martedì 26 gennaio 2010

26 gennaio 1938. Uno coi capelli bianchi

Battista Grossi è un ricco industriale, sposato con Teresa e padre di Giuseppina. In casa di Battista si svolge un litigio tra Giuseppina e suo marito Giuliano, litigio che è stato provocato in maniera subdola proprio dal padre di lei; Battista infatti è un uomo che utilizza la menzogna ed il sotterfugio per mettere zizzania in famiglia, tra i suoi amici e i suoi collaboratori. Giuliano lavora nella ditta di proprietà del suocero e sta per portare a termine un affare molto vantaggioso. Fingendo di voler lasciare spazio al genero, quando questi sta per annunciare ai soci il buon esito dell'affare, Battista gli toglie la parola e se ne assume il merito, salvo poi tirarsi indietro nel momento in cui sembrano sorgere alcune difficoltà.

GIULIANO: Aspettate, non girate la frittata come meglio piace a voi… La pratica fu iniziata e svolta a vostra insaputa perché finalmente volevo che qualche vantaggio si riconoscesse anche a me; però a voi lasciai la decisione. Quando ve ne parlai, un vostro «no» avrebbe sventato tutto. Invece voi diceste «sì».
BATTISTA: Dissi «sì»! Ma perché dissi «sì»? Per giungere a questo, per guarire la tua vanità, per dimostrarti una volta per sempre che nella vita l'esperienza conta, che i capelli bianchi significano qualche cosa, e ti dico che tu nun saie campà!

Giuliano arriva all'esasperazione, anche perché viene a sapere che Giuseppina, istigata da Battista, a cui aveva incautamente riferito di una sua serata passata con gli amici in compagnia di ballerine poco vestite, gli rende la pariglia. Sta quasi per arrivare al gesto estremo impugnando la rivoltella e uscendo di casa per cercare Battista. Quando però alla fine lo trova lo affronta. Il vecchio è quasi sul punto di raggirarlo nuovamente nel tentativo di fargli credere che tutte le sue intromissioni nella vicenda tra Giuliano e sua figlia sono avvenute a fin di bene, avendo lui agito spinto dall'amore paterno. Giuliano si rende conto che si tratta ancora una volta di un inganno.

GIULIANO: […] No, questa volta, no! Non mi fate scemo! È un trucco, è un trucco! Voi state truccato; voi siete nato con i capelli bianchi!... I vostri capelli bianchi sono di nascita, e non mi cogliete! Siete un buffone! Gli anni che avete non contano, e io nun ve pozzo vedé! m'avete distrutto una vita, e siete pure fortunato, perché io a freddo non vi posso uccidere! Esasperatemi!... Fate qualche cosa!... Irritatemi! E vi giuro che vi sparo… (Battista lo guarda con aria di sufficienza e commiserazione. Giuliano fuori di sé) Non mi guardate così! Che volete far credere? Guardate in faccia! Parlate chiaro! (Ora con le mani lo prende per i due baveri della giacca e lo attira a sé fino a toccare naso e naso) E io sono stato distrutto da questa faccia! Da questo sguardo paterno! Da questo trucco! E lo voglio cancellare io! (Lo schiaffeggia ripetutamente. Più lo schiaffeggia e più l'ira gli monta alla testa. Battista non reagisce. Segue i movimenti del ferreo braccio di Giuliano)Rispondete! Reagite!

Dopo averlo schiaffeggiato Giuliano lascia la casa e Battista, soccorso da alcuni vicini che sono intervenuti, riprende il coraggio e la sua finzione.

BATTISTA: (Piangendo) Mi ha messo le mani addosso! A me! (Prende una ciocca dei suoi capelli bianchi, come per mostrarli) A me!

Battista Grossi è senz'altro uno dei personaggi più sgradevoli di tutto il teatro di Eduardo, per il quale l'autore mostra apertamente il suo disprezzo, a cominciare dalla didascalia iniziale in cui descrive la casa del vecchio come un ambiente in cui viene ostentata la ricchezza e in cui si nota la mancanza di gusto. I suoi comportamenti durante i tre atti sono sempre caratterizzati dalla menzogna e dalla manipolazione della verità. Si nasconde dietro il suo "avere i capelli bianchi", si fa forte dell'esperienza che gli viene dall'età per raggirare il prossimo. Quando però i suoi trucchi vengono smascherati, quasi si umilia, e quella che fino a poco prima era la sua forza, ora diventa la sua debolezza:

BATTISTA: Signor barone, non posso. Vi chiedo scusa, mi getto ai vostri piedi, vi bacio le mani… Vedete, io piango… Piango pentito e vi giuro che ho pagato a caro prezzo questa mia disattenzione… (Ora piange in un modo disgustoso per un uomo della sua età) Non lo faccio più. Perdonatemi… Non mi date questo schiaffo morale che, per un uomo della mia età potrebbe essere la fine…

La commedia fu rappresentata per la prima volta al Teatro Quirino di Roma il 26 gennaio 1938, pur essendo stata scritta nel '35. Eduardo interpretava Battista, Peppino era Giuliano mentre la moglie di Battista, Teresa, era interpretata da Titina. Il pubblico la apprezzò ma, proprio a causa del suo finale così duro, non mancarono le polemiche tra coloro che si schieravano a favore di Battista e quelli a favore di Giuliano, tanto che alla terza rappresentazione Eduardo scrisse un secondo finale, in cui il vecchio ancora una volta riusciva a raggirare il genero anche se, come spiegò lui stesso nella nota che inserì in occasione della pubblicazione sulla rivista "Comoedia", «A me sembra più giusta la prima soluzione perché più aderente alle intenzioni artistiche che han dominato la composizione di Uno coi capelli bianchi». Da allora si continuò a rappresentare la commedia con entrambi i finali ma dopo un paio di stagioni non fu più messa in scena.

Bibliografia
Eduardo De Filippo - Teatro, vol. I, a cura di Nicola De Blasi e Paola Quarenghi (I Meridiani - Mondadori)


venerdì 22 gennaio 2010

Un mondo meno rotondo ma un poco più quadrato

FABIO: Non sai niente? Don Artù, voi nemmeno sapete niente? Qua abbiamo preso l'abitudine di mandare continuamente la coscienza in lavanderia. Ma non soltanto noi: tutti senza salvare la faccia di nessuno, dal pezzo grosso fino all'ultima ruota del carro. E io dovrei eseguire scrupolosamente la volontà di don Antonio per salvare chi? Due carogne che hanno paura di dire la verità, due schifosi che preferiscono la bugia, l'ipocrisia, la minaccia, il ricatto... Fa comodo a tutti un Antonio Barracano che se ne va all'altro mondo per collasso cardiaco dopo aver speso una vita intera per limitare la catena dei reati e dei delitti. Avrebbe dovuto spenderla per allargarla. Come spenderò i miei ultimi anni. Io non parto, resto qua. (Va al telefono e forma un numero, la comunicazione arriva) Pronto... vorrei chiamare al centralino di Terzigno il numero del telefono della tenuta Barracano. Qui 31 40 21. Grazie. (Riattacca, trae di tasca l'assegno di due milioni e lo consegna a Santaniello) Questo lo darete alla vedova, se sentirete il bisogno di fare il vostro dovere. (Rivolto a 'o Cuozzo) Tu parlerai se vorrai. (Rivolto a tutti gli altri) Voi racconterete quello che avete visto e sentito stasera, se lo volete raccontare. Io faccio il referto medico come mi detta la coscienza. Usciranno i figli di don Antonio, i parenti di don Arturo, i compari, i comparielli, gli amici, i protettori: una carneficina, una guerra fino alla distruzione totale. Meglio così. Può darsi che da questa distruzione viene fuori un mondo come lo sognava il povero don Antonio, «meno rotondo ma un poco più quadrato». E comincio io col firmare il vero referto col mio nome e cognome: Fabio Della Ragione. Scannatemi, uccidetemi, ma avrò la gioia di scriverci sotto: in fede. (Siede alla macchina da scrivere e comincia a battere il referto).

Da Il sindaco del Rione Sanità, III atto, pagg. 912-913, Cantata dei Giorni Dispari (Mondadori, I Meridiani) 



Sullo stesso argomento:
9 dicembre 1960. Il sindaco del Rione Sanità

martedì 19 gennaio 2010

19 gennaio 1940. La parte di Amleto

La parte di Amleto è un atto unico che Eduardo scrisse nel 1939 mentre si trovava con la sua compagnia a Milano, al Teatro Nuovo.
Andò in scena per la prima volta il 19 gennaio 1940 al Teatro Odeon di Milano con la Compagnia Il Teatro Umoristico I De Filippo, della quale facevano parte in quell'epoca i due fratelli; Titina infatti era tornata al teatro di rivista con la compagnia di Nino Taranto.
Come in altri suoi lavori, Eduardo in questo atto unico rappresenta il mondo del teatro; il protagonista è Franco Selva, un vecchio attore, ex capocomico di provincia che, rimasto senza lavoro, si è ridotto a fare il servo di scena per una compagnia di attori che sta mettendo in scena l'Amleto in "un qualunque teatro di Napoli". È spesso vittima degli scherzi dei giovani attori della compagnia. Soltanto Rita, una giovane aspirante attrice non si lascia coinvolgere dai suoi colleghi, anzi è l'unica con cui Franco riesce a parlare seriamente dei suoi trascorsi in palcoscenico e della vita del teatro, trasmettendole la sua umile esperienza. Quando scoppia un litigio tra la prima attrice Adele Capecchio ed il primo attore Renato Cartis, l'impresario, stanco dei loro capricci da primedonne e dei magri incassi che la compagnia realizza al botteghino, caccia il primo attore. Questi, istigato anche dai compagni, fa credere al povero Franco Selva che sarà lui a sostituirlo nella parte del Principe di Danimarca. Franco, che non aspetta altro che tornare sul palcoscenico, corre a prepararsi e si presenta pronto per la sua interpretazione:

[…] In questo momento Franco è vestito da Amleto. Il maglione nero è troppo largo per le sue gambette stecchite. Anche la giubba è troppo grande per lui. Sui suoi capelli bianchissimi ha messo una parrucca a buccoli, il suo volto è spalmato di cerone troppo rosa. Dovrà sembrare un morto imbalsamato. Gli attori e Rita si accorgono della sua presenza. Questo spettacolo non li farà ridere, anzi susciterà in loro una profonda pena. Franco li guarda e quasi si pavoneggia come per dire: Sto bene?

Nel frattempo l'impresario ha ricomposto il litigio con il primo attore che è andato anche lui a prepararsi per andare in scena; quando vede Franco e si rende conto della beffa ordita ai suoi danni, gli offre cinquanta lire per ringraziarlo della disponibilità, ma il vecchio attore umiliato le rifiuta. L'atto si conclude con Franco che dietro le quinte viene illuminato da un riflettore, mentre sul palcoscenico inizia la rappresentazione.

Il tema della vita del teatro e degli attori è particolarmente caro a Eduardo. Questo atto unico è stato scritto peraltro in un periodo in cui, per l'affermarsi di altre forme di spettacolo, come ad esempio il cinema, e per gli interventi del regime fascista, molte piccole compagnie che recitavano prevalentemente in provincia, si sciolsero lasciando molti attori nella necessità di reinventarsi un mestiere ed anche privando il pubblico di paesi non raggiunti dalle compagnie nazionali della possibilità di assistere a spettacoli teatrali. In questo lavoro Eduardo sembra voler ricordare queste realtà oramai scomparse, contrapponendo la figura di Franco Selva a quelle degli attori "moderni", capricciosi ed egocentrici, non più impresari di se stessi ma legati più che altro ad un sistema burocratico.

Bibliografia
Cantata dei giorni pari,  a cura di Anna Barsotti (Einaudi)
Eduardo De Filippo - Teatro, vol. I, a cura di Nicola De Blasi e Paola Quarenghi (I Meridiani - Mondadori)


sabato 16 gennaio 2010

16 gennaio 1955. Mia famiglia

Mia famiglia fu scritta nel 1955 ma già nel 1950 Eduardo aveva iniziato ad elaborare una traccia del lavoro, più che altro informazioni riguardanti l'ambientazione e le caratteristiche dei vari personaggi.
Nel 1954 Eduardo inaugura il teatro san Ferdinando dopo che, per poterne finanziare la ricostruzione, per un paio d'anni si era dedicato esclusivamente al cinema. Qui verranno rappresentate per lo più commedie della tradizione teatrale napoletana. Questa scelta non entusiasmerà particolarmente il pubblico che preferiva le sue commedie. Per questo Eduardo, avendo bisogno di un nuovo lavoro da rappresentare, riprese in mano l'abbozzo di Mia famiglia che portò a termine nel giro di qualche settimana.
La commedia fu rappresentata dalla compagnia Il Teatro di Eduardo in anteprima nazionale al Teatro Morlacchi di Perugia il 16 gennaio 1955 mentre la prima fu due giorni dopo a Roma, al Teatro Eliseo.
Il tema della commedia è il conflitto generazionale, la disgregazione della famiglia, l'emancipazione femminile; contrasti che non si realizzano tanto attraverso lo scontro diretto ma piuttosto sono espressi da una mancanza di comunicazione che arriva alla indifferenza reciproca. Alberto Stigliano è uno speaker radiofonico, padre di Beppe che, aiutato da Guidone, suo amico omosessuale, vuole trovare fama e ricchezza nel mondo del cinema  e di Rosaria, giovane ribelle ed emancipata, fidanzata con Corrado. La moglie Elena è una donna che ha smesso di occuparsi della famiglie e passa la maggior parte del suo tempo a giocare a carte. Fa parte della famiglia anche Arturo, fratello di Alberto e militare in pensione. All'inizio della commedia si nota subito che la casa, seppure di tenore benestante, è quasi in uno stato di abbandono. Alberto si rende conto della situazione in cui versa la sua famiglia ma assiste in maniera passiva ai comportamenti provocatori dei suoi figli e dei loro amici. La sua reazione ci sarà quando sua moglie viene accusata da due amiche di non aver pagato un grosso debito di gioco. A questo punto Alberto smette di parlare, si rifugia in un silenzio che verrà scambiato per un malessere fisico. Questa reazione servirà a sbloccare la situazione familiare. Elena infatti dovrà darsi da fare per sostenere economicamente la famiglia (essendo Alberto uno speaker…) e nel secondo atto si noterà subito un miglioramento nella casa, in cui è stato attrezzato un laboratorio di sartoria. In questa apparente ritrovata tranquillità arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia che Beppe, nel frattempo recatosi in Francia per inseguire i suoi sogni di gloria, è ricercato dalla polizia perché sospettato di aver ucciso il suo pigmalione. È fuggito da Parigi ed ora si è tornato a nascondersi a casa. Nella concitazione del momento, tutti restano sorpresi quando Alberto "ritrova" la voce e chiama la polizia per far venire a prendere suo figlio.
Nel terzo atto è passato un anno, Beppe ha potuto dimostrare la sua innocenza, l'attività di Elena sembra procedere a gonfie vele. Alberto ha lasciato la casa e vive con un'altra donna, dell'esistenza della quale sia la moglie che i suoi figli erano a conoscenza. In casa Stigliano insieme ad Elena, Alberto e suo fratello ci sono i genitori di Corrado, venuti da Benevento per assistere (di nascosto) al matrimonio del figlio con Rosaria. Corrado infatti ha vietato loro di partecipare alla funzione. Arriva però in lacrime la neosposa che viene "riconsegnata" nelle mani di Alberto da Corrado il quale ammette di non essere poi così moderno come credeva. Rosaria chiede di restare sola con suo padre, al quale confessa che la sua spregiudicatezza era soltanto un atteggiamento per poter essere accettata dai suoi coetanei. Durante questo dialogo tra padre e figlia Alberto prenderà coscienza degli errori commessi.

ALBERTO: […] Poveri figli! Tu capisci in quale situazione si trovano i giovani di oggi… Se vulevano bene, e se mettevano scuorno 'e s' 'o ddicere. E noi, forse, con il nostro atteggiamento ostile, li abbiamo disorientati ancora di più. Non bisogna confondere momenti con momenti e fatti con fatti. La confusione c'è stata per loro e pure per noi. Ma questo non ci deve far credere ch se n'è caduto 'o munno.

La commedia si conclude con Elena che chiede a suo marito di tornare a casa. Alberto non accetta né rifiuta. Eduardo dichiarò che «Questa commedia non è completa perché la nostra epoca non è completa: è un periodo di transizione, di doloroso e disorientante trapasso».

L'accoglienza del pubblico è buona, anche se fu apprezzata più che altro l'interpretazione dell'intera compagnia. I critici non apprezzarono particolarmente la svolta seria di Eduardo a scapito della comicità. Viene inoltre criticata la tematica del conflitto generazionale identificando le posizioni piuttosto conservatrici del protagonista con quelle dell'autore. Eduardo arriverà a difendere la commedia sulle pagine di un settimanale:

«La commedia è in realtà soltanto un dialogo, un lungo dialogo a più voci. La rappresentazione di uno stato d'animo non deve essere necessariamente un spiegazione. Mia famiglia è il tentativo di un discorso diretto, della rappresentazione di un mondo, quello dei giovani che hanno perso la fiducia e insieme una nuova visione del mondo degli adulti anch'essi posti per la prima volta di fronte al dubbio se i concetti tradizionali della loro esistenza rappresentino o meno il giusto e il vero: ho tentato una volta tanto di rappresentare un'atmosfera, di dare un quadro di vita più che inventare situazioni teatrali di sicuro effetto».

La commedia comunque fu ripresa soltanto nella stagione 1955-56 e fu registrata per la televisione nel 1964.

Bibliografia
Cantata dei giorni dispari, vol. II, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)
Eduardo De Filippo - Teatro, vol. II, a cura di Nicola De Blasi e Paola Quarenghi (I Meridiani - Mondadori)


giovedì 7 gennaio 2010

14 gennaio 1948. Le bugie con le gambe lunghe

Nel dicembre 1946, subito dopo il debutto a Napoli di Filumena Marturano, Eduardo scrisse Le bugie con le gambe lunghe. L'accoglienza di Filumena a Napoli non era stata entusiasmante e probabilmente Eduardo aveva voluto tenere un titolo di riserva con cui sostituirla se fosse stato necessario. Non ce ne fu bisogno perché, dopo averla rimessa in prova, a Roma riscosse un successo eccezionale che la fece entrare nella storia.

Le bugie con le gambe lunghe viene rappresentata per la prima volta il14 gennaio 1948 al Teatro Eliseo di Roma dalla compagnia Il teatro di Eduardo con Titina De Filippo.
Eduardo raccontò che per uno dei personaggi, Benedetto Cigolella, si ispirò ad un uomo veramente esistito che aveva fatto fortuna durante la guerra e la cui la moglie si era innamorata di un ufficiale americano. Quando l'uomo venne a sapere che la sua storia era diventata il tema di una commedia, non fece causa come gli era stato consigliato, ma «ha chiesto soltanto una poltrona a teatro».
Appartiene al ciclo di commedie del dopoguerra, insieme a Le voci di dentro La grande magia e tratta il tema della contrapposizione tra realtà e menzogna.
Il protagonista è Libero Incoronato e di mestiere fa il consigliere filatelico. Conduce una vita modesta dividendo l'appartamento, al quinto piano di un palazzo-alveare, con la sorella Costanza. Libero è convinto che, dopo l'esperienza della guerra, siano finalmente scomparse tutte le finzioni e le ipocrisie. Ben presto invece dovrà rendersi conto che la società si regge ancora sulle bugie e sugli inganni che gli uomini si perpetrano reciprocamente. Libero è innamorato di Graziella, una ragazza con un passato discutibile e con cui non vuole unirsi poiché questo manderebbe a monte il matrimonio di sua sorella con l'anziano Roberto Peretti, un individuo squallido che vuole sposarsi per poter avere in casa "la più fedele delle serve".

7 gennaio 1946. Appaiono i "Fantasmi" di Eduardo

Il 7 gennaio 1946 la compagnia "Il teatro di Eduardo con Titina De Filippo" debuttò a Roma, al Teatro Eliseo, con la commedia "Questi fantasmi!".
In una intervista rilasciata nel 1983 al "Corriere della Sera", Eduardo racconta un episodio che gli ispirò la trama della commedia:
«C'era un vecchio con la barba che veniva a casa quando ci trovavamo tra amici perché raccontava di essere uno specialista di sedute spiritiche. Per convincermi, mi diceva che spesso, tornando a casa sua, trovava un tipo che usciva e lo salutava. Diceva di essere un fantasma. Io gli chiesi: "Lei è sposato? E sua moglie non dice nulla?" "Non se ne accorge - mi rispose - "Non lo vede". Così nacquero Questi fantasmi!».
Questa opera potrebbe avere anche un'origine legata alla storia della sua famiglia; infatti, nella sua autobiografia, Eduardo Scarpetta racconta che da bambino andò a vivere con la sua famiglia in un vecchio palazzo che il padre aveva ottenuto in affitto per una somma molto bassa, in quanto si diceva che fosse infestato da un "munaciello", uno spirito. Quando sua madre venne a sapere della leggenda, spaventata costrinse il marito ad abbandonare il palazzo.

E proprio in un antico palazzo napoletano Pasquale Lojacono andrà ad abitare un enorme appartamento che ne occupa un intero piano, pieno di stanze e di balconi che si affacciano sui quattro lati dell'edificio. Pasquale è un uomo che le ha tentate tutte per cercare di raggiungere per sé e per la giovane moglie Maria un po' di tranquillità economica, senza però riuscirvi. Per questo motivo ha accettato di andare ad abitare in questo palazzo, che si dice sia infestato dai fantasmi. Il proprietario, per riaccreditarlo, concede a Pasquale di occuparlo gratuitamente per cinque anni. Pasquale, che ha in progetto di mettere in piedi una pensione nelle tante stanze che lo compongono, in cambio dovrà fare in modo che la gente si convinca che fantasmi in quella casa non ce ne sono.
Ben presto però inizieranno a manifestarsi strane presenze che entrano ed escono dagli armadi, che al principio lasciano fiori, polli arrosto, fino ad arrivare alle somme di denaro che consentiranno a Pasquale di arredare le stanze. In realtà non si tratta di veri fantasmi ma dell'amante di Maria che, sposato a sua volta e con due figli, vuole abbandonare la sua famiglia e fuggire con la moglie di Pasquale.

Durante i tre atti della commedia e fino alla fine non è possibile stabilire se il protagonista creda realmente all'esistenza di presenze soprannaturali o faccia buon viso a cattivo gioco, approfittando della situazione per trarne vantaggio. Eduardo disse che «La forza della commedia sta in questa ambiguità»

È particolare la presentazione che l'autore fa dei vari personaggi, definiti Le anime:

Pasquale Lojacono (anima in pena)
Maria, sua moglie (anima perduta)
Alfredo Marigliano (anima irrequieta)
Armida, sua moglie (anima triste)
Silvia, 14 anni e Arturo, 12 anni, loro figli (anime innocenti)
Raffaele, portiere (anima nera)
Carmela, sua sorella (anima dannata)
Gastone Califano (anima libera)
Saverio Califano, maestro di musica e Maddalena, sua moglie (anime inutili)
Due facchini (anime condannate)
Il Professor Santanna, (anima utile, ma non compare mai)

Quest'ultimo è un personaggio straordinario e fondamentale nella commedia. La sua presentazione lo dice, non compare mai, non si vede e non si sente mai parlare. È il dirimpettaio con cui Pasquale si ritrova a parlare dal balcone nei momenti chiave della commedia.

sabato 2 gennaio 2010

2 gennaio 1932. Quei figuri di trent'anni fa


Questo atto unico fu scritto da Eduardo nel 1929 ma fu rappresentato per la prima volta dal «Teatro Umoristico I De Filippo» il 2 gennaio 1932 al Cinema-Teatro Kursaal, dove la Compagnia doveva rappresentare un atto unico al termine di ogni proiezione.
In origine il titolo era «Le bische» ma a causa della censura furono costretti a cambiarlo. Infatti il regime aveva vietato il gioco d'azzardo e quindi le bische non esistevano più; per questo motivo l'ambientazione della commedia fu spostata di trent'anni. Si tratta di una farsa in cui l'ingenuità di uno sprovveduto piccolo borghese (che ricorda il Felice Sciosciammocca di Eduardo Scarpetta), assunto in qualità di "palo" dal proprietario di una bisca, farà fallire la truffa ordita ai danni di un avventore appositamente adescato, il "pollo". I due personaggi portano gli eloquenti nomi di Luigi Poveretti (il palo) e Don Peppino Fattibene (il pollo).
Gennaro Fierro, proprietario della bisca, cerca di istruire il povero Luigi insegnandogli i segnali con i quali dovrà imbrogliare la vittima designata ma lo sprovveduto si confonde e manda all'aria i piani del malavitoso.
Quando infine vengono avvisati di una imminente retata da parte delle autorità, tutti i personaggi che popolano la bisca si affrettano a camuffare l'ambiente che diventa un Circolo della Caccia. Ma ancora una volta Luigi, questa volta insieme a don Peppino Fattibene, inconsapevolmente svelano la vera natura di quello che accade nel circolo e vengono portati via insieme agli altri avventori.
Come spesso accade nel teatro di Eduardo, nel corso degli anni e delle rappresentazioni la commedia subisce delle modifiche, vengono aggiunti personaggi che daranno vita a nuove scene. Nella versione originale la parte di Luigi Poveretti era affidata a Peppino.
Questo atto unico fu rappresentato fino alla stagione 1942-43 e ne furono realizzate due edizioni televisive, la prima nel 1956, con Eduardo nel ruolo del "palo" Luigi Poveretti, e l'altra nel 1978 in cui invece interpretava Don Peppino Fattibene mentre il figlio Luca vestiva i panni di Luigi Poveretti. Tra gli altri interpreti di questa edizione Pupella Maggio, Luigi Uzzo, Marzio Onorato, Linda Moretti, Gino Maringola, Marina Confalone. Per le musiche, Eduardo insieme a Nino Rota adattarono brani dell'epoca.


venerdì 1 gennaio 2010

Ncopp' a sta terra

Te pare luongo n'anno
e passa ambressa;
quann'è passato se ne va luntano;
ne passa n'ato
e quanno se n'è gghiuto
corre pur'isso nziem'a chillo 'e primma,
e nzieme a n'ati cinche
vinte
trenta
se ne vanno pé ll'aria
ncopp' 'e nnuvole.
E 'a llà tu siente comm'a nu frastuono
chè sempe 'o stesso
'a quanno 'o munno è munno
ncopp' a sta terra:
comme si fosse 'a banda d' 'o paese
ca scassèa mmiez' 'o vico
e s'alluntana.
Trase int' 'e rrecchie quanno sta passanno
e nun 'a siente cchiù quann'è passata.
Ma na cosa te resta:
sa che te rummane?
Te rummane 'o ricordo 'e nu mutivo
comme fosse na musica sperduta
'e nu suonno scurdato,
ca t'è paruto vivo
chiaro cchiù d' 'o ccristallo
dint' 'o suonno
e nun 'o può cuntà quanno te scite
manc'a te stesso,
tanto è fatto 'e niente.
[1970]
Da Le poesie di Eduardo, Einaudi, pagg. 84-85