venerdì 30 aprile 2010

La commissione di controllo

GUGLIELMO: [...] Due figli durante i primi tre anni di matrimonio, tutti e due maschi, ti rendono felice; ma tutti e due, per ragioni diverse, mi procurarono dubbi e contrarietà. Al ricevimento per la nascita del primo, per esempio, rimasi contrariato perché tutti gli invitati, dal primo all'ultimo, a turno e a gruppetti di cinque o sei, si mettevano intorno al neonato e l'osservavano dalla testa ai piedi. E chi si metteva gli occhiali per vederci meglio, chi se li toglieva, li puliva e poi se li rimetteva un'altra volta... Si scambiavano le loro impressioni, dicendo: «Giesù, Giesù, ma è tale e quale al padre». Uno alla volta, poi, mi venivano a stringere la mano, dicendomi: «Complimenti, Guglie', ti ha tagliato la testa». E mi è rimasto impresso, e certe volte me lo sento ancora sulla spalla, il colpo di mano che mi vibrò una vecchia signora, che tra l'altro non avevo mai visto prima di quel momento, dicendomi: «Questo bambino è il vostro ritratto. Cose da pazzi!» Per il secondo figlio tutto questo non si verificò, nessuno fece allusione alla rassomiglianza con me, strette di mano, complimenti. «Che stupendo bambino», «Sembra di zucchero», «Una pesca», «Però, diciamo la verità, questa volta ha fatto tutto vostra moglie, voi non c'entrate proprio». Ecco che se la prima volta pensai: «Perché tanta meraviglia, tanta sorpresa per il fatto che mio figlio mi rassomiglia? Vuol dire che se la rassomiglianza non ci fosse stata avrebbero messo in dubbio la mia paternità? Allora tutti questi signori non sono degli invitati, ma membri di una commissione di controllo?», la seconda volta rimasi stupito e in dubbio. E già... «Questa volta ha fatto tutto vostra moglie», «Voi non c'entrate proprio»... E siccome ci sta un precedente... Voi avete il diritto di sapere tutto. Ecco qua. Gigliola, come tutte le ragazze della sua età, prima di conoscere me, ebbe il suo primo amore, un primo amore rimasto allo stato innocente. Sapete come succede: fuoco e fiamme in famiglia, non vedevano bene questo matrimonio e i due giovani rinunciarono al loro progetto. Tutto questo me l'ha confessato onestamente Gigliola, ma sapete com'è... «Questa volta ha fatto tutto vostra moglie», «Voi non c'entrate proprio»...  Fui messo in crisi. La notte non potevo dormire. Tanto è vero che una sera, mentre tutta la famiglia stava in salotto perché vennero certi parenti a farci visita, entrai nella stanza dove dormiva il bambino e lo spogliai nudo per osservarlo nei minimi particolari. Più lo guardavo e più non sembrava figlio a me. Pensai: «Adesso lo giro per osservarlo dall'altra parte». Ma mentre cercavo di farlo, da un momento all'altro mi sentii così mortificato e meschino che avrei preferito sprofondare insieme a mio figlio e con tutta la casa sottoterra. E già, perché pensai: «Ma con quale diritto mi sono messo ad osservare il corpo di questo bambino, a cercare nei suoi occhi il colore dei miei, a calcolare l'ampiezza della fronte, la conformazione del cranio, delle  mani, dei piedi? Vuol dire che per questo  piccolo essere gli esami sono già cominciati?» E mi vergognai come un ladro nel riconoscere in me stesso il più pignolo e zelante mombro della commissione di controllo.

Da "Gli esami non finiscono mai", atto I, pagg. 543-545
(Cantata dei giorni dispari, vol. III, a cura di A. Barsotti, Einaudi)


lunedì 26 aprile 2010

26 aprile 1957. De Pretore Vincenzo

Nel 1948 Eduardo scrisse un poemetto intitolato Vincenzo De Pretore, pubblicato nel 1950 sulla rivista "Sipario". Nel 1951 fu incluso nella raccolta di poesie "Il Paese di Pulcinella", nel 1971 nel volume "'O canisto" e nel 1975 nella raccolta "Le poesie di Eduardo".
Nel 1952 Giuseppe Marotta e Domenico Paolella ne ricavarono la sceneggiatura per un film, diretto da Paolella e interpretato da Nino Taranto, dal titolo Un ladro in Paradiso che non ebbe però successo.

