sabato 17 dicembre 2011

Il figlio di Pulcinella

"Racconto moderno da un favola antica", così recita il sottotitolo di questa commedia, scritta da Eduardo negli anni tra il 1955 e il 1959. Protagonista è Pulcinella, la maschera che identifica il popolo napoletano tradizionalmente sfruttato dai potenti, disprezzato e asservito.

L'intento di Eduardo era di calare l'antica maschera nella realtà del proprio tempo. L'epoca in cui viene composta la commedia è quella in cui si era affermato il fenomeno del "laurismo", dal nome dell'armatore Achille Lauro che in quegli anni fu sindaco di Napoli. La sua azione politica si attuava attraverso il clientelismo, i favoritismi e cercando di conquistare il ceto popolare grazie ad atti paternalistici che passavano anche attraverso i successi calcistici e le feste cittadine.

Nella commedia Pulcinella è ormai arrivato alla fine dei suoi giorni, stanco e abbandonato. L'unica a fargli compagnia è la lucertola Catarinella, che ai suoi occhi assume le sembianze di una ragazza. Vive in una capanna sulla terrazza della casa del suo padrone, il barone Vofà-Vofà. Una lunga didascalia descrive il suo apparire in scena:

«[...] il pavido servo inservibile, sguscia dal suo rifugio come una lumaca. E così, carponi come si trova, mezzo fuori e mezzo dentro, reclina il capo prima verso destra, fissando il pubblico, con uno sguardo ambiguo e sornione, poi verso sinistra per osservare, con accorato senso di nostalgia, il panorama di Napoli. Le sembianze dell'illustre "Acerretano" oltre ad essere mutate dall'ultima volta che il suo nome figurò sui cartelloni del San Carlino, [...] presentano altresì certi segni caratteristici insoliti che suscitano in chi li osservi da critico e da cultore delle tradizioni, un vivo senso di sgomento e commozione insieme. [...]».

Appare invecchiato, con i capelli lunghi e canuti che fuoriescono dal tradizionale e malconcio "pan di zucchero", la casacca ridotta ad un cencio. Il suo padrone ha intenzione di presentarsi alle elezioni e, per guadagnarsi il consenso popolare pensa di ricorrere al suo vecchio servo, ben sapendo che con poche lusinghe può sfruttarlo per i suoi scopi. Allo stesso modo però anche altri  cercheranno di blandire Pulcinella ed il popolo che lui rappresenta. La maschera è disposta a farsi strumentalizzare ed a vendersi al migliore offerente firmando le tessere di tutti i partiti, pur di riuscire a sopravvivere.

domenica 4 dicembre 2011

Lo Scoiattolo di Luisella

Ieri ricorrevano i cento anni dalla nascita di Nino Rota, uno dei maggiori compositori italiani. Rota è stato autore di numerose colonne sonore di film, definito spesso come "il musicista di Fellini" e premio Oscar per la colonna sonora del film "Il padrino parte II".

Tra le sue innumerevoli collaborazioni vi è stata anche quella con Eduardo. Probabilmente in questo contesto il suo lavoro più noto è l'opera lirica "Napoli milionaria!", con libretto dello stesso Eduardo e presentata alla serata inaugurale del Festival dei Due Mondi di Spoleto il 22 giugno 1977. Già da molti anni tuttavia i due avevano lavorato insieme e Rota aveva composto diverse colonne sonore per Eduardo: nel 1950 per la versione cinematografica di "Napoli milionaria!", nel 1951 per il film "Filumena Marturano", nel 1966 per il film "Spara forte, più forte... Non capisco" con Marcello Mastroianni, tratto dalla commedia "Le voci di dentro". Nel 1971 scrisse le musiche per lo spettacolo "Ogni anno punto e da capo", rappresentato al Piccolo Teatro di Milano con Ombretta Colli, Franco Parenti e Paolo Graziosi. Partecipò alla "Lieta serata con Eduardo e i suoi  compagni d'arte", organizzata dall'impresario Carlo Molfese al Teatro Tenda di Piazza Mancini a Roma. In questa occasione compose la musica per un balletto interpretato da Carla Fracci, ispirato alla scena finale di Filumena Marturano. Tra il 1975 e il 1981 scrisse le musiche per le edizioni televisive di alcune commedie: "Lu curaggio de nu pompiere napulitano", "Li nepute de lu sinneco", "'Na santarella", "'O tuono 'e marzo", "Quei figuri di trent'anni fa" (insieme ad Eduardo fecero un adattamento di musiche d'epoca) e "Il contratto".

Luisella ritratta da Titina
In un'altra occasione tuttavia Eduardo e Nino Rota avevano realizzato qualcosa insieme e fu una circostanza strettamente legata ad una vicenda personale che aveva profondamente segnato Eduardo. Il 5 gennaio 1960 la sua amatissima figlia Luisella, nata nel settembre del 1949, morì a causa di un'emorragia cerebrale. Nel suo libro del 1971 "'O Canisto" Eduardo le dedica un capitolo, con la poesia "Pazzianno c' 'o suonno" e con un ricordo personale. Racconta che la bimba ogni giorno, tornando da scuola, non mancava mai di portargli un piccolo regalino, qualcosa acquistata su una bancarella, oppure un fiore, una foglia dalla forma o dai colori particolari. Un giorno però, essendosi trattenuta a scuola più del solito per completare un tema, non aveva fatto in tempo a portargli nulla. Era però ansiosa di raccontare a suo padre la storia che aveva scritto nel componimento e, come scrive Eduardo «il regalo me lo fece lo stesso...».

