giovedì 1 aprile 2010

1 aprile 1937. L'abito nuovo

L'ammirazione di Eduardo per Luigi Pirandello risale agli anni della sua gioventù e lui stesso ricorderà l'emozione provata quando assistette alla rappresentazione di Sei personaggi in cerca d'autore al Mercadante di Napoli. Negli anni Trenta la Compagnia"Teatro Umoristico I De Filippo" si cimentò più volte con opere dello scrittore siciliano: L'imbecille nel 1933, Liolà nel 1935, L'uva rosa e Il berretto a sonagli nel 1936. A proposito di quest'ultima, fu lo stesso Pirandello che chiese a Eduardo di metterla in scena e, nonostante dichiarò che «Ciampa era un personaggio che attendeva da vent'anni il suo vero interprete», si rammaricò del fatto che le repliche di questo spettacolo avessero fatto rimandare la messa in scena de L'abito nuovo.
La prima volta in cui parlarono della possibilità di realizzare un testo teatrale dalla novella omonima fu nel 1933, durante un incontro che i due ebbero nel camerino del teatro Sannazzaro di Napoli. In quella occasione Eduardo aveva chiesto di poter tradurre in napoletano Liolà che fu poi rappresentata, appunto, nel 1935, anno in cui si concretizzò il progetto de L'abito nuovo. Secondo quanto scrisse Eduardo, Pirandello stesso propose di lavorare insieme alla stesura.

La commedia fu scritta nel dicembre del 1935, mentre i De Filippo erano impegnati al Teatro Valle di Roma. «A Roma, durante l'ultima stagione che feci al Valle, dicembre '35, per quindici giorni, dalle cinque del pomeriggio alle otto di sera sono stato al suo scrittoio».
Eduardo fornisce a più riprese notizie diverse su come la commedia avesse preso forma, riferendo in un'occasione che scrissero insieme i dialoghi mentre in un'altra risulta che il grande scrittore siciliano avesse abbozzato la scaletta dei tre atti, descrivendo sommariamente scena per scena i fatti e lasciando a Eduardo il compito di "dialogare" in napoletano, riprendendolo quando questi tendeva ad italianizzare le espressioni. Anche Peppino darà una sua versione, mettendo in evidenza una sua partecipazione alla stesura che «avveniva sotto dettatura del Maestro e io e mio fratello alla scrivania a scrivere ciò che egli elaborava nella sua diabolica e insuperabile fantasia di scrittore. Ci si scambiava dei consigli, che Lui accettava, a volte divertito, quando si trattava di fermare sul copione una sfumatura comica» (Peppino De Filippo,Strette di mano, ed. Marotta).

Peppino non era convinto della scelta del fratello di affrontare il repertorio pirandelliano a scapito di quello tradizionale napoletano tanto che, a proposito della prima de L'abito nuovo scrisse nella sua biografia: «Il fiasco fu così totale che dovemmo togliere dal cartello il lavoro dopo appena due sere e addirittura rinunziare a rappresentarlo in altre città». In realtà la commedia fu ripresa sia al Quirino di Roma che al Verdi di Trieste. Anche quando la compagnia mise in scena  Liolà di cui, oltre ad essere l'interprete principale curò la versione in napoletano, Peppino aveva mostrato perplessità che erano senz'altro aumentate con la rappresentazione del Berretto a sonagli ed ora de L'abito nuovo, nelle quali ricopriva ruoli non di primo piano. Iniziano in quegli anni a manifestarsi i primi motivi di contrasto tra Eduardo e Peppino che porteranno alla rottura definitiva nel 1944.
La novella è incentrata sul dramma interiore di Michele Crispucci, che si trova ad ereditare una fortuna dalla sua defunta moglie, la quale aveva abbandonato lui e la figlia anni prima per condurre una vita dissoluta. Crispucci è combattuto tra il suo senso morale, che lo porterebbe a respingere questa eredità, e le pressioni esterne di colleghi e vicini che in maniera opportunistica lo esortano ad approfittare di questa insperata fortuna. Crispucci parte per sbrigare le questioni legate all'eredità e, al suo rientro, si presenta alla madre e alla figlia con un abito nuovo che non gli calza per nulla e che ha sostituito quello vecchio. «L'abito che quel povero Crispucci indossava da tempo immemorabile, nessuno riusciva più a considerarlo come una cosa soprammessa al suo corpo, una cosa che si potesse cambiare»Quando la figlia gli domanda se abbia cenato, Crispucci risponde, lapidario: «Wagon-restaurant», segno del suo arrendersi alla nuova condizione.