Quello stesso anno Luciano Lucignani, regista e critico teatrale dell'Unità, propose per la prima volta a Eduardo di scrivere una commedia ispirata al poemetto. In quel periodo però Eduardo non poté dedicarsi al progetto, che fu rimandato. Nel 1957 Lucignani tornò a chiedergli la commedia per una compagnia di giovani attori, tra i quali Achille Millo e Valeria Moriconi. Essendo impegnato a Parigi per la messa in scena di Questi fantasmi!, Eduardo si fece raggiungere da Lucignani il quale, oltre che  in qualità di aiuto-regista, lo affiancò nella stesura della commedia, che venne poi completata al loro rientro in Italia.

La storia affronta il tema dei figli di N.N., come già avvenuto in Filumena Marturano - anche se questa volta raccontata dal punto di vista dei figli - e quello del rapporto con l'aldilà.
Roberto De Simone, nel suo saggio Linguaggio e tradizione nel teatro di Eduardo, ipotizza che Eduardo possa essersi ispirato per questo poemetto ad una storia popolare tramandata da Alexandre Dumas, in cui venivano raccontate le imprese del brigante Mastrillo, accolto in Paradiso poiché in vita era stato devoto di San Giuseppe. Eduardo ha sempre affermato di non conoscere questo racconto anche se, nel 1981, rispondendo ad una accusa di plagio riferita a De Pretore, affermò che tra le tante storie che la nonna materna gli raccontava da bambino, una in particolare gli era rimasta nella mente, ed era molto somigliante al racconto di Dumas. «Io non so se la storia di mia nonna derivasse dal racconto […] oppure no, può darsi; le storie, allora si tramandavano di padre in figlio, specialmente tra la gente del popolo, e quindi può essere arrivata a mia nonna con delle modifiche, o può essere stata modificata da lei stessa». Anche un episodio a cui Eduardo assistette ancora giovanissimo, in un'aula di tribunale in cui erano sotto processo tre ragazzi, probabilmente gli diede qualche spunto. «Tornai diverse volte al Tribunale […]. A poco a poco, misi insieme una folla di diseredati, di ignoranti, di vittime e aguzzini, […] di angeli creduti diavoli e diavoli creduti angeli. Quando [rimango] a lungo solo […] è con quella gente che io continuo a parlare e ragionare, ascoltando i loro casi, le loro aspirazioni, seguite troppo spesso da delusioni e immancabili proteste».
Questa vicende dovette senz'altro ispirare le sue iniziative volte al recupero dei ragazzi detenuti nei carceri minorili, intraprese quando nel 1981 fu nominato senatore a vita.

Il poemetto da cui Eduardo trasse la commedia racconta di un uomo che fa il ladro per necessità:

«De Pretore Vincenzo s'arrangiava.
Campav' 'a bona 'e Dio, comme se dice.
Figlio di padre ignoto, senz' amice
Facev' 'o mariuolo pe' campà»

Durante uno scippo viene ferito e, mentre si trova in agonia, ha una visione dell'aldilà. Essendo stato devoto di san Giuseppe ed avendo sempre compiuto i suoi furti convinto di essere protetto dal santo, una volta morto pretende di essere accolto in Paradiso. In un primo momento il Padreterno non intende farlo entrare ma poi, convinto da san Giuseppe ad ascoltarne le ragioni, si rende conto che Vincenzo, per la sua condizione di figlio di padre ignoto, si è ritrovato suo malgrado a condurre una vita da fuorilegge. Lo accoglie quindi in Paradiso, vincendo anche la resistenza degli altri santi, diffidenti nei confronti del nuovo arrivato. A quel punto però De Pretore, che nel delirio scambia il poliziotto che tenta di interrogarlo con il Signore, muore.