La storia è quella di uno scoiattolo che non ha i denti e che quindi non riesce a mangiare. Nel bosco in cui vive passa un re, che gli promette una polvere magica in grado di farglieli spuntare. In cambio però lo scoiattolo deve recarsi a corte e preparare un sontuoso banchetto per lui ed i suoi illustri ospiti. Il piccolo roditore accetta ma la preparazione del pranzo  si rivela più lunga e complicata del previsto, tanto che il re minaccia di decapitarlo. Quando finalmente tutto sembra essere pronto, lo scoiattolo, specchiandosi nel coperchio di una pentola, si accorge che, anche senza polvere magica, gli sono spuntati i denti. Stanco ed affamato mangia tutto quello che aveva cucinato e fugge via dalla reggia, lasciando il re e tutti i suoi ospiti a bocca asciutta.

Da questo racconto Eduardo scrisse il libretto per un'Operina in un atto per bambini, "Lo scoiattolo in gamba", con la musica, appunto, di Nino Rota. Nel Canisto Eduardo riporta il testo del libretto e, a conclusione del capitolo, scrive:

«...Adesso Luisella tiene vent'anni... Il tempo passa, come no! Per una ragazza bella come lei, moderna, allegra e con tutta la gioia di vivere che ha, si giustifica in pieno l'indifferenza che prova per i ricordi d'infanzia; io però, a sua insaputa, questo "Scoiattolo" l'ho voluto mettere nel Canisto. Lei non lo darà a vedere, ma in fondo ne avrà gioia».

giovedì 10 novembre 2011

"Tu mi cai..."

Tre calzoni fortunati è una commedia di Eduardo Scarpetta scritta nel 1894 e che Eduardo riadattò sul finire degli anni '50 in forma di farsa sulla società italiana che stava cambiando. 
Le modifiche apportate da Eduardo furono dettate sia dalla volontà di attualizzarla al proprio tempo, sia da esigenze della sua compagnia: in due piccoli ruoli recitarono infatti anche i suoi figli, Luca e Luisella.

Nell'originale di Scarpetta il protagonista era Pulcinella, sostituito da Eduardo con Vincenzo Fiorillo che tuttavia, della maschera napoletana, conserva alcuni tratti, non ultima la fame atavica. 
Nella tradizione comica uno dei temi classici è quello della "missiva", della lettera che, sia che venga scritta, sia che venga letta, rappresenta una sorta di impresa titanica da compiere per lo sventurato che vi si cimenta.
In questa scena Vincenzo legge una lettera inviatagli da suo fratello. Eduardo riesce in maniera mirabile a rendere lo sforzo sovrumano che il personaggio compie per riuscire ad interpretare la scrittura, a comprendere il senso di parole astruse ed a ricostruire intere frasi prive di qualunque forma di punteggiatura. 




venerdì 4 novembre 2011

Un convegno dedicato alle famiglie Scarpetta e De Filippo

Si terrà a Napoli il prossimo 16 e 17 novembre un Convegno organizzato dal Polo di Scienze Umane e Sociali, Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Federico II di Napoli, in collaborazione con Napoli Teatro Festival, dal titolo "Una famiglia di artisti. Gli Scarpetta e i De Filippo".



Durante la due giorni sono previste sette sessioni ed una tavola rotonda conclusiva. Questi gli interventi in programma:

       Mercoledì 16 novembre
  • Nel vestibolo del moderno tra riesumatori e rivoluzionari. Autori e famiglie teatrali a Napoli (1885-1925) - Toni Iermano
  • Scelte linguistiche di Eduardo De Filippo tra origini scarpettiane e italiano contemporaneo - Nicola De Blasi
  • Famiglie teatrali tra legami di sangue e legami d'arte - Luca De Fusco
  • La famiglia in scena - Adriana Mauriello
  • Testi inediti del giovane Peppino - Patricia Bianchi
  • Mangiare o non mangiare: se questo è il problema. La Napoli di Scarpetta, tra antica miseria e nuova nobiltà - Edoardo Sant'Elia
  • "Felice Sciosciammocca mio padre" di Maria Scarpetta - Domenico Giorgi
  • I De Filippo e il cinema negli anni 1939-1943 - Valerio Caprara
  • La passione teatrale di Titina De Filippo tra riso, sorriso e pianto - Giuseppina Scognamiglio
  • Mario Scarpetta e le voci di dentro del teatro napoletano - Fabrizio Coscia
  • Vincenzino oltre la maschera - Mariolina Cozzi Scarpetta
  • Eduardo, Peppino e Vincenzo Scarpetta: il caso di "Uomo e galantuomo" - Vincenzo Caputo
  • L'archivio Scarpetta per immagini, a cura di Patricia Bianchi e Giuseppina Scognamiglio, con la collaborazione di Cristiana Anna Addesso, Carla Ardito, Giovanna Manna e Flavia Mosca.
      Giovedì 17 novembre
  • Figli darte: un sapere muto - Paola Quarenghi
  • "Liolà" di Pirandello e la traduzione napoletana tra Vincenzo Scarpetta e Peppino De Filippo - Pasquale Sabbatino
  • "Una cassa colma di oggetti teatrali": Peppino de Filