mercoledì 29 dicembre 2010

Sergio Martin. Il recital di poesie al Pier Lombardo di Milano

Recentemente ho pensato che mi sarebbe piaciuto pubblicare in questo blog qualche testimonianza in prima persona di chi avesse avuto la fortuna di conoscere e lavorare con Eduardo. Impresa ardua per chi, come me, non ha conoscenze dirette nell'ambiente né altre referenze se non la mia passione.

Poco più di un mese fa ero alla ricerca del Catalogo della mostra "Eduardo De Filippo. Vita e opere", realizzata nel 1986. Il volume viene spesso citato nelle bibliografie ma è praticamente introvabile. Decisi di fare un ultimo tentativo scrivendo direttamente al curatore del catalogo  che, in collaborazione con Isabella Quarantotti De Filippo, ha lavorato alla realizzazione della mostra, Sergio Martin. Si è rivelato persona di rara cortesia e disponibilità: non solo è riuscito a trovarmi una copia del Catalogo che cercavo da anni, ma si è anche reso disponibile a regalarmi un pezzetto della sua storia personale e lavorativa con Eduardo, e di questo lo ringrazio davvero di cuore.

Sergio Martin è nato a Oderzo nel 1951, ha studiato sociologia e si definisce «un operaio della cultura. Mi piace cercare di fare cose che altri non riescono a fare o non ci pensano, per poi sentirmi dire "Facile fare una mostra su Fo"(quando nessuno aveva il coraggio di farla…)».  Ha curato, tra le altre, le mostre Disegni a Teatro di Dario Fo (1980), presso la Galleria Marconi di Milano; Il Teatro dell'Occhio (1984), esposizione completa su Dario Fo, in collaborazione con il premio A.T.E.R. di Riccione diretto da Franco Quadri e allestita anche a Londra,  Copenaghen, Monaco, Madrid, Stoccolma; la già citata Eduardo De Filippo. Vita e opere (1986) presso il teatro Mercadante di Napoli, riaperto dopo 22 anni in quella occasione; La Voce delle immagini (1995), selezione delle copertine del Giornale di Indro Montanelli, al Café Procope di Torino, di cui è stato direttore; Il Cuore dell'Unità/Tre anni di Tangentopoli e dintorni(1995), persone, fatti e misfatti da Ellekappa a Michele Serra. Ha inoltre lavorato e organizzato spettacoli con grandissimi nomi della musica leggera come  Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Fabrizio De André, Paolo Conte, Tony Esposito (www.sergiomartin.it).

Nel 1980, insieme a Andrée Ruth Shammah organizzò, al Salone Pier Lombardo di Milano, il primo recital di poesie tenuto da Eduardo. E proprio questo evento ha voluto raccontare:

«Approdai al Salone Pier Lombardo, aperto da pochi anni da Andrée Ruth Shammah, Gian Maurizio Fercioni e Franco Parenti, usciti da un Piccolo Teatro che consideravano troppo stretto, all’inizio della stagione teatrale 1979-1980. 

martedì 21 dicembre 2010

21 dicembre 1973. Gli esami non finiscono mai

«È una commedia in due tempi, a quadri e quadretti, con un'avvertenza dell'autore al principio a sipario chiuso, con un intervallo di pura convenienza fra i due tempi, per mandare gli spettatori a riposarsi un poco  nei corridoi. È la biografia di un uomo come tanti, dal giorno in cui, presa la laurea, egli crede che gli esami siano finiti, al giorno in cui egli muore e gli esami del prossimo invadente continuano ancora. Un lunghissimo esame, una continua resa dei conti agli altri, a se stesso, alla curiosità, alla malevolenza del mondo, di tutte le sue azioni, delle corna che gli mette sua moglie, delle corna che egli mette a sua moglie, dei soldi che spende, di quelli che non spende».

In una intervista che risale al 1947, Eduardo aveva raccontato quella che sarebbe stata l'ultima commedia da lui scritta e messa in scena un quarto di secolo dopo. Negli anni Cinquanta viene annunciata come lavoro in programma quasi ad ogni stagione teatrale, sembra essere accantonata nel decennio successivo, per vedere finalmente la luce nel 1973. Eduardo del resto spesso lasciava maturare spunti e idee di commedie anche per periodi molto lunghi. Come spiegò agli alunni di una scuola media che gli avevano chiesto come nascesse una commedia, proprio prendendo ad esempio la lunga gestazione de Gli esami non finiscono mai,  scrisse: «In genere non mi sono mai pentito d'avere aspettato: resistere agli anni e ai dubbi è la miglior prova della vitalità artistica d'una idea».

venerdì 17 dicembre 2010

'A ggente



'A ggente ca me vede mmiez' 'a via
me guarda nfaccia e ride. Ride e passa.
Le vene a mmente na cummedia mia,
se ricorda ch'è comica, e se spassa.



Redite pé cient'anne! Sulamente,
v' 'o vvoglio dì pé scrupolo 'e cuscienza:
io scrivo 'e fatte comiche d' 'a ggente...
E a ridere, truvate cunvenienza?


...Nun credo.
[1949]


Da Le poesie di Eduardo (pag. 91), Einaudi

sabato 11 dicembre 2010

11 dicembre 1948. Le voci di dentro

Nel 1948, dopo poche repliche della commedia La grande magia appena presentata, e sospesa quasi subito a causa della malattia di Titina, Eduardo scrisse in pochi giorni Le voci di dentro. Secondo varie testimonianze fu scritta nella stanza di un albergo milanese e provata in corso d'opera dagli attori della compagnia che ricevevano il copione con le nuove scene man mano che queste venivano scritte. Eduardo avrebbe per questo motivo partecipato solo alle ultimissime prove.
La commedia è lo specchio degli anni del dopoguerra, in cui sembrano essere cadute tutte le speranze di una rinascita dopo il disastro del conflitto, soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra gli esseri umani. «Il sogno è la spia di un'inquietudine che ci attanaglia. I personaggi di questa commedia portano in sé l'ansia di una guerra appena finita, di violenze non dimenticate» (intervista di Eduardo a Giulio Baffi nel 1977). Quegli anni tra l'altro furono teatro di eclatanti fatti di cronaca nera, come ad esempio il caso della "saponificatrice di Correggio", o l'assassinio a Milano di una donna e dei suoi tre figlioletti, uccisi da Caterina Fort. Anche queste vicende, che colpirono in maniera particolare l'opinione pubblica, probabilmente ebbero una loro influenza sulla composizione della commedia.