«Credenno ca parlava c' 'o Signore
nzerraje pè sempe ll'uocchie De Pretore».

venerdì 16 aprile 2010

'E ccampane

Vulesse sentì 'o suon' 'e na campana
ca stesse appesa ncielo
e ca sunasse appiessa
senza nu sacrestano
ca tirasse
e mullasse
na funa longa 'a sott' 'o campanile
cumme si fosse Dio c' 'a fa' sunà.
Vulesse sentì 'o suon' 'e sta campana
grossa e pesante,
'e bbronzo,
e ca sunasse appiessa,
mmiez' 'e nnuvole,
ognettanto na vota,
no tutt' 'e mmatine
o quann'è ffesta
o quanno ll'ommo mòre
ma sulo quanno 'a vita
e tutt' 'e ccose storte 'e chistu munno
t'hanno fatto perdere 'a fede.
[1983]
Da 'O penziero e altre poesie di Eduardo, Einaudi (pag. 78)


giovedì 8 aprile 2010

"Nel territorio della visione e del simbolo"

«Natale in casa Cupiello è una delle prime grandi commedie di Eduardo. [...] Rivedendola oggi, si rimane colpiti per almeno un paio di ragioni. La commedia di Eduardo ci tocca in modo quasi magico (e forse per questo ci mette d'accordo) perché è una non-storia, che esce dai confini del verosimile e della descrizione per arrivare nel territorio della visione e del simbolo. [...] Poche volte come nel Natale, la ricerca di Eduardo sa far coincidere la carica delle emozioni e la sottile truccatura comica della fantasia. Nel Natale ci sono già tutti i lampi e le fughe in avanti di un visionario che si lascia alle spalle la realtà. Forse per questo, e forse perché l'abbiamo rivista in un'edizione nella quale Eduardo mostra di aver sublimato nello stesso tempo interpretazione e regia, ci sembra che questa commedia non sia più necessariamente legata alla sua condizione di "napoletana"».
(Renzo Tian, Il Messaggero,  Roma 7 maggio 1976)

Da Eduardo, Fiorenza Di Franco, Gremese Editore (1983)


lunedì 5 aprile 2010

Come a concerto


In questo libro Antonella Ottai, docente presso il Dipartimento di Arti e Scienza dello Spettacolo dell'Università "La Sapienza" di Roma, ripercorre la storia della compagnia Il Teatro Umoristico I De Filippo durante gli anni Trenta. Si parte dalla prima tournée che i fratelli intrapresero nel nord Italia, e che li avrebbe poi resi noti su tutto il territorio nazionale, per arrivare alla definitiva rottura, avvenuta nel 1944.  
Nei vari capitoli vengono analizzati i rapporti che la Compagnia ebbe con gli autori dell'epoca, come si inserirono nelle varie tendenze che andavano affermandosi, le scelte che erano alla base della costruzione del loro repertorio, le prime affermazioni come autori, gli equilibri tra le rispettive peculiarità di interpreti che determinavano il loro modo di scrivere.

Un intero capitolo è naturalmente dedicato ai rapporti che i De Filippo ebbero con Luigi Pirandello, incontro che inizierà a far emergere le prime divergenze tra Eduardo e Peppino e a delineare le strade diverse che successivamente imboccheranno.
Particolarmente interessante è la parte che descrive l'ultimo periodo di attività della Compagnia, nel contesto degli anni del fascismo, che intervenne in maniera decisa per affermare la cultura nazionale in ambito teatrale a scapito di quella dialettale e di quella straniera.  A questo proposito viene riportato un intervento di Eduardo che difende l'operato suo e dei suoi fratelli da un attacco che era stato rivolto nel '38 dallo scrittore Gherardo Gherardi, che accusava le compagnie dialettali, ed in particolare i De Filippo, di arretratezza.  Eduardo risponde dalle pagine del Giornale d'Italia:

«Seguo con interesse lo sforzo che si va spiegando a favore del teatro. Tutti conveniamo che bisogna favorire la produzione delle belle commedie italiane, in modo che, anche da questo settore, la battaglia autarchica raggiunga in pieno i suoi scopi. [...] Questo è nei voti di tutti e  quindi miei, perché il teatro italiano e il suo avvenire mi riguardano molto, visto che gli attori dialettali, appunto per la loro particolare caratteristica, non si rassegnano a rinchiudersi nella cerchia regionale ma decisamente si affermano italiani, e buoni italiani del tempo presente. [Gherardi] si mostra accorato che le folle prediligano il nostro teatro. Si tratterebbe secondo lui di un pubblico arretrato! [...] Questo periodo di voga e di comprensione, noi lo abbiamo atteso per lunghissimi anni, diciamo almeno venti, recitando nelle compagnie di ordine e in quelle a scartamento ridotto, nei grandi teatri, nei baracconi, nelle metropoli e  nei paesetti di provincia. [...] Quelle commedie [...] costarono anni di lavoro sconosciuto; e alcune dormirono a lungo nel cassetto senza che alcun capocomico volesse rappresentarle; senza che nessun uomo o maneggione di teatro ci volesse accordare tanto di fiducia da comporre per noi una modesta compagnia e allestire una decorosa messa in scena. Tutto con la nostra parsimonia e la nostra fede dovemmo fare; e ora siamo appena riusciti a sbucare, rappresentando da circa sei anni le stesse commedie perché non è così facile lanciarne a getto continuo. L'illustre Gherardi mi onora troppo credendo, e volendo far credere, che nel giro di una notte, io sia capace di pensare, e l'indomani provare e recitare, mettiamo, "Uno coi capelli bianchi"». 