Nella commedia il travaglio interiore di Crispucci viene esplicitato. La figura della moglie è più definita e veniamo a sapere che, dopo aver abbandonato la famiglia, è diventata la stella di un circo, oltre che essere mantenuta da numerosi amanti. La morte della donna avviene, fuori scena, a metà del primo atto quando, passando in trionfo per le strade di Napoli, viene travolta dai cavalli del suo circo. Questo mentre Crispucci sta discutendo con Concettino Minutolo, figlio di un avvocato e fidanzato di sua figlia Assuntina. Il giovane, a causa della cattiva reputazione della madre, vuole lasciare la ragazza. Nel momento in cui Crispucci viene a conoscenza dell'eredità, vorrebbe rinunciarvi per non infangare con essa l'onore di sua figlia. Ma proprio questa eredità farà cambiare idea a Concettino. Michele si reca nella lussuosa villa di Posillipo della defunta per prendere visione dei suoi averi. Al rientro troverà Assuntina in procinto di fuggire con Minutolo. Crispucci appare trasformato avendo accettato l'eredità infamante; indossa infatti una abito nuovo, fuma sigari, beve champagne e mangia al wagon-retaurant. Contrariamente però a quanto avveniva nella novella, al vedere la figlia vestita con gli abiti ed i gioielli della madre, che nel frattempo erano stati recapitati a casa loro, rivedendo in lei l'immagine della moglie, non sopportando tale dolore, muore.





Poco dopo aver completato la stesura della commedia, i De Filippo metteranno in scena Il berretto a sonagli. Più volte Pirandello sollecitò la messa in scena de L'abito nuovo. Riuscì ad assistere solo alla prima prova al teatro Quirino di Roma. Il 10 dicembre 1936 morì. La commedia andò in scena il 1° aprile 1937 al teatro Manzoni di Milano, sulla scia dell'emozione per la morte recente di Pirandello ed ebbe alcune critiche positive, altre meno.

«Eduardo De Filippo ha dato a Michele Crispucci una sofferenza umiliata, acerbe rivolte morali, spasimi frementi, e, nell'ultima scena, ha raggiunto, con un ridere folle, la più irresistibile potenza di commozione […]. Dopo il primo atto cinque chiamate, quattro dopo il secondo, ed otto, caldissime e insistenti, dopo il terzo».(Renato Simoni, Corriere della Sera, 2 aprile 1937)

«Privati di una guida illuminata […] i De Filippo non hanno voluto o saputo colmare le lacune, i vuoti del dramma, peggiorando anzi l'esito di un esperimento che veniva  perdere la sua ragion d'essere e ogni originalità, con l'attenersi fedeli fino allo scrupolo ad un testo che dobbiamo ritenere non dettato da Pirandello, ma suggerito da Edoardo De Filippo in quelle sedute preliminari in cui Pirandello proponeva l'ossatura d'ogni scena e l'attore un primo impasto di dialogo, che avrebbe poi dovuto servire da modesta traccia». (Enrico Roma, Perseo, 15 aprile 1937).

Dopo le recite milanesi la commedia fu ripresa al Teatro Quirino di Roma nel giugno di quello stesso anno e poi ancora al teatro Verdi di Trieste il 1° dicembre 1938. Nel 1964 Eduardo ne realizzò anche la versione televisiva.

Bibliografia
Eduardo De Filippo, Cantata dei Giorni pari, a cura di Anna Barsotti  (Einaudi)
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. I, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)


Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per aver visitato questo blog!