mercoledì 29 dicembre 2010

Sergio Martin. Il recital di poesie al Pier Lombardo di Milano

Recentemente ho pensato che mi sarebbe piaciuto pubblicare in questo blog qualche testimonianza in prima persona di chi avesse avuto la fortuna di conoscere e lavorare con Eduardo. Impresa ardua per chi, come me, non ha conoscenze dirette nell'ambiente né altre referenze se non la mia passione.

Poco più di un mese fa ero alla ricerca del Catalogo della mostra "Eduardo De Filippo. Vita e opere", realizzata nel 1986. Il volume viene spesso citato nelle bibliografie ma è praticamente introvabile. Decisi di fare un ultimo tentativo scrivendo direttamente al curatore del catalogo  che, in collaborazione con Isabella Quarantotti De Filippo, ha lavorato alla realizzazione della mostra, Sergio Martin. Si è rivelato persona di rara cortesia e disponibilità: non solo è riuscito a trovarmi una copia del Catalogo che cercavo da anni, ma si è anche reso disponibile a regalarmi un pezzetto della sua storia personale e lavorativa con Eduardo, e di questo lo ringrazio davvero di cuore.

Sergio Martin è nato a Oderzo nel 1951, ha studiato sociologia e si definisce «un operaio della cultura. Mi piace cercare di fare cose che altri non riescono a fare o non ci pensano, per poi sentirmi dire "Facile fare una mostra su Fo"(quando nessuno aveva il coraggio di farla…)».  Ha curato, tra le altre, le mostre Disegni a Teatro di Dario Fo (1980), presso la Galleria Marconi di Milano; Il Teatro dell'Occhio (1984), esposizione completa su Dario Fo, in collaborazione con il premio A.T.E.R. di Riccione diretto da Franco Quadri e allestita anche a Londra,  Copenaghen, Monaco, Madrid, Stoccolma; la già citata Eduardo De Filippo. Vita e opere (1986) presso il teatro Mercadante di Napoli, riaperto dopo 22 anni in quella occasione; La Voce delle immagini (1995), selezione delle copertine del Giornale di Indro Montanelli, al Café Procope di Torino, di cui è stato direttore; Il Cuore dell'Unità/Tre anni di Tangentopoli e dintorni(1995), persone, fatti e misfatti da Ellekappa a Michele Serra. Ha inoltre lavorato e organizzato spettacoli con grandissimi nomi della musica leggera come  Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Fabrizio De André, Paolo Conte, Tony Esposito (www.sergiomartin.it).

Nel 1980, insieme a Andrée Ruth Shammah organizzò, al Salone Pier Lombardo di Milano, il primo recital di poesie tenuto da Eduardo. E proprio questo evento ha voluto raccontare:

«Approdai al Salone Pier Lombardo, aperto da pochi anni da Andrée Ruth Shammah, Gian Maurizio Fercioni e Franco Parenti, usciti da un Piccolo Teatro che consideravano troppo stretto, all’inizio della stagione teatrale 1979-1980. 

martedì 21 dicembre 2010

21 dicembre 1973. Gli esami non finiscono mai

«È una commedia in due tempi, a quadri e quadretti, con un'avvertenza dell'autore al principio a sipario chiuso, con un intervallo di pura convenienza fra i due tempi, per mandare gli spettatori a riposarsi un poco  nei corridoi. È la biografia di un uomo come tanti, dal giorno in cui, presa la laurea, egli crede che gli esami siano finiti, al giorno in cui egli muore e gli esami del prossimo invadente continuano ancora. Un lunghissimo esame, una continua resa dei conti agli altri, a se stesso, alla curiosità, alla malevolenza del mondo, di tutte le sue azioni, delle corna che gli mette sua moglie, delle corna che egli mette a sua moglie, dei soldi che spende, di quelli che non spende».