Antonella Ottai, Come a concerto. Il Teatro Umoristico nelle scene degli anni trenta, Bulzoni Editore (2002)


giovedì 1 aprile 2010

1 aprile 1937. L'abito nuovo

L'ammirazione di Eduardo per Luigi Pirandello risale agli anni della sua gioventù e lui stesso ricorderà l'emozione provata quando assistette alla rappresentazione di Sei personaggi in cerca d'autore al Mercadante di Napoli. Negli anni Trenta la Compagnia"Teatro Umoristico I De Filippo" si cimentò più volte con opere dello scrittore siciliano: L'imbecille nel 1933, Liolà nel 1935, L'uva rosa e Il berretto a sonagli nel 1936. A proposito di quest'ultima, fu lo stesso Pirandello che chiese a Eduardo di metterla in scena e, nonostante dichiarò che «Ciampa era un personaggio che attendeva da vent'anni il suo vero interprete», si rammaricò del fatto che le repliche di questo spettacolo avessero fatto rimandare la messa in scena de L'abito nuovo.
La prima volta in cui parlarono della possibilità di realizzare un testo teatrale dalla novella omonima fu nel 1933, durante un incontro che i due ebbero nel camerino del teatro Sannazzaro di Napoli. In quella occasione Eduardo aveva chiesto di poter tradurre in napoletano Liolà che fu poi rappresentata, appunto, nel 1935, anno in cui si concretizzò il progetto de L'abito nuovo. Secondo quanto scrisse Eduardo, Pirandello stesso propose di lavorare insieme alla stesura.

La commedia fu scritta nel dicembre del 1935, mentre i De Filippo erano impegnati al Teatro Valle di Roma. «A Roma, durante l'ultima stagione che feci al Valle, dicembre '35, per quindici giorni, dalle cinque del pomeriggio alle otto di sera sono stato al suo scrittoio».
Eduardo fornisce a più riprese notizie diverse su come la commedia avesse preso forma, riferendo in un'occasione che scrissero insieme i dialoghi mentre in un'altra risulta che il grande scrittore siciliano avesse abbozzato la scaletta dei tre atti, descrivendo sommariamente scena per scena i fatti e lasciando a Eduardo il compito di "dialogare" in napoletano, riprendendolo quando questi tendeva ad italianizzare le espressioni. Anche Peppino darà una sua versione, mettendo in evidenza una sua partecipazione alla stesura che «avveniva sotto dettatura del Maestro e io e mio fratello alla scrivania a scrivere ciò che egli elaborava nella sua diabolica e insuperabile fantasia di scrittore. Ci si scambiava dei consigli, che Lui accettava, a volte divertito, quando si trattava di fermare sul copione una sfumatura comica» (Peppino De Filippo,Strette di mano, ed. Marotta).

Peppino non era convinto della scelta del fratello di affrontare il repertorio pirandelliano a scapito di quello tradizionale napoletano tanto che, a proposito della prima de L'abito nuovo scrisse nella sua biografia: «Il fiasco fu così totale che dovemmo togliere dal cartello il lavoro dopo appena due sere e addirittura rinunziare a rappresentarlo in altre città». In realtà la commedia fu ripresa sia al Quirino di Roma che al Verdi di Trieste. Anche quando la compagnia mise in scena  Liolà di cui, oltre ad essere l'interprete principale curò la versione in napoletano, Peppino aveva mostrato perplessità che erano senz'altro aumentate con la rappresentazione del Berretto a sonagli ed ora de L'abito nuovo, nelle quali ricopriva ruoli non di primo piano. Iniziano in quegli anni a manifestarsi i primi motivi di contrasto tra Eduardo e Peppino che porteranno alla rottura definitiva nel 1944.