sabato 8 gennaio 2011

8 gennaio 1965. L'arte della commedia

L'arte della commedia è un testo che parla di teatro. Fu scritta nel 1964 ma già elaborata, almeno nella trama, da più di dieci anni. Si compone di due atti e un prologo, quest'ultimo rappresentato e pubblicato solo a partire dall'edizione televisiva del 1976, ma che  Eduardo aveva composto fin dall'inizio e mai messo in scena, per il timore che potesse appesantire la commedia. Questo invece rappresenta una parte importantissima del testo, nella quale Eduardo, esponendo le idee del protagonista sul teatro, manifesta anche le proprie.

Oreste Campese è il capocomico di una piccola compagnia teatrale composta dai membri della sua famiglia. Dopo aver subìto l'incendio del capannone di sua proprietà in cui avevano luogo le recite, decide di andare a chiedere aiuto al prefetto del paesino di montagna in cui si trovano e che ha appena assunto l'incarico. Inizialmente il prefetto sembra ben disposto nei confronti dell'attore ed anzi lo incoraggia a esporre le sue teorie sul teatro. Nello svolgersi della conversazione però emergono le loro diverse opinioni, che contrappongono la visione di chi il teatro lo vive dall'interno a quella di chi invece incarna le istituzioni che in qualche modo lo disciplinano attraverso gli apparati burocratici. Il prefetto vorrebbe liquidare Campese rilasciandogli un foglio di via per affrontare il viaggio che lo porterà a riunirsi ad un'altra compagnia teatrale, ma l'attore precisa che l'aiuto che è venuto a chiedere è di natura diversa. Vorrebbe invitare il prefetto ad assistere ad una loro rappresentazione, dall'emblematico titolo "Occhio al buco della serratura", per dare lustro allo spettacolo ed invogliare il pubblico a parteciparvi. Questa richiesta fa andare su tutte le furie il funzionario che lo caccia via; il suo segretario, convinto di consegnargli il foglio di via, in realtà gli mette in mano l'elenco delle persone che il  nuovo prefetto dovrà incontrare quella mattina. Campese, resosi conto dell'errore, decide di lanciargli una sfida insinuando il dubbio che tra  coloro che andranno ad incontrarlo potrebbero nascondersi gli attori della sua compagnia.

In effetti nel secondo atto si recheranno in udienza dal prefetto le persone indicate nella lista per esporre i loro casi e le loro richieste. Durante tutti gli incontri il prefetto rimarrà costantemente nel dubbio se si tratti effettivamente di un medico condotto, di una maestra, di un parroco o se invece non siano gli attori mandati da Campese. Sul finale, quando un sedicente farmacista si avvelena per protesta alla presenza del prefetto e di tutti i personaggi che sono sfilati nel suo ufficio, arriva anche Campese, venuto a restituire la famigerata lista avuta per sbaglio. Incalzato dal prefetto e nonostante la minaccia di essere arrestato, il capocomico non svelerà né a lui né al pubblico se quelli siano o meno i suoi attori.

Trattando il tema del teatro nel teatro,  la commedia è stata accostata a Pirandello, da cui però Eduardo, attraverso la voce del suo alter-ego in scena, aveva preso le distanze:

CAMPESE:  Se mi deciderò a mandare i miei attori qua sopra, lo farò allo scopo di stabilire se il teatro svolge una funzione utile al proprio paese o no. Non saranno personaggi in cerca di autore, ma attori in cerca di autorità


In questa commedia Eduardo ha riproposto tematiche che gli stavano particolarmente a cuore e con le quali si era dovuto personalmente misurare. Quando aveva acquistato le macerie del Teatro San Ferdinando dopo la guerra, gli furono negati prestiti agevolati per il restauro in quanto gli edifici teatrali non rientravano nei piani di aiuto per la ricostruzione; come ricordò lo stesso Eduardo: «Feci la domanda al Banco di Napoli per ottenere un mutuo ipotecario. Ma me la respinsero dicendo che il Banco di Napoli concede mutui ipotecari solo per opere di pubblica utilità. Il teatro non è utile al pubblico. Allora scrissi all'onorevole Andreotti, presso la Direzione del teatro: "La prego, onorevole, di informarsi se è vero che lei ed io siamo inutili. Se è così, che ci stiamo a fare? È  meglio andarsene…"». Allo stesso modo è possibile riconoscere nelle parole di Campese i contenuti della lettera aperta che Eduardo indirizzò nel 1959 al Ministro dello Spettacolo Umberto Tupini dalle pagine del quotidiano Paese Sera, per denunciare la crisi del teatro:

«[...] Questo Stato rispetto al teatro vorrebbe essere nel medesimo tempo uno Stato mecenate e uno Stato liberale. In realtà è soltanto uno Stato tirannico, che per sembrare mecenatesco e liberale non esita a fare il più largo uso dell'ipocrisia e della corruzione. Il teatro italiano, uscito in brandelli dal ventennio fascista aveva urgente necessità di cure e soprattutto di respiro, era ed è un patrimonio della nazione, come le pinacoteche e i monumenti e lo Stato repubblicano e democratico non poteva rifiutare il suo intervento. Ma piuttosto che utilizzare, come ha fatto, la odiosa macchina fabbricata dal fascismo, era meglio se rifiutava qualsiasi ingerenza lasciando ai teatranti il compito di curare con i loro sforzi il malato, limitando la propria azione all'impianto di una normale e legale censura. Io non sto parlando di me e del mio teatro: un pubblico in qualsiasi città o villaggio d'Italia, oltre che come autore in molte città del mondo, io l'ho conservato. Ma io sono l'autore del 95 per cento e il regista ed interprete di tutto il mio repertorio; io ho saputo resistere alle lusinghe delle mode e alle imposizioni dei "modisti"- "o mangiare questa minestra o saltare quella finestra" - io parlo per quelli che, essendo alla mercè di chi ha il coltello per il manico, di chi può accettare o rifiutare un copione, dare o non dare una scrittura, assegnare una parte importante o scadente, commissionare o no una scenografia, non sono nella condizione di aprir bocca. Ma soprattutto parlo per il teatro. Bisognava e bisogna dire finalmente senza peli sulla lingua quello che si va ripetendo ormai da più di dieci anni e cioè che i proconsoli e i parassiti di tutti i generi che formano la barriera innalzata dallo stato-impresario fra se stesso e il teatro potenziale, sia che agiscano come private persone o come esponenti di enti di comodo, sono tutti indistintamente degli estranei al teatro, così come sono estranei al teatro gli "esperti", dei quali sia la Direzione Generale dello Spettacolo che gli enti suoi satelliti, si servono per gettare polvere negli occhi [...]»

La commedia fu rappresentata in anteprima al teatro San Ferdinando il 7 gennaio 1965 per gli operai dell'Italsider e l'8 gennaio debuttò ufficialmente. In quella stagione 1964-65 era stata avviata una collaborazione tra il San Ferdinando ed il Piccolo Teatro di Milano che aveva portato alla nascita di una società denominata "Teatrale Napoletana" per la gestione del San Ferdinando, riaperto dopo tre anni di chiusura. Un ruolo importante in questa collaborazione tra Milano e Napoli fu svolto dall'attore Franco Parenti, al quale Eduardo affidò la parte del prefetto. Dopo il debutto, accanto a delle critiche molto positive, vi furono alcuni che accusarono il lavoro di essere destinato più ad un pubblico di addetti ai lavori che non ad una platea comune.
Dopo le repliche a Napoli la commedia fu rappresentata in alcune località di provincia. Quando arrivò però il momento di affrontare le piazze maggiori, Eduardo rinunciò polemicamente a presentare L'arte della commedia e ripropose Uomo e galantuomo, un testo comico del 1922. Questa decisione piuttosto sorprendente fu determinata dalla mancata messa in onda da parte della RAI di un servizio che avrebbe dovuto essere trasmesso in occasione della prima al San Ferdinando. Dopo questa circostanza la commedia non fu più ripresa fino al 1976, quando Eduardo la scelse per aprire il nuovo ciclo di commedie per la televisione. Anche in questa occasione il ruolo del prefetto fu affidato ad un attore in lingua, Ferruccio De Ceresa e fu aggiunto il prologo. Le scenografie furono realizzate da Raimonda Gaetani. La commedia ebbe un grande successo all'estero; fu rappresentata, tra l'altro, a Leningrado, Berlino, Parigi, Vienna, Budapest e Barcellona. In Italia è stata riportata in scena da Luca De Filippo nella stagione 2000-01, con Umberto Orsini nella parte del prefetto e con le scene ed i costumi di Enrico Job.



Un piccola notazione personale: come ho già avuto modo di scrivere, questa è forse la commedia che amo di più tra tutte quelle scritte da Eduardo perché è quella che mi ha fatto appassionare al suo teatro. Oltre al finale, che ho sempre trovato geniale, mi ha sempre molto emozionato la parte del prologo in cui Campese parla della sua concezione del teatro, dove «la suprema verità è stata e sarà sempre la suprema finzione». A questo proposito cito testualmente quanto scrive Paola Quarenghi nella sua nota storico-teatrale alla commedia nell'edizione dei Meridiani:

«Quei baffi attaccati storti a bella posta sono un monumento all'artificialità del teatro, sono il guanto di sfida gettato al pubblico dall'attore, sono il vantaggio concesso dall'artista, sicuro che la sua arte potrà comunque trasportare lo spettatore nei territori dell'illusione; sono un modo per complicarsi la vita, per non cadere nella routine, per mantenere una distanza tra sé e il personaggio. Perché è proprio questa distanza, che chi recita cerca sempre di colmare sapendo che non ci riuscirà mai, a costituire uno dei principali piaceri del teatro. Campese sa bene che non potrà far credere nemmeno allo spettatore più ingenuo di essere davvero Macbeth, così come Gennaro Iovine sa bene che la sceneggiata del finto morto non potrà essere scambiata per vera dal brigadiere, ma entrambi sanno anche che il problema non è far credere vero ciò che neppure i mezzi più realistici potrebbero rendere tale, ma far riconoscere la finzione come un valore necessario. E perché questo avvenga è indispensabile che l'attore per primo ne sia convinto, contro tutte le evidenze, contro tutte le difficoltà, contro tutti i rischi, anche quello del ridicolo. Come per Gennaro Iovine e per Campese, così per Eduardo, le prime qualità che un attore deve possedere sono la determinazione, il coraggio e la fede nella propria arte» (pag. 1178-1179). 



Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. III, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Il testo della Lettera aperta al Ministro dello Spettacolo Umberto Tupini è tratto dai contenuti speciali del DVD L'arte della commedia, 01 Distribution 


Sullo stesso argomento:
In principio fu una divisa da maresciallo

Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per aver visitato questo blog!