In una intervista che risale al 1947, Eduardo aveva raccontato quella che sarebbe stata l'ultima commedia da lui scritta e messa in scena un quarto di secolo dopo. Negli anni Cinquanta viene annunciata come lavoro in programma quasi ad ogni stagione teatrale, sembra essere accantonata nel decennio successivo, per vedere finalmente la luce nel 1973. Eduardo del resto spesso lasciava maturare spunti e idee di commedie anche per periodi molto lunghi. Come spiegò agli alunni di una scuola media che gli avevano chiesto come nascesse una commedia, proprio prendendo ad esempio la lunga gestazione de Gli esami non finiscono mai,  scrisse: «In genere non mi sono mai pentito d'avere aspettato: resistere agli anni e ai dubbi è la miglior prova della vitalità artistica d'una idea».

venerdì 17 dicembre 2010

'A ggente



'A ggente ca me vede mmiez' 'a via
me guarda nfaccia e ride. Ride e passa.
Le vene a mmente na cummedia mia,
se ricorda ch'è comica, e se spassa.



Redite pé cient'anne! Sulamente,
v' 'o vvoglio dì pé scrupolo 'e cuscienza:
io scrivo 'e fatte comiche d' 'a ggente...
E a ridere, truvate cunvenienza?


...Nun credo.
[1949]


Da Le poesie di Eduardo (pag. 91), Einaudi

sabato 11 dicembre 2010

11 dicembre 1948. Le voci di dentro

Nel 1948, dopo poche repliche della commedia La grande magia appena presentata, e sospesa quasi subito a causa della malattia di Titina, Eduardo scrisse in pochi giorni Le voci di dentro. Secondo varie testimonianze fu scritta nella stanza di un albergo milanese e provata in corso d'opera dagli attori della compagnia che ricevevano il copione con le nuove scene man mano che queste venivano scritte. Eduardo avrebbe per questo motivo partecipato solo alle ultimissime prove.
La commedia è lo specchio degli anni del dopoguerra, in cui sembrano essere cadute tutte le speranze di una rinascita dopo il disastro del conflitto, soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra gli esseri umani. «Il sogno è la spia di un'inquietudine che ci attanaglia. I personaggi di questa commedia portano in sé l'ansia di una guerra appena finita, di violenze non dimenticate» (intervista di Eduardo a Giulio Baffi nel 1977). Quegli anni tra l'altro furono teatro di eclatanti fatti di cronaca nera, come ad esempio il caso della "saponificatrice di Correggio", o l'assassinio a Milano di una donna e dei suoi tre figlioletti, uccisi da Caterina Fort. Anche queste vicende, che colpirono in maniera particolare l'opinione pubblica, probabilmente ebbero una loro influenza sulla composizione della commedia.

Alberto Saporito, che insieme a suo fratello Carlo svolge il mestiere di "apparatore di feste", accusa i vicini di casa, la famiglia Cimmaruta, di aver ucciso il suo amico Aniello Amitrano. Insieme a Carlo organizza la loro cattura da parte delle autorità ma quando arriva il momento di presentare le prove del delitto - una scarpa, la camicia insanguinata - che gli assassini avrebbero occultato in casa, si rende conto che in realtà ha sognato il fatto. Questa sua convinzione però comincia a vacillare quando i Cimmaruta, dopo essere stati rilasciati, si recano uno alla volta in casa di Alberto per denunciarsi a vicenda: la zia accusa il nipote, il nipote la zia, il marito la moglie e viceversa. Anche la cameriera della famiglia si reca da Alberto per metterlo in guardia: i Cimmaruta stanno progettando di ucciderlo per impedirgli di presentare le prove. A tutto questo andirivieni assiste zi' Nicola, lo zio di Alberto che vive in un mezzanino ricavato nello stanzone in cui sono ammucchiate le sedie ed i materiali che rappresentano il piccolo patrimonio dei fratelli Saporito. Zì Nicola non parla, si rifiuta di farlo perché «Dice che parlare è inutile. Che siccome l'umanità è sorda lui può essere muto». Per esprimersi utilizza i fuochi artificiali e Alberto è l'unico che riesce a capirlo. Le uniche parole che pronuncerà saranno al momento della sua morte, quando, durante un litigio dei Cimmaruta, esclama «Per favore, un poco di pace!» e lancia il suo ultimo razzo, un bengala verde che annuncia la sua dipartita.

Poiché Aniello Amitrano sembra essere veramente scomparso, il brigadiere va da Alberto per arrestarlo in quanto accusato di non voler fornire le prove del delitto. Alla presenza di tutta la famiglia Cimmaruta però Alberto, dopo averli accusati nuovamente di essere degli assassini, fa entrare Amitrano, vivo e vegeto, che si era allontanato da casa per alcuni giorni a causa di un litigio con sua moglie. Le accuse sembrano quindi crollare ma Alberto potrà sfogare  il suo sdegno nei confronti di chi ha creduto possibile un delitto, tanto da metterlo "nel bilancio di famiglia". 





La commedia debuttò al Teatro Nuovo di Milano l'11 dicembre 1948 e fu poi rappresentata a Torino, Napoli e Roma. L'accoglienza fu molto buona anche se non entusiastica, soprattutto da parte della critica, per il suo pessimismo, per il suo essere allo stesso tempo una commedia realistica e simbolica, per l'ambientazione piccolo-borghese e non più popolare, per aver voluto superare la dimensione dialettale. Fu comunque molto apprezzato il personaggio dello zì Nicola, per il quale Eduardo si ispirò ad un personaggio realmente esistito: «In una vecchia raccolta di articoli c'è un pezzo di Ferdinando Russo che parla di un fuochista napoletano [...]. Era un poeta dei fuochi artificiali. [...] Aveva un suo modo d'esprimersi attraverso questa forma. Siccome io avevo bisogno di un personaggio che rappresentasse la saggezza (e la saggezza non può parlare), allora mi ricordai di zio Nicola [...] E nella commedia lo faccio parlare solo quando muore». La commedia fu ripresa molte volte negli anni successivi ed il suo successo andò aumentando, soprattutto a partire dagli anni '70 e dopo l'edizione televisiva realizzata nel 1978. L'ultima ripresa della commedia, nella stagione 1976-77 ebbe un successo straordinario; il pubblico si accalcava in lunghe file fin dall'alba per assicurarsi un posto in teatro. Il critico Renzo Tian scrisse su "Il Messaggero" il 21 gennaio 1977: «Rivedere dopo molti anni Le voci di dentro (nata nel 1948) vuol dire accorgersi che il grande Eduardo, quello più profondo e segreto (a cui questa commedia certamente appartiene) è un visionario che solo incidentalmente si esprime in termini realistici. La grande metafora delle Voci di dentro è appunto quella della visione. E una visione, più che un sogno, è quella di Alberto Saporito che "vede" un delitto accaduto. [...] E quello che succede dopo non è tanto la vittoria della visione o della realtà, ma il modo dialettico e drammatico che si accende tra i due poli».

Oltre all'edizione del '78 era stata registrata un'altra versione televisiva nel 1962 che però è andata persa. Ne fu realizzata inoltre anche una registrazione per la radio nel 1951. Nel 1966 fu girato un film dal titolo Spara forte, più forte… Non capisco! ispirato alla commedia, diretto dallo stesso Eduardo, che firmò la sceneggiatura insieme a Suso Cecchi D'Amico e interpretato da Marcello Mastroianni che però non ebbe alcun successo. La commedia fu messa in scena nel 1991 da Carlo Giuffrè e nel 2004 da Alfonso Santagata. Nel 2006-2008 è stata ripresa dalla Compagnia di Luca De Filippo, con la regia di Francesco Rosi.
  

Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. II, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Fiorenza Di Franco, Eduardo (Gremese Editore)


giovedì 9 dicembre 2010

9 dicembre 1960. Il sindaco del Rione Sanità

«È una commedia simbolica, non realistica [che] parte da un personaggio vivo, vero, che affonda le proprie radici nella realtà ma poi si sgancia da essa, si divinizza, si sublimizza, per dare una precisa indicazione alla giustizia» (Intervista a Sergio Lori, Il Dramma, nov-dic 1972). Così Eduardo definì Il sindaco del Rione Sanità, commedia scritta nel 1960, per il cui protagonista si ispirò ad un personaggio realmente esistito. Torna ad affrontare il tema della giustizia, visto dalla parte dei più deboli che, come Filumena o come Vincenzo De Pretore, sentono lontana da loro. Eduardo del resto era sempre stato attratto dalle aule di tribunale, dove spesso si recava spinto dal suo «spirito di osservazione immancabile, ossessivo […] A poco a poco misi insieme una folla di diseredati, di ignoranti, di vittime e di aguzzini, di ladri, prostitute, imbroglioni, di creature eroiche e esseri brutali, di angeli creduti diavoli e diavoli creduti angeli. Ancora oggi essi sono con me, assieme a tanta altra umanità che man mano ha accresciuto la folla iniziale». Quando poi fu nominato senatore a vita nel 1981, prese a cuore la causa del recupero dei giovani detenuti nelle carceri minorili.

Antonio Barracano è il primo protagonista eduardiano dotato di vero carisma. Secondo Anna Barsotti «anche questo protagonista che agisce, e non subisce, è un visionario, uno che, convinto di vedere oltre, travede: un prigioniero del sogno, anche lui». Sulle  pagine della rivista "Sipario" il critico Roberto Rebora ne scrisse in questi termini: «Don Antonio Barracano è un bellissimo personaggio, solo, sfiduciato, deluso, saggio e ostinato. Si muove tra la gente carico di pietà ma è lontano come un affresco tra le nuvole». Gode nel Rione Sanità di grande stima e rispetto da parte della gente del quartiere che protegge da anni, intervenendo nelle dispute ed evitando che ricorrano ai tribunali, dove avrebbero difficoltà a far valere i propri diritti. Lui stesso in gioventù era rimasto vittima di un'ingiustizia che segnò per sempre la sua vita: era infatti stato  picchiato per motivi futili da "Giacchino della tenuta Marvizzo". Non avendo testimoni non poté ottenere giustizia e quindi lo uccise. Fu costretto per questo a fuggire in America e, tornato dopo aver fatto fortuna, ricorse a falsi testimoni, ottenne la revisione del processo e l'assoluzione per legittima difesa. Accanto a lui c'è il dottor Fabio Della Ragione che, dopo aver passato anni a curare feriti e ad estrarre pallottole, vorrebbe lasciare don Antonio perché è stanco di girare a vuoto difendendo i delinquenti del quartiere. Si rivolge al Sindaco un giovane, Rafiluccio Santaniello, che gli annuncia di voler uccidere suo padre il quale, dopo averlo cacciato dalla sua bottega di panettiere, lo scredita impedendogli di rifarsi una vita. Antonio interviene presso il padre di Rafiluccio ma questi lo invita a non intromettersi nei suoi fatti privati. Quando Antonio si reca nella sua bottega per fare un ultimo tentativo, Santaniello, spaventato, lo accoltella e lo ferisce gravemente. Per evitare che si perpetui la catena di omicidi e di vendette, il Sindaco organizza una cena, con il pretesto di salutare il dottor Della Ragione in partenza per l'America. Barracano vuole mettere in scena la sua "morte naturale" davanti a dei testimoni.  Viene portato con la forza anche Santaniello, già pronto a fuggire dopo aver corrotto l'unico testimone dell'accoltellamento, un uomo che pochi giorni prima aveva giurato a don Antonio eterna riconoscenza per averlo aiutato in una situazione difficile. Quando sopraggiunge la morte, il dottore decide di non partire più e di prendere il posto di don Antonio, denunciando però la verità su quanto avvenuto.


La commedia debuttò il 9 dicembre 1960 al Teatro Quirino di Roma, dove ebbe un'accoglienza straordinaria. La critica apprezzò moltissimo sia l'interpretazione di Eduardo, fatta di lunghe pause, di sguardi, sia la commedia, soprattutto il primo atto, che la sua regia. Qualche perplessità fu espressa sul terzo atto; secondo Giorgio Prosperi «come spesso accade nei lavori di Eduardo volge di colpo al patetico [facendo rimpiangere] il puro teatro degli atti precedenti». Giovanni Mosca scrisse: «Commedia ambiziosa, come tutte le commedie di Eduardo, e non dico mancata, ma incompleta, zoppicante, ed il finale è un fiume di retorica, ma chi se ne accorge? Quando l'autore sta per scivolare, c'è sempre l'attore a sostenerlo, e con mano tale che il pericolo dello scivolone si risolve nella meraviglia e nella felicità di un volo».

La commedia fu rappresentata al San Ferdinando di Napoli, quindi a Bologna e a Firenze. A Milano giunse nella successiva stagione 1961-62 e fu portata in tournèe in Europa dell'Est nella primavera del '62. Fu poi ripresa nelle stagioni 1972-73 e 1973-74. Furono realizzate due versioni per la TV, la prima nel 1964 e la seconda nel 1979.

Nel 1972, quando uscì il film Il Padrino, vincitore di tre premi Oscar, qualcuno lo accostò alla commedia di Eduardo, che però rifiutò decisamente questo accostamento con il malavitoso del film: «Quello del Padrino è un personaggio… al centro di una ragnatela grigia. Che è la mafia. [...] Mentre il mio don Antonio, se la piglia con la magistratura! Eh già! Dice: la legge è fatta bene, sono gli uomini che si mangiano fra di loro! Dice quel che sta succedendo: la corruzione! Quel che succede adesso» (Gerardo Guerrieri, "Il Giorno", 23 aprile 1976).



Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. III, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni dispari, vol. terzo, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)
Fiorenza Di Franco, L'impegno civile di Eduardo De Filippo, in Atti del Convegno di studi sulla drammaturgia civile e sull'impegno sociale di Eduardo De Filippo senatore a vita, a cura di Elio Testoni (Rubettino)


mercoledì 8 dicembre 2010

8 dicembre 1940. Non ti pago

«Una commedia molto comica che secondo me è la più tragica che io abbia scritto», così Eduardo definì Non ti pago, parlando agli studenti del corso di Drammaturgia che tenne nel 1982-83 all'Università La Sapienza di Roma.
La commedia fu scritta nel 1940, in un particolare momento della storia della compagnia formata dai tre fratelli. Titina infatti aveva da poco lasciato Eduardo e Peppino per tornare al teatro di rivista insieme a Nino Taranto. Fino a quel momento la scelta delle commedie da rappresentare era stata influenzata dalla necessità di tenere conto di tutte e tre le personalità, prediligendo quindi lavori in cui i rispettivi ruoli risultassero equilibrati. Nel momento in cui Titina lasciò la compagnia, in cui svolgeva anche un ruolo di mediatrice tra i due fratelli, i lavori messi in scena dei De Filippo iniziarono a rappresentare situazioni di contrapposizione tra due personaggi, come appunto in Non ti pago, in cui troviamo Ferdinando Quagliuolo, il gestore di un banco lotto, ed il suo dipendente, Mario Bertolini. Ferdinando è un accanito giocatore; aiutato da Aglietiello, uomo di fatica  in casa sua, passa le nottate sui tetti cercando i numeri da giocare addirittura attraverso l'interpretazione della forma delle nuvole, senza tuttavia riuscire a realizzare le vincite sperate. Bertolini, al contrario, è fortunatissimo e incassa vincite in continuazione, il che lo rende particolarmente odioso a Ferdinando. Bertolini inoltre è innamorato di Stella, la figlia di Ferdinando, e vorrebbe sposarla. Il casus belli è rappresentato da una quaterna milionaria centrata dal giovane, grazie ai numeri 1, 2, 3 e 4 che gli sono stati suggeriti in sogno dal padre di Ferdinando che, naturalmente, va su tutte le furie. Si rifiuta quindi, in qualità di gestore del banco lotto, di pagare la vincita, sostenendo che questa spetta a lui. Bertolini infatti abita nella casa che una volta era di Ferdinando e nel sogno, il padre lo ha chiamato "piccerì", proprio come chiamava in vita suo figlio.

