domenica 23 novembre 2014

Quelle voci che non ci lasciano dormire

Ho già scritto lo scorso anno della commedia Le voci di dentro portata in scena da Toni Servillo. Una grande messa in scena, una messa in scena fedele all'originale anche se non ruffiana, emozionante e ipnotica, interpretata in maniera impeccabile e coinvolgente da un cast di attori che in alcun modo hanno fatto rimpiangere gli interpreti che tutti noi ricordiamo nella edizione televisiva di Eduardo, e che i più fortunati hanno potuto applaudire in teatro.

Qualche settimana fa la Rai ha realizzato una diretta televisiva dal Teatro San Ferdinando, dove Toni Servillo e la sua compagnia hanno riproposto la commedia che nella scorsa stagione ha avuto un enorme successo di pubblico e si è aggiudicata cinque premi alle Maschere del Teatro Italiano: miglior spettacolo della stagione 2013-14, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista (Peppe Servillo) e miglior attrice non protagonista (Chiara Baffi).

Personalmente amo moltissimo questa commedia, dalla quale ho mutuato anche il titolo di questo mio blog, ed ho ugualmente amato la messa in scena di Servillo. Da questa ho tratto alcuni momenti, quelli che mi hanno da sempre emozionato di più. 


«'E muorte so' assaie»
Siamo nel primo atto. I fratelli Saporito si sono introdotti in casa dei Cimmaruta i quali, ignari, non sanno che di lì a poco saranno arrestati con l'accusa di essere degli assassini. Alberto Saporito allude, parlando di coloro che, essendo morti per mano dei propri simili, non danno pace ai vivi. In questa scena uno straordinario Peppe Servillo accompagna, senza dire una parola, il monologo di suo fratello, con una espressività che lascia senza parole.



«Lo spasso della famiglia Cimmaruta»
Nel II atto Alberto Saporito rientra dopo essere stato interrogato al commissariato, dove ha dichiarato di non avere le prove del presunto delitto e che "forse" si è trattato di un sogno. Viene raggiunto poco dopo dal brigadiere, che gli annuncia che ora la faccenda è diventata di competenza nientemeno che del Procuratore della Repubblica. Alberto deve quindi restare a disposizione poiché potrebbe essere arrestato rischiando, oltretutto, la rappresaglia dei Cimmaruta. Suo fratello Carlo, che trama alle sue spalle, si chiede se questi potranno agire sia legalmente che "a mazzate". Il povero Alberto si ribella: "O legalmente, o a mazzate!".



«Per favore, un poco di pace!»
I Cimmaruta si sono avvicendati in casa di Alberto, accusandosi l'uno con l'altro di aver compiuto il delitto. Alberto non sa più se stia sognando ora o quando credeva di aver sognato il fatto. A dare il colpo di grazia arriva la moglie della presunta vittima che lo implora di presentare le prove dell'assassinio di suo marito. In mezzo a questa scena, che ha qualcosa di infernale, si leva inaspettata la voce di Zì Nicola che invoca "un poco di pace" e che, azionato il bengala verde, lascia questo mondo dove "parlare è inutile" poiché "l'umanità è sorda".  Mentre Zì Nicola si spegne inseme al suo ultimo fuoco d'artificio, la casa piomba nel buio e, con un tempismo perfetto, arriva Rosa Cimmaruta che, da brava vicina, porta le sue macabre candele (nelle quali "forse" ha trasformato il povero Aniello Amitrano), lasciando Alberto atterrito.



«La stima!»
Siamo alla resa dei conti. Ora Alberto ha scoperto la verità, ha capito la vera natura di suo fratello, ha trovato "le prove" del vero delitto che, giorno dopo giorno si consuma e, con un monologo liberatorio accusa i presenti, senza assolvere neanche se stesso, della più grave delle colpe: l'aver ucciso la stima e la fiducia reciproca, il che ci rende capaci di ritenere possibile qualunque azione, fino a portarci a mettere "l'assassinio nel bilancio di famiglia".




Sullo stesso argomento:
Toni Servillo: un sogno di spettacolo
11 dicembre 1948. Le voci di dentro


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