Alberto Saporito, che insieme a suo fratello Carlo svolge il mestiere di "apparatore di feste", accusa i vicini di casa, la famiglia Cimmaruta, di aver ucciso il suo amico Aniello Amitrano. Insieme a Carlo organizza la loro cattura da parte delle autorità ma quando arriva il momento di presentare le prove del delitto - una scarpa, la camicia insanguinata - che gli assassini avrebbero occultato in casa, si rende conto che in realtà ha sognato il fatto. Questa sua convinzione però comincia a vacillare quando i Cimmaruta, dopo essere stati rilasciati, si recano uno alla volta in casa di Alberto per denunciarsi a vicenda: la zia accusa il nipote, il nipote la zia, il marito la moglie e viceversa. Anche la cameriera della famiglia si reca da Alberto per metterlo in guardia: i Cimmaruta stanno progettando di ucciderlo per impedirgli di presentare le prove. A tutto questo andirivieni assiste zi' Nicola, lo zio di Alberto che vive in un mezzanino ricavato nello stanzone in cui sono ammucchiate le sedie ed i materiali che rappresentano il piccolo patrimonio dei fratelli Saporito. Zì Nicola non parla, si rifiuta di farlo perché «Dice che parlare è inutile. Che siccome l'umanità è sorda lui può essere muto». Per esprimersi utilizza i fuochi artificiali e Alberto è l'unico che riesce a capirlo. Le uniche parole che pronuncerà saranno al momento della sua morte, quando, durante un litigio dei Cimmaruta, esclama «Per favore, un poco di pace!» e lancia il suo ultimo razzo, un bengala verde che annuncia la sua dipartita.

Poiché Aniello Amitrano sembra essere veramente scomparso, il brigadiere va da Alberto per arrestarlo in quanto accusato di non voler fornire le prove del delitto. Alla presenza di tutta la famiglia Cimmaruta però Alberto, dopo averli accusati nuovamente di essere degli assassini, fa entrare Amitrano, vivo e vegeto, che si era allontanato da casa per alcuni giorni a causa di un litigio con sua moglie. Le accuse sembrano quindi crollare ma Alberto potrà sfogare  il suo sdegno nei confronti di chi ha creduto possibile un delitto, tanto da metterlo "nel bilancio di famiglia". 





La commedia debuttò al Teatro Nuovo di Milano l'11 dicembre 1948 e fu poi rappresentata a Torino, Napoli e Roma. L'accoglienza fu molto buona anche se non entusiastica, soprattutto da parte della critica, per il suo pessimismo, per il suo essere allo stesso tempo una commedia realistica e simbolica, per l'ambientazione piccolo-borghese e non più popolare, per aver voluto superare la dimensione dialettale. Fu comunque molto apprezzato il personaggio dello zì Nicola, per il quale Eduardo si ispirò ad un personaggio realmente esistito: «In una vecchia raccolta di articoli c'è un pezzo di Ferdinando Russo che parla di un fuochista napoletano [...]. Era un poeta dei fuochi artificiali. [...] Aveva un suo modo d'esprimersi attraverso questa forma. Siccome io avevo bisogno di un personaggio che rappresentasse la saggezza (e la saggezza non può parlare), allora mi ricordai di zio Nicola [...] E nella commedia lo faccio parlare solo quando muore». La commedia fu ripresa molte volte negli anni successivi ed il suo successo andò aumentando, soprattutto a partire dagli anni '70 e dopo l'edizione televisiva realizzata nel 1978. L'ultima ripresa della commedia, nella stagione 1976-77 ebbe un successo straordinario; il pubblico si accalcava in lunghe file fin dall'alba per assicurarsi un posto in teatro. Il critico Renzo Tian scrisse su "Il Messaggero" il 21 gennaio 1977: «Rivedere dopo molti anni Le voci di dentro (nata nel 1948) vuol dire accorgersi che il grande Eduardo, quello più profondo e segreto (a cui questa commedia certamente appartiene) è un visionario che solo incidentalmente si esprime in termini realistici. La grande metafora delle Voci di dentro è appunto quella della visione. E una visione, più che un sogno, è quella di Alberto Saporito che "vede" un delitto accaduto. [...] E quello che succede dopo non è tanto la vittoria della visione o della realtà, ma il modo dialettico e drammatico che si accende tra i due poli».

Oltre all'edizione del '78 era stata registrata un'altra versione televisiva nel 1962 che però è andata persa. Ne fu realizzata inoltre anche una registrazione per la radio nel 1951. Nel 1966 fu girato un film dal titolo Spara forte, più forte… Non capisco! ispirato alla commedia, diretto dallo stesso Eduardo, che firmò la sceneggiatura insieme a Suso Cecchi D'Amico e interpretato da Marcello Mastroianni che però non ebbe alcun successo. La commedia fu messa in scena nel 1991 da Carlo Giuffrè e nel 2004 da Alfonso Santagata. Nel 2006-2008 è stata ripresa dalla Compagnia di Luca De Filippo, con la regia di Francesco Rosi.
  

Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. II, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Fiorenza Di Franco, Eduardo (Gremese Editore)


giovedì 9 dicembre 2010

9 dicembre 1960. Il sindaco del Rione Sanità

«È una commedia simbolica, non realistica [che] parte da un personaggio vivo, vero, che affonda le proprie radici nella realtà ma poi si sgancia da essa, si divinizza, si sublimizza, per dare una precisa indicazione alla giustizia» (Intervista a Sergio Lori, Il Dramma, nov-dic 1972). Così Eduardo definì Il sindaco del Rione Sanità, commedia scritta nel 1960, per il cui protagonista si ispirò ad un personaggio realmente esistito. Torna ad affrontare il tema della giustizia, visto dalla parte dei più deboli che, come Filumena o come Vincenzo De Pretore, sentono lontana da loro. Eduardo del resto era sempre stato attratto dalle aule di tribunale, dove spesso si recava spinto dal suo «spirito di osservazione immancabile, ossessivo […] A poco a poco misi insieme una folla di diseredati, di ignoranti, di vittime e di aguzzini, di ladri, prostitute, imbroglioni, di creature eroiche e esseri brutali, di angeli creduti diavoli e diavoli creduti angeli. Ancora oggi essi sono con me, assieme a tanta altra umanità che man mano ha accresciuto la folla iniziale». Quando poi fu nominato senatore a vita nel 1981, prese a cuore la causa del recupero dei giovani detenuti nelle carceri minorili.

Antonio Barracano è il primo protagonista eduardiano dotato di vero carisma. Secondo Anna Barsotti «anche questo protagonista che agisce, e non subisce, è un visionario, uno che, convinto di vedere oltre, travede: un prigioniero del sogno, anche lui». Sulle  pagine della rivista "Sipario" il critico Roberto Rebora ne scrisse in questi termini: «Don Antonio Barracano è un bellissimo personaggio, solo, sfiduciato, deluso, saggio e ostinato. Si muove tra la gente carico di pietà ma è lontano come un affresco tra le nuvole». Gode nel Rione Sanità di grande stima e rispetto da parte della gente del quartiere che protegge da anni, intervenendo nelle dispute ed evitando che ricorrano ai tribunali, dove avrebbero difficoltà a far valere i propri diritti. Lui stesso in gioventù era rimasto vittima di un'ingiustizia che segnò per sempre la sua vita: era infatti stato  picchiato per motivi futili da "Giacchino della tenuta Marvizzo". Non avendo testimoni non poté ottenere giustizia e quindi lo uccise. Fu costretto per questo a fuggire in America e, tornato dopo aver fatto fortuna, ricorse a falsi testimoni, ottenne la revisione del processo e l'assoluzione per legittima difesa. Accanto a lui c'è il dottor Fabio Della Ragione che, dopo aver passato anni a curare feriti e ad estrarre pallottole, vorrebbe lasciare don Antonio perché è stanco di girare a vuoto difendendo i delinquenti del quartiere. Si rivolge al Sindaco un giovane, Rafiluccio Santaniello, che gli annuncia di voler uccidere suo padre il quale, dopo averlo cacciato dalla sua bottega di panettiere, lo scredita impedendogli di rifarsi una vita. Antonio interviene presso il padre di Rafiluccio ma questi lo invita a non intromettersi nei suoi fatti privati. Quando Antonio si reca nella sua bottega per fare un ultimo tentativo, Santaniello, spaventato, lo accoltella e lo ferisce gravemente. Per evitare che si perpetui la catena di omicidi e di vendette, il Sindaco organizza una cena, con il pretesto di salutare il dottor Della Ragione in partenza per l'America. Barracano vuole mettere in scena la sua "morte naturale" davanti a dei testimoni.  Viene portato con la forza anche Santaniello, già pronto a fuggire dopo aver corrotto l'unico testimone dell'accoltellamento, un uomo che pochi giorni prima aveva giurato a don Antonio eterna riconoscenza per averlo aiutato in una situazione difficile. Quando sopraggiunge la morte, il dottore decide di non partire più e di prendere il posto di don Antonio, denunciando però la verità su quanto avvenuto.


La commedia debuttò il 9 dicembre 1960 al Teatro Quirino di Roma, dove ebbe un'accoglienza straordinaria. La critica apprezzò moltissimo sia l'interpretazione di Eduardo, fatta di lunghe pause, di sguardi, sia la commedia, soprattutto il primo atto, che la sua regia. Qualche perplessità fu espressa sul terzo atto; secondo Giorgio Prosperi «come spesso accade nei lavori di Eduardo volge di colpo al patetico [facendo rimpiangere] il puro teatro degli atti precedenti». Giovanni Mosca scrisse: «Commedia ambiziosa, come tutte le commedie di Eduardo, e non dico mancata, ma incompleta, zoppicante, ed il finale è un fiume di retorica, ma chi se ne accorge? Quando l'autore sta per scivolare, c'è sempre l'attore a sostenerlo, e con mano tale che il pericolo dello scivolone si risolve nella meraviglia e nella felicità di un volo».

La commedia fu rappresentata al San Ferdinando di Napoli, quindi a Bologna e a Firenze. A Milano giunse nella successiva stagione 1961-62 e fu portata in tournèe in Europa dell'Est nella primavera del '62. Fu poi ripresa nelle stagioni 1972-73 e 1973-74. Furono realizzate due versioni per la TV, la prima nel 1964 e la seconda nel 1979.

Nel 1972, quando uscì il film Il Padrino, vincitore di tre premi Oscar, qualcuno lo accostò alla commedia di Eduardo, che però rifiutò decisamente questo accostamento con il malavitoso del film: «Quello del Padrino è un personaggio… al centro di una ragnatela grigia. Che è la mafia. [...] Mentre il mio don Antonio, se la piglia con la magistratura! Eh già! Dice: la legge è fatta bene, sono gli uomini che si mangiano fra di loro! Dice quel che sta succedendo: la corruzione! Quel che succede adesso» (Gerardo Guerrieri, "Il Giorno", 23 aprile 1976).



Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. III, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni dispari, vol. terzo, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)
Fiorenza Di Franco, L'impegno civile di Eduardo De Filippo, in Atti del Convegno di studi sulla drammaturgia civile e sull'impegno sociale di Eduardo De Filippo senatore a vita, a cura di Elio Testoni (Rubettino)


mercoledì 8 dicembre 2010

8 dicembre 1940. Non ti pago

«Una commedia molto comica che secondo me è la più tragica che io abbia scritto», così Eduardo definì Non ti pago, parlando agli studenti del corso di Drammaturgia che tenne nel 1982-83 all'Università La Sapienza di Roma.
La commedia fu scritta nel 1940, in un particolare momento della storia della compagnia formata dai tre fratelli. Titina infatti aveva da poco lasciato Eduardo e Peppino per tornare al teatro di rivista insieme a Nino Taranto. Fino a quel momento la scelta delle commedie da rappresentare era stata influenzata dalla necessità di tenere conto di tutte e tre le personalità, prediligendo quindi lavori in cui i rispettivi ruoli risultassero equilibrati. Nel momento in cui Titina lasciò la compagnia, in cui svolgeva anche un ruolo di mediatrice tra i due fratelli, i lavori messi in scena dei De Filippo iniziarono a rappresentare situazioni di contrapposizione tra due personaggi, come appunto in Non ti pago, in cui troviamo Ferdinando Quagliuolo, il gestore di un banco lotto, ed il suo dipendente, Mario Bertolini. Ferdinando è un accanito giocatore; aiutato da Aglietiello, uomo di fatica  in casa sua, passa le nottate sui tetti cercando i numeri da giocare addirittura attraverso l'interpretazione della forma delle nuvole, senza tuttavia riuscire a realizzare le vincite sperate. Bertolini, al contrario, è fortunatissimo e incassa vincite in continuazione, il che lo rende particolarmente odioso a Ferdinando. Bertolini inoltre è innamorato di Stella, la figlia di Ferdinando, e vorrebbe sposarla. Il casus belli è rappresentato da una quaterna milionaria centrata dal giovane, grazie ai numeri 1, 2, 3 e 4 che gli sono stati suggeriti in sogno dal padre di Ferdinando che, naturalmente, va su tutte le furie. Si rifiuta quindi, in qualità di gestore del banco lotto, di pagare la vincita, sostenendo che questa spetta a lui. Bertolini infatti abita nella casa che una volta era di Ferdinando e nel sogno, il padre lo ha chiamato "piccerì", proprio come chiamava in vita suo figlio.

Nel secondo atto la moglie Concetta, chiamando in aiuto anche il parroco, cercherà di convincere Ferdinando a restituire il biglietto che aveva sottratto a Bertolini ed a pagare la vincita, ma saranno sforzi vani. Ferdinando ricorre anche all'assistenza di un avvocato che, di fronte all'assurdità delle sue pretese lo abbandonerà. Ferdinando allora finge di aver perduto il biglietto, convoca Bertolini e, sotto la minaccia di una pistola, a cui aveva in precedenza tolto i proiettili, cerca di costringerlo a firmare una dichiarazione con cui rinuncia alla vincita. Bertolini però, messo sull'avviso da Aglietiello, si rifiuta di firmare. Ferdinando, esasperato lo colpisce alla testa con l'impugnatura della pistola. Bertolini sembra essere uscito trionfatore da questo scontro e minaccia di denunciare Ferdinando. Questi allora per dimostrare che la sua era solo una messa in scena, preme il grilletto ma dall'arma parte veramente un colpo. Spaventato da quello che sarebbe potuto succedere, Ferdinando consegna il biglietto al suo contendente ma lancia la sua "maledizione".

Nel terzo atto veniamo a sapere che la maledizione ha avuto il suo effetto e Bertolini è rimasto vittima di una serie ininterrotta di incidenti e disgrazie che gli hanno impedito di entrare in possesso della vincita. Decide di restituire il biglietto a Ferdinando che a questo punto dà il suo consenso alle nozze tra Bertolini e sua figlia Stella, che porterà in dote i quattro milioni della vincita.

La commedia fu rappresentata per la prima volta l'8 dicembre 1940 al Teatro Quirino di Roma in una versione diversa, che successivamente Eduardo modificò in quella che è nota ancora oggi. Nella stesura originale Ferdinando, abbandonato da tutti i suoi familiari, si vedrà costretto a cedere a Bertolini il biglietto e a dare il consenso per il matrimonio con Stella. La critica accolse in maniera molto positiva la commedia, tributando grandi elogi sia ad Eduardo in quanto autore, sia all'interpretazione di entrambi i fratelli. Scrisse a questo proposito Renato Simoni sul Corriere della Sera: «Procopio[nella prima versione questo era il nome di Bertolini] è un po' una maschera; ma Ferdinando è un personaggio [...] Eduardo De Filippo ha rappresentato l'ira sbalordita, la convinzione testarda, l'irragionevolezza raziocinante, la grandigia prepotente di Ferdinando salendo dai toni che suscitano il riso a quelli che sfiorano il dramma, e Peppino ha inciso i segni caricaturali di Procopio nella più bella e viva sostanza della comicità napoletana». Per la prima volta si iniziano a considerare i testi di Eduardo al di fuori del teatro dialettale ma come dei veri e proprio testi drammaturgici. «Nei De Filippo c'è […] una tendenza allo studio, all'ordine, che li salva dal pericoloso mare dei dialetti e ci fa azzardare l'ipotesi che la commedia italiana possa resuscitare passando per Napoli [...]. Senza voler esagerare ci si accorge che sono più vicini loro alla letteratura di quanto non lo siano molti autori d'oggi al teatro» (Ennio Flaiano).
  
Nel 1942 fu realizzata la versione cinematografica con tutti e tre i fratelli e con la regia di Carlo Ludovico Bragaglia, che firmò anche la sceneggiatura. In questa versione il testo originale fu rielaborato e venne introdotta anche la trovata della "maledizione" che fu poi proposta anche nella nuova versione teatrale, elaborata da Eduardo quando riprese la commedia nel dopoguerra. Forse per il fatto che Peppino aveva lasciato la compagnia, il ruolo di Bertolini viene ridimensionato, non essendoci più ad interpretarlo un attore della sua levatura. Nel 1964 fu registrata la versione televisiva.

Non ti pago fu rappresentata nelle stagioni dal 1940 al 1945. Fu poi ripresa nel 1947 fino al 1950, poi di nuovo dal 1953 al 1956, nel 1962-63, e nel 1968-69, quando la parte di Bertolini fu affidata al giovanissimo Luca De Filippo che appariva in cartellone con il nome di Luca Della Porta e che la riportò in scena nella stagione 1989-90, nel ruolo di Ferdinando.

Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. I, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni pari, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)


Sullo stesso argomento

domenica 28 novembre 2010

La parte amara della risata

Io le commedie di Eduardo le guardo "con la pancia" e, dal momento che è la mia passione, non posso che rimanerne incantata. Oggi pomeriggio sono andata al teatro Quirino ad assistere a Le bugie con le gambe lunghe, portata magistralmente in scena da Luca De Filippo e la sua compagnia. Quando la scorsa settimana sono andata, sempre al Quirino, a sentirlo parlare della commedia, intervistato dal critico de "Il Mattino" Enrico Fiore, quest'ultimo ha raccontato un aneddoto legato a questo testo. Sembra che un "attoruncolo" fosse andato da Eduardo a chiedergli una sua commedia da rappresentare e lui gli propose proprio Le bugie. L'"attoruncolo" allora gli disse: "Ma come, questa è una commedia minore". Eduardo, che notoriamente non era uno che le mandava a dire, replicò gelido: «Io non ho mai scritto commedie minori». Verissimo.

Questo lavoro in effetti non è stato molto rappresentato, né dal suo autore, né da altri. Nel 1990 Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice ne allestirono una fortunata messa in scena ma resta comunque una tra le meno note della produzione eduardiana. In realtà è un peccato perché è un testo in cui ci sono numerosi spunti farseschi che fanno da corona ad un tema invece molto attuale, come ha ben spiegato l'altra sera Luca.

Eduardo sosteneva che l'umorismo fosse «la parte amara della risata». Quando lo scorso anno andai a vedere Filumena Marturano, sono rimasta piuttosto infastidita dalle risate a sproposito di parte del pubblico presente che interrompevano il mio stato di semi-trance ed il nodo alla gola con cui ho seguito l'intero spettacolo. Stavolta invece ho riso anche io di gusto perché, come dicevo, situazioni comiche ce ne sono. La "tirata" della madre di Olga sul fatto che sua figlia, nonostante le corna che porta, è e resta comunque "La Moglie", posta sopra il suo piedistallo, è irresistibile, così come le scene isteriche della stessa Olga, le battute buttate qua e là, le controscene mute… C'è da dire che quando si assiste ad una rappresentazione di cui Luca De Filippo, oltre che interprete è anche regista, si va sul sicuro, nel senso che alla sua oggettiva bravura di attore si aggiunge il rigore filologico con cui la commedia viene messa in scena: così come è stata scritta, tale e quale viene rappresentata, senza sbavature, senza cadere nella caricatura, nella macchietta e nel folclore.

Da segnalare le scenografie di Gianmaurizio Fercioni e due bellissimi fondali realizzati da Giacomo Costa, un artista che, dopo aver lavorato sulla sperimentazione fotografica,  è passato alla elaborazione di paesaggi urbani attraverso la manipolazione al computer. Si tratta del fondale che appare dal balcone di casa Incoronato e del sipario che viene calato tra il primo ed il secondo atto. Entrambi rappresentano gli enormi caseggiati-alveare in cui Eduardo ha ambientato questa commedia. Il sipario in particolare sovrasta letteralmente il pubblico in sala, dando una sensazione di angosciosa oppressione.
Ottimi gli attori della compagnia, mi è molto piaciuta Carolina Rosi nel ruolo di Olga, notevole in un paio di scene in cui la donna viene colta da (provvidenziali) attacchi isterici.

Al termine gli applausi sono stati copiosi e meritatissimi e personalmente resto sempre molto colpita dal modo in cui Luca li accoglie, quasi se ne stupisca. Anche in questo è sempre molto misurato, mai eccessivo, mai atteggiamenti da divo. Eppure è bravo, altroché se è bravo.
Io sono uscita davvero molto contenta, anche se rimango sempre con il cruccio che per assistere di nuovo ad uno spettacolo (eduardiano) non mi resta che aspettare la prossima stagione.
Ma forse proprio questo è il bello del teatro.




Sullo stesso argomento:
14 gennaio 1948. Le bugie con le gambe lunghe
Le bugie non finiscono mai

lunedì 22 novembre 2010

È cosa 'e niente...




Questo bellissimo monologo è tratto dallo sceneggiato Peppino Girella che Eduardo scrisse nel 1963 insieme a sua moglie Isabella Quarantotti e tratto da una novella della stessa Isabella intitolata Lo schiaffoLo sceneggiato in sei puntate fu trasmesso dalla Rai. 


domenica 21 novembre 2010

Le bugie non finiscono mai

Giovedì scorso al teatro Quirino di Roma, dopo la rappresentazione pomeridiana di Le bugie con le gambe lunghe, Luca De Filippo ed il critico teatrale de "Il Mattino", Enrico Fiore, hanno parlato de "Le bugie dell'apparenza. Eduardo, una commedia profetica". Personalmente andrò a vedere la commedia domenica prossima ma non ho voluto perdermi questo incontro. Eravamo circa una trentina di persone presenti, la maggior parte delle quali avevano appena assistito alla rappresentazione. Nonostante le sedie piazzate sul proscenio, Luca De Filippo ed Enrico Fiore sono rimasti giù in platea, in piedi davanti alla prima fila di poltrone, come per una chiacchierata informale.
Il critico de "Il Mattino" ha fatto una breve introduzione ringraziando i presenti, innanzitutto per aver scelto di andare a teatro e in secondo luogo per essere rimasti ancora, dopo due ore di spettacolo. Ha poi ricordato un aneddoto risalente al 1979 quando, come consuetudine, dopo i suoi spettacoli Eduardo riceveva in camerino amici e spettatori.

Enrico Fiore: Eduardo era capace di parlare per ore di argomenti di cui non gliene importava assolutamente niente; però nel corso di queste conversazioni ogni tanto buttava "senza parere", fulmineamente, delle cose di una potenza che non ho più ritrovato. E bisognava stare attenti a coglierle; se uno le coglieva era molto apprezzato da Eduardo, se non le coglieva lui diceva: «Questo non è un interlocutore con cui vale la pena di parlare». Quella sera, mentre parlava del più e del meno, ad un certo punto disse una cosa che mi sembra una delle più giuste che siano mai state dette su Napoli: «Non riusciremo a procedere spediti fino a quando non avremo fucilato la dignità». Mi sembrò acuta ma lì per lì io non avevo capito. Poi, rivedendo questa commedia ho capito che ne aveva recitato una battuta, quando il protagonista dice alla sorella che, dopo la guerra, il signor "pare brutto" è morto sotto un bombardamento, la signora "dignità" è stata fucilata. Questa è una commedia profetica, basti pensare ai tempi che viviamo oggi: c'è tutto. Si commettono i peggiori delitti, e in nome di che cosa? Di questa dignità… Eduardo per "dignità" intendeva il falso decoro esteriore, le apparenze. E il nostro è il tempo dell'apparenza, conta più apparire che essere, lo sappiamo tutti; e in nome di questa apparenza si commettono i peggiori delitti.

Luca De Filippo:  Sicuramente è una commedia che punta il dito sulle apparenze. Però mi sembra che oggi questa problematica sia stata superata, nel senso che oramai non importa più a nessuno anche di apparire male, tanto poi si dice "Non è vero. Questo? Mai detto, mai fatto, mi avete frainteso". Aggiungerei anche che il personaggio di Libero è estremamente pessimista, nel senso che si è adeguato al vivere moderno, a quelle che sono le abitudini della gente. Capisce il meccanismo e lo dice alla fine, quando la maschera del cinema gli dice:  «A me che mi importa di dirvi la verità? Se voi mi dite 'io sono il re di Francia', se non ho interesse di smentirvi io dico che siete il re di Francia». Libero allora capisce: «Già, così la voce passa e per chi non ha interesse di smentire, la bugia può camminare. Poi ci sono quelli che non sanno e per questi, col passare del tempo, io veramente sono il re di Francia». Questo è un meccanismo che noi viviamo ora per ora in questo benedetto paese. Oramai siamo abituati a vedere personaggi che si sono costruiti un passato di grande onestà, dignità, ma se poi si va ad indagare può capitare di scoprire: "Ma come, quello era un autista e mo' è diventato quello…".  Ma io mi domando il perché. Siccome tutto questo in Italia lo sappiamo, ma perché lo sopportiamo, o perché c'è gente che lo sopporta? Perché evidentemente sono quelli che non hanno interesse di smentire. Essendoci al potere persone di un certo tipo, c'è chi pensa di poter vivere esattamente nello stesso modo e di avere la possibilità di non pagare le tasse, di fare quello che si vuole, perché la legge non è stata scritta per loro, ecc. ecc. Questa è secondo me la ragione per cui poi in Italia sopportiamo le menzogne, che conosciamo benissimo e continuiamo a sopportare. E siccome non siamo cretini, significa che siamo furbi, immagino… Il problema è che sono molto più furbi di noi, alla fine…
Chiusa questa parentesi, parliamo della commedia. È stata scritta nel '47, io l'ho ambientata più o meno nel '50. In una didascalia iniziale Eduardo precisa che l'azione si svolge in un grande palazzo a sinistra rispetto alla stazione centrale. Sono quei grandi palazzi costruiti immediatamente dopo la guerra e che lui indica come le prime speculazioni edilizie. L'ho ambientata negli anni '50, non più nel dopoguerra, ma durante la ricostruzione e quindi il cemento armato che arriva, il nuovo modo di vivere all'interno di agglomerati, di grandissimi caseggiati. In questo periodo si è verificata una appropriazione indebita di grandi ricchezze da parte di determinati personaggi attraverso la speculazione edilizia. Sono state  costruite le città non più a misura d'uomo ma a loro misura, a loro necessità, con la connivenza della politica, senza più pensare alla necessità che ogni quartiere avesse, non una, ma quattro scuole, avesse un parco, avesse un teatro, zone di divertimento e zone di interesse, musei e quindi oggi ci ritroviamo città invivibili in cui ci scanniamo perché siamo tutti nervosi…

EF: Una notazione tecnica che mi pare importante per gli spettatori… Questa  commedia appartiene alla Cantata dei giorni dispari, cioè quelle commedie di Eduardo scritte dopo la guerra, come Napoli milionaria! e anche qui si parla continuamente della guerra e dei guai che ha lasciato, disillusione, amarezza…

LDF: Questa è una notazione molto interessante perché mentre prima, inNapoli milionaria!, che è del '45,  il rapporto con la guerra è stato un rapporto molto intenso,  i cambiamenti che ci sono stati a Napoli realmente erano derivati dalla guerra, due anni dopo in questa commedia la guerra viene presa a pretesto, diventa una scusa…

domenica 7 novembre 2010

7 novembre 1946. Filumena Marturano

         



Con queste parole Eduardo, durante lo spettacolo Lieta serata insieme a Eduardo e ai suoi compagni d'arte che ebbe luogo al Teatro Tenda di Roma il 29 giugno 1978, ha ricordato come nacque Filumena Marturano, una delle sue commedie più famose e più amate. Come spesso accadeva, dopo averla scritta ne fece una lettura per amici e critici e Titina ricordò così questa circostanza: «Dopo il primo atto i consensi scoppiarono unanimi; dopo il secondo e il terzo nessuno osa parlare. Tutti sembrano impietriti. È commozione? È freddezza? La lettura di Questi fantasmi!, un anno prima, si era conclusa in mezzo alle acclamazioni. Filumena non ebbe lo stesso immediato successo di applausi. Forse era sembrata una commedia estremamente audace e pericolosa».
Prima di metterla in scena Eduardo apporterà diverse modifiche al testo, alleggerendo alcuni passaggi ed eliminando delle scene, soprattutto nel terzo atto. Anche il titolo cambierà, da Filomena Maisto Filomena Trapanese fino al definitivo Filumena Marturano.  Il debutto della commedia fu al Teatro Politeama di Napoli, il 7 novembre 1946. Fin dalle prove tuttavia Titina incontrò molte difficoltà. Non riusciva ad entrare pienamente in sintonia con il personaggio, anche a causa di una certa "paura" che provava Eduardo stesso: «Eduardo […] ora aveva paura di quel personaggio. Aveva messo in scena una prostituta in camicia da notte, le faceva dire parole violente, la faceva inveire, venire a tu per tu con l'immagine della Madonna, ed ora aveva paura. Davanti alla forza di Filumena retrocedeva, veniva a compromessi, cercava la via di mezzo. L'impeto naturale che scattava in me egli lo tratteneva: "Meno, meno. Non ti agitare, non ti muovere… ecco, così. Adesso tieni le braccia lungo il corpo… Basta, basta, per carità… Non muovere i fianchi…!» (Titina de Filippo in Titina De Filippo. Vita di una donna di teatro di Augusto Carloni, ed. Rusconi). La commedia riscosse un buon successo ma sicuramente al di sotto delle aspettative. Eduardo non era soddisfatto della riuscita dello spettacolo e, prima delle recite previste a Roma, mise di nuovo in prova la commedia e allo stesso tempo scrisse Le bugie con le gambe lunghe, da tenere di riserva nel caso in cui Filumena  avesse continuato a non convincere pubblico e critica. Queste nuove prove furono particolarmente faticose per Titina, che continuava a non riuscire ad entrare nel ruolo: «Alla fine ero veramente stanca. Né lui né io eravamo convinti di quello che facevamo… Filumena rimaneva rintanata in me, Filumena non voleva venir fuori! Mi fermai. Glielo dissi. Lo pregai di lasciarmi recitare come sentivo. […] Eduardo capì. […] Simile a un proiettile mi ero lanciata e non mi fermava più nessuno! Vibravo, mi muovevo, fremevo, gridavo. Eccolo il mio personaggio! Lo avevo ghermito […] lo stringevo dicendogli con gioia: finalmente, grida, urla, piangi… ecco, così ti volevo: violenta, fredda, calma, tragica, comica. Ah, Filumena, ti tengo, ti tengo. Non mi scappi più! Ti porterò con me tutta la vita». Quando la commedià debuttò a Roma l'8 gennaio 1947, fu un autentico trionfo.

sabato 6 novembre 2010

6 novembre 1959. Sabato, domenica e lunedì

Nel 1959 Eduardo trascorse i mesi estivi nell'isola di Isca insieme ad Isabella Quarantotti, quando il suo matrimonio con Thea Prandi era ormai quasi alla rottura definitiva. Durante quella vacanza scrisse la sua commedia Sabato, domenica e lunedì. Contrariamente a quanto avveniva di solito, il testo fu pubblicato sul numero di ottobre della rivista «Sipario», prima della messa in scena. I critici poterono quindi giudicarla innanzitutto dal punto di vista letterario, prescindendo dall'interpretazione e dalla regia di Eduardo.
Come già avvenuto in Mia famiglia, affronta il tema del cambiamento dei rapporti tra le generazioni e all'interno della coppia, sullo sfondo ancora una volta la crisi del dialogo. Si tratta di una commedia corale in cui vengono rappresentate tre generazioni che convivono  e che assomigliano ad una compagnia teatrale, a cui si affiancano i vicini di casa, il fidanzato della figlia, la cameriera e suo fratello.

Rosa e Peppino Priore sono una coppia che appartiene alla borghesia benestante, lui è un commerciante con un negozio di abbigliamento ben avviato. Hanno tre figli, Roberto, già sposato, Rocco e Giulianella che vivono ancora in casa. Fanno parte della famiglia anche Antonio, padre di Rosa, Raffaele e Amelia (zia Memè), rispettivamente fratello e sorella di Peppino, e Attilio, figlio della zia Memè. I tre atti corrispondono alle tre giornate del titolo.


La commedia si  apre nella cucina di casa Priore, dove Rosa è intenta a preparare il «rituale ragù» per il pranzo della domenica. Con l'arrivo di Peppino iniziano a trasparire le prime avvisaglie dei malumori che si vivono in casa e che si accentuano quando Rosa annuncia che per il pranzo del giorno successivo sono stati invitati anche i vicini di casa, il ragioniere Ianniello e sua moglie Elena.

PEPPINO (contrariato) Uno aspetta la domenica per passare una giornata in famiglia… nossignore ci vogliono i signori Ianniello a tavola.

Altri motivi di tensione si manifestano tra suocero e genero, tra Rocco e suo padre, che non accetta il fatto che il ragazzo stia aprendo un negozio per conto suo, tra Giulianella, che ha partecipato, incoraggiata dalla zia Memè, ad un provino in  televisione, ed il fidanzato Federico che non approva. Quando arriva il ragioniere che porta dei polipi «che piacciono tanto a donna Rosa», Peppino ha uno scatto di nervi. L'atto si conclude, dopo l'ennesimo litigio tra marito e moglie, sulle lacrime di donna Rosa che, dopo aver giurato di non mettere più piede in cucina perché «tutto quello che faccio in questa casa è perduto», torna vicino ai fornelli dove sta cuocendo il ragù ed inizia a spezzare gli ziti per il pranzo del giorno dopo.

Nel secondo atto tutta la famiglia, oltre al ragioniere e sua moglie, si riunisce intorno alla tavola. Si verifica qui l'avvenimento più importante della commedia. Peppino, che inizialmente non partecipa al rito del ragù domenicale, ad un tratto lascia esplodere la sua ira nei confronti del ragioniere che, secondo lui,  rivolge troppe attenzioni a sua moglie Rosa e, al culmine della rabbia li accusa addirittura di avere una relazione. A questa affermazione Rosa reagisce, accusando a sua volta Peppino di trascurarla e di non apprezzare il modo in cui lei ha portato avanti la casa e la famiglia. Alla fine dello sfogo, a cui tutti assistono allibiti, sviene.

martedì 2 novembre 2010

Pier Paolo

Non li toccate
quei diciotto sassi
che fanno aiuola
con a capo issata
la «spalliera» di Cristo.
I fiori,
sì,
quando saranno secchi,
quelli toglieteli,
ma la  «spalliera»,
povera e sovrana,
e quei diciotto irregolari sassi,
messi a difesa
di una voce altissima,
non li togliete più.
Penserà il vento
a levigarli,
per addolcirne
gli angoli pungenti;
penserà il sole
a renderli cocenti,
arroventati
come il suo pensiero;
cadrà la pioggia
e li farà lucenti,
come la luce
delle sue parole;
penserà la «spalliera»
a darci ancora
la fede e la speranza
in Cristo povero.
[1975]
 Da 'O penziero e altre poesie (pag.38), Einaudi

Questa poesia, pubblicata sul quotidiano Paese Sera, fu scritta da Eduardo in occasione della morte di Pier Paolo Pasolini, ucciso all'idroscalo di Ostia la notte tra l'1 e il 2 novembre 1975. Eduardo ammirava Pasolini, con il quale aveva anche in cantiere la realizzazione di un film. Il progetto non fu mai realizzato per la morte prematura di Pasolini.


domenica 31 ottobre 2010

L'ultimo dei suoi silenzi


«Eduardo è entrato nell'ultimo dei suoi silenzi: ha prolungato e reso definitivo uno dei lunghi silenzi parlanti per mezzo dei quali, sulla scena e fuori della scena, parlava senza parole. Dobbiamo per forza pensare così, se vogliamo vincere la irragionevole ma incoercibile convinzione che Eduardo c'è ancora, non può non esserci, e che di lui possiamo ancora parlare al tempo presente: dobbiamo pensare che sia entrato nel silenzio infinito che si carica di infiniti significati e infinite parole. [...] E anche adesso, nel grande silenzio dilatato che è sceso su di noi, ci ostiniamo a pensare che Eduardo ci parli ancora. Che ci sia un dopo-Eduardo, come tante volte si è immaginato. Che prima o poi Eduardo faccia il miracolo di farci arrivare una di quelle commedie alle quali andava pensando da tempo e delle quali aveva depositato i titoli allusivi come Angela Pace, Teresa Triunfo, Pare brutto, È nata la fine. Sappiamo per certo che, nel silenzio di Eduardo attore, sentiremo ancora parlare la sua voce. Quella di scena, che verrà a ricordarci in cento lingue quale fosse la "grande magia" di colui che sapeva distillare o abolire le parole. Quella fuori di scena, che continuerà a pungolarci e a tenerci compagnia con i pensieri più semplici. Come quello che Eduardo amava ripetere: "Ognuno si fa i fatti suoi e basta. Anche da questo vengono i mali che affliggono il mondo". Con le riflessioni più lineari, come quella che ricordava che "il teatro è fantasia". Con la poesia che egli più volentieri recitava quando il pubblico lo assillava di richieste. Al primo verso diceva: "'I vulisse truvà pace". E al secondo, dopo una breve pausa: "Una pace senza morte"».

(Renzo Tian, Il Messaggero, 2 novembre 1984)



EDUARDO
24 maggio 1900 - 31 ottobre 1984


sabato 30 ottobre 2010

30 ottobre 1948. La grande magia

La grande magia  fu scritta da Eduardo probabilmente nel 1947, subito dopo i trionfi ottenuti da Filumena Marturano e prima di portare in scena Le bugie con le gambe lunghe. La prima lettura fu fatta per gli allievi dell'Accademia di Arte Drammatica. Il debutto avvenne al Teatro Verdi di Trieste il 30 ottobre 1948. Per questa commedia Eduardo aveva scritto una parte per la sorella Titina, quella della moglie del prestigiatore Otto Marvuglia. A causa però delle sue precarie condizioni di salute, fu costretto a sostituirla fin dalla prima rappresentazione con Vittoria Crispo, che recitava anche un'altra parte, quella della madre del protagonista, Calogero Di Spelta.

Calogero e sua moglie Marta sono una coppia borghese in vacanza in un albergo affacciato sul mare. Una sera sulla terrazza si svolge uno spettacolo di intrattenimento per gli ospiti della pensione che vede protagonista Otto Marvuglia, professore di scienze occulte, celebre illusionista: suggestione e trasmissione del pensiero. Calogero è un marito gelosissimo, tanto da essere deriso anche dagli altri ospiti dell'albergo per questa ragione. Durante un numero dello spettacolo il prestigiatore fa scomparire Marta dentro un sarcofago.  In realtà la donna fugge su un motoscafo che la attendeva e su cui si trovava il suo amante Mariano. Questi in precedenza aveva pagato Otto per ottenere la sua complicità e favorire la fuga della donna. Quando Calogero chiede al prestigiatore di far riapparire Marta, Otto gli consegna una scatola, nella quale sostiene vi sia contenuta sua moglie. Soltanto se lui la aprirà credendo fermamente alla fedeltà di Marta, potrà riabbracciarla. Calogero prende la scatola, senza tuttavia aprirla. Dopo quattro anni Marta ritorna a casa. Otto cerca di convincere Calogero che l'esperimento è finito e la fa "riapparire" ma lei racconta la verità a suo marito. L'uomo preferisce però rimanere nella sua illusione e la caccia via, tenendo con sé la scatola ancora chiusa.

CALOGERO: […] Chiusa! Chiusa! Non guardarci dentro. Tienila con te ben chiusa, e cammina. Il terzo occhio ti accompagna… e forse troverai il tesoro ai piedi dell'arcobaleno, se la porterai con te ben chiusa, sempre! (Rimane estatico nel gesto e fermo nella sua illusione che ormai è la sua certezza).

In questo testo Eduardo non ricorre al dialetto e per il ruolo di Otto Marvuglia  aveva pensato ad un attore in lingua come Ruggero Ruggeri o addirittura, sembra, ad Orson Welles. Queste collaborazioni tuttavia non andarono a buon fine e per il debutto ad impersonare l'illusionista fu Amedeo Girard, un attore che aveva lavorato con i fratelli De Filippo negli anni Trenta, mentre Eduardo interpretò il ruolo di Calogero. Tornano in questa commedia temi già affrontati agli inizi della sua carriera: l'intrigo amoroso che coinvolge una compagnia teatrale piuttosto male in arnese di Uomo e Galantuomo, il personaggio di Otto che ricorda molto il povero illusionista Sik-Sik. Ma soprattutto viene affrontato il tema del rapporto fra la realtà e l'illusione, come lo stesso Eduardo dichiarò alla rivista "Il Dramma", che pubblicò la commedia:«Questo ho voluto dire. Che la vita è un gioco, e questo gioco ha bisogno di essere sorretto dall'illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalla fede. Ed ho voluto dire che ogni destino è legato ad altri destini in un gioco eterno: un gioco del quale non ci è dato di scorgere se non particolari irrilevanti». Si trovano in questo lavoro anche elementi di metateatro poiché Eduardo affronta il rapporto tra il mondo del teatro e quello degli spettatori, rappresentando i confini fra queste due realtà. Come in Questi fantasmi!, adotta una soluzione scenografica che coinvolge direttamente il pubblico, trasformato in questa occasione nel mare su cui si affaccia la terrazza dell'albergo e che viene "solcato" dal motoscafo su cui fuggono i due amanti.

Con questo lavoro Eduardo volle sperimentare, allontanandosi dallo stile che fondeva la tradizione del teatro napoletano con il realismo e la cronaca e abbandonando il dialetto, proprio quando, con Napoli milionaria!Questi fantasmi! e Filumena Marturano i suoi testi in dialetto venivano riconosciuti come drammaturgia nazionale. Sia il pubblico che la critica accolsero piuttosto freddamente questo nuovo lavoro di Eduardo. Corrado Alvaro fu tra coloro che apprezzarono il carattere sperimentale della commedia, pur non apprezzando il fatto di aver abbandonato il dialetto. Altri lo accusarono di aver attinto troppo a Pirandello, di non essere riuscito ad equilibrare gli spunti comici con quelli drammatici. La commedia fu ben presto tolta di scena. Ne venne realizzata la versione televisiva nel 1964. Nel maggio 1985, pochi mesi dopo la morte di Eduardo, il testo fu messo in scena al Piccolo Teatro di Milano con la regia di Giorgio Strehler e con Franco Parenti nei panni di Calogero. Questa edizione ebbe grande fortuna e fu portata anche all'estero, in Canada, a Mosca ed a Parigi dove riscosse un grandissimo successo.

Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. II, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)



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martedì 12 ottobre 2010

12 ottobre 1967. Il contratto

In occasione del XXVI Festival Internazionale di Teatro della Biennale di Venezia,  Eduardo presentò una nuova commedia, Il Contratto, che debuttò, come unica novità italiana, al Teatro La Fenice il 12 ottobre 1967 a conclusione del festival. Fu scritta, secondo quanto ricordato da sua moglie Isabella in uno dei suoi diari, durante la loro vacanza nell'isola di Isca. Le scene ed i costumi furono affidati a Renato Guttuso mentre le musiche erano di Nino Rota.

Si tratta di una commedia di ambientazione rurale il cui protagonista è lo scaltro Geronta Sebezio. Eduardo raccontò qualche anno dopo l'origine di questo nome così particolare: «Nell'800 esisteva a Napoli un erudito filosofo che pubblicava un periodico chiamato il "Geronta Sebezio", di indirizzo progressista e perciò molto seguito da gruppi di giovani e di intellettuali. […] Ora, quando io scrissi  Il Contratto, volli dare al protagonista il nome di Geronta Sebezio che vuol dire "il vecchio (e in senso traslato il saggio) del Sebeto", volendo significare con ironia e amarezza che oggigiorno - quando l'ideale massimo dell'uomo è arraffare tutto il possibile senza curarsi del prossimo suo, quando l'attività principale dello Stato è fregare e opprimere il cittadino e la chiesa ha tradito l'insegnamento di Cristo lasciandosi coinvolgere in interessi materiali e spesso antitetici con il cristianesimo - saggio è chi si comporta come il protagonista di Il Contratto».

Geronta è un piccolo proprietario terriero, venerato dai suoi compaesani che lo considerano una sorta di santone. Ha infatti la fama di poter resuscitare i morti, fama guadagnata dopo aver riportato in vita Isidoro, considerato quasi un fratello e che ora vive insieme a lui. In realtà l'uomo, vittima di una morte apparente, viene trattato da Geronta come un servo. La casa è piena di ritratti sorridenti che gli sono stati donati dai suoi "beneficati" e che testimoniano il loro ritorno alla vita.  Geronta ha elaborato un sistema truffaldino attraverso un contratto da far firmare a coloro che desiderano essere riportati in vita e con il quale questi si impegnano ad amare i propri parenti; questo allo scopo di creare la "catena d'amore" che servirà a resuscitare il morto.
Un simile contratto è stato firmato anche da Geatano Trocina; al momento della sua morte, secondo le istruzioni lasciate dal defunto, viene chiamato immediatamente Geronta. Questi si trova di fronte ai familiari, uno contro l'altro per riuscire ad accaparrarsi l'eredità. Geronta interviene mettendoli d'accordo, intascando una parte di denaro e riuscendo a far ottenere al parente più povero della famiglia una forte somma. Sarà proprio quest'ultimo che, di fronte alla inaspettata fortuna, considererà Geronta il suo salvatore, colui che lo ha riportato in vita. Veniamo così a sapere che i ritratti esposti in casa del "santone" appartengono non ai defunti, bensì ai parenti che ricevono inaspettate fortune grazie all'intervento di Geronta. La commedia si conclude con la firma di un nuovo contratto ai danni dell'ennesimo, ignaro, futuro truffato durante un banchetto organizzato in casa di Geronta.


Rispetto alla stesura originale, durante le prove e poi anche nel corso delle repliche, Eduardo apportò diverse modifiche e tagli. Nel 1970, in occasione di una ristampa dell'edizione Einaudi, uscita nella versione originale prima della messa in scena a Venezia, Eduardo chiese di ristamparla nella edizione riveduta e corretta, offrendosi addirittura di acquistare lui stesso le ultime copie della vecchia edizione per poter accelerare la stampa di quella nuova.
Grande apprezzamento riscossero le scenografie di Guttuso, considerate quasi un elemento drammaturgico. In particolare il critico Paolo Ricci notò come queste avessero colto perfettamente «il carattere espressionista e il significato metaforico della "sgradevole" favola contadina di Eduardo». Grandi lodi vi furono anche per le prove d'attore di Eduardo e Pupella Maggio; oltre a loro fanno parte della compagnia Beniamino Maggio e giovani attori provenienti dalla Scarpettiana, come Isa Danieli e Vittorio Mezzogiorno. Qualche riserva fu invece espressa sulla commedia in sé, considerata fredda e artificiosa e con un intreccio in alcuni passaggi piuttosto macchinoso, riferendosi soprattutto al meccanismo della truffa architettato dal protagonista. Dopo il debutto a Venezia la commedia fu rappresentata a Torino, Napoli e Roma. Fu ripresa anche nelle stagioni 1968-69 e 1969-70. Fu registrata la versione televisiva, con le scene di Raimonda Gaetani, tra il 1978 ed il 1979 (le riprese furono interrotte a causa di un incidente subito da Eduardo) e fu messa in onda nel 1981.


Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. III, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei Giorni Dispari, vol. III, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)