Nel secondo atto la moglie Concetta, chiamando in aiuto anche il parroco, cercherà di convincere Ferdinando a restituire il biglietto che aveva sottratto a Bertolini ed a pagare la vincita, ma saranno sforzi vani. Ferdinando ricorre anche all'assistenza di un avvocato che, di fronte all'assurdità delle sue pretese lo abbandonerà. Ferdinando allora finge di aver perduto il biglietto, convoca Bertolini e, sotto la minaccia di una pistola, a cui aveva in precedenza tolto i proiettili, cerca di costringerlo a firmare una dichiarazione con cui rinuncia alla vincita. Bertolini però, messo sull'avviso da Aglietiello, si rifiuta di firmare. Ferdinando, esasperato lo colpisce alla testa con l'impugnatura della pistola. Bertolini sembra essere uscito trionfatore da questo scontro e minaccia di denunciare Ferdinando. Questi allora per dimostrare che la sua era solo una messa in scena, preme il grilletto ma dall'arma parte veramente un colpo. Spaventato da quello che sarebbe potuto succedere, Ferdinando consegna il biglietto al suo contendente ma lancia la sua "maledizione".

Nel terzo atto veniamo a sapere che la maledizione ha avuto il suo effetto e Bertolini è rimasto vittima di una serie ininterrotta di incidenti e disgrazie che gli hanno impedito di entrare in possesso della vincita. Decide di restituire il biglietto a Ferdinando che a questo punto dà il suo consenso alle nozze tra Bertolini e sua figlia Stella, che porterà in dote i quattro milioni della vincita.

La commedia fu rappresentata per la prima volta l'8 dicembre 1940 al Teatro Quirino di Roma in una versione diversa, che successivamente Eduardo modificò in quella che è nota ancora oggi. Nella stesura originale Ferdinando, abbandonato da tutti i suoi familiari, si vedrà costretto a cedere a Bertolini il biglietto e a dare il consenso per il matrimonio con Stella. La critica accolse in maniera molto positiva la commedia, tributando grandi elogi sia ad Eduardo in quanto autore, sia all'interpretazione di entrambi i fratelli. Scrisse a questo proposito Renato Simoni sul Corriere della Sera: «Procopio[nella prima versione questo era il nome di Bertolini] è un po' una maschera; ma Ferdinando è un personaggio [...] Eduardo De Filippo ha rappresentato l'ira sbalordita, la convinzione testarda, l'irragionevolezza raziocinante, la grandigia prepotente di Ferdinando salendo dai toni che suscitano il riso a quelli che sfiorano il dramma, e Peppino ha inciso i segni caricaturali di Procopio nella più bella e viva sostanza della comicità napoletana». Per la prima volta si iniziano a considerare i testi di Eduardo al di fuori del teatro dialettale ma come dei veri e proprio testi drammaturgici. «Nei De Filippo c'è […] una tendenza allo studio, all'ordine, che li salva dal pericoloso mare dei dialetti e ci fa azzardare l'ipotesi che la commedia italiana possa resuscitare passando per Napoli [...]. Senza voler esagerare ci si accorge che sono più vicini loro alla letteratura di quanto non lo siano molti autori d'oggi al teatro» (Ennio Flaiano).
  
Nel 1942 fu realizzata la versione cinematografica con tutti e tre i fratelli e con la regia di Carlo Ludovico Bragaglia, che firmò anche la sceneggiatura. In questa versione il testo originale fu rielaborato e venne introdotta anche la trovata della "maledizione" che fu poi proposta anche nella nuova versione teatrale, elaborata da Eduardo quando riprese la commedia nel dopoguerra. Forse per il fatto che Peppino aveva lasciato la compagnia, il ruolo di Bertolini viene ridimensionato, non essendoci più ad interpretarlo un attore della sua levatura. Nel 1964 fu registrata la versione televisiva.

Non ti pago fu rappresentata nelle stagioni dal 1940 al 1945. Fu poi ripresa nel 1947 fino al 1950, poi di nuovo dal 1953 al 1956, nel 1962-63, e nel 1968-69, quando la parte di Bertolini fu affidata al giovanissimo Luca De Filippo che appariva in cartellone con il nome di Luca Della Porta e che la riportò in scena nella stagione 1989-90, nel ruolo di Ferdinando.

Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. I, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni pari, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)


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