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta con la compagnia di Geppi Gleijeses e Lello Arena. Molto divertente, senza alcun dubbio, ma si è trattato di una vera e propria "citazione" della versione teatrale di Eduardo e di quella cinematografica con Totò.
La qual cosa non è certamente accaduta con questo allestimento, a cominciare dalla scenografia. La scena è scarna, addirittura senza sipario in modo che il pubblico, entrando nella sala, è già in grado di ambientarsi. Una parete di fondo chiara sulla quale è accostata una piccola credenza, un tavolo e due sedie, tutto di colore bianco. In terra, un paio di ciabatte abbandonate vicino a una delle due sedie. I tre atti si sono susseguiti senza intervallo, solo qualche minuto di buio, necessario ad operare i cambi di scena, tutti giocati peraltro attraverso un'ottima regia delle luci.
Il primo atto si apre con la cameriera che dorme accasciata sul tavolo della cucina dei signori Cimmaruta, con il suo faticoso risveglio, con il racconto del suo sogno premonitore. Toni Servillo, nei panni di Alberto Saporito, appare sicuro, spavaldo, ammiccante e allusivo mentre pregusta l'imboscata che ha organizzato per i presunti assassini del suo amico Aniello Amitrano. Certamente non si serve delle pause e dei silenzi tipici di Eduardo, quasi aggredisce i suoi interlocutori incalzandoli, alzando la voce, fronteggiandoli apertamente quando finalmente irrompono gli agenti. Nel secondo atto ci troviamo in casa Saporito, la scena si presenta ugualmente spoglia, un paio di sedie quasi sulla ribalta e la parete di fondo con una porta al centro lascia trasparire le cataste di sedie che arrivano fino al soffitto e, a destra, il "mezzanino" su cui vive lo zì Nicola, il personaggio muto, simbolo della perdita della speranza che si traduce in una rinuncia a parlare perché «l'umanità è sorda». Quella parete rappresenta in maniera estremamente efficace il limite tra il dentro ed il fuori; all'interno i membri della famiglia Cimmaruta che si avvicendano in casa di Alberto, iniziano ad accusarsi reciprocamente del delitto "forse" sognato e poi escono, invadendo lo spazio in cui Alberto assiste incredulo a questa sfilata. Ora ha perso la sua sicurezza, non sa più distinguere la realtà dal sogno. Anche zì Nicola lo abbandona e dopo aver acceso il suo bengala verde, muore chiedendo, finalmente, «un poco di pace». Nel finale del secondo atto irrompe la moglie del presunto morto che grida e si dispera scongiurando Alberto di presentare le prove del delitto. A rendere il tutto ancora più cupo e macabro un'improvvisa interruzione della corrente. Il buio viene però rischiarato da Rosa Cimmaruta che porta per far luce le sue candele, quelle nelle quali "forse" è stato trasformato il povero Aniello...
Il terzo atto è come il risveglio da un sogno. Dalla penombra delle candele si passa al bianco accecante della scena, come quando al risveglio la luce offende gli occhi che fino a poco prima erano chiusi. Alberto ora sa qual è la realtà, ha scoperto il vero crimine che si è consumato, «il delitto nel bilancio di famiglia» ed anche il fratello ha rivelato la sua vera natura opportunista. E quando presenta le famigerate "prove", rappresentate dall'amico Aniello Amitrano vivo e vegeto, può finalmente accusare i presenti e chiamarli, a ragion veduta, assassini.
È scomparsa in questa messa in scena la flebile speranza che Eduardo lasciava intravedere chiudendo la commedia con Alberto che, rimasto ormai solo con suo fratello, lo cerca con lo sguardo mentre un raggio di sole entra dalla finestra e li illumina. Probabilmente, con il senno di poi, Servillo è consapevole che l'uomo è rimasto «carnivaro» e che ogni speranza è andata perduta. Durante la denuncia di Alberto infatti, suo fratello, il cui inganno è stato svelato, resta rivolto verso il muro, dando le spalle a lui e a tutti i presenti. Quando poi alla fine rimangono soli ed Alberto, sfinito e sfiduciato si accascia seduto, Carlo viene avanti quasi spavaldo e prende una sedia che trascina verso il fondo e sulla quale si allunga, scivolando pian piano nel sonno.
La bravura di Toni Servillo è sconfinata, si muove sul palcoscenico che sembra quasi compiere una danza, recitando con tutto il corpo e moltissimo anche con le mani. E altrettanto bravo è suo fratello Peppe che con la sua magrezza, le movenze da folletto ed un viso mobile e particolarmente espressivo ha interpretato al meglio il personaggio infido e doppio di Carlo. Ma bravi tutti, davvero tutti gli interpreti di questa edizione che senz'altro rimarrà memorabile e capace di trasmettere delle vere emozioni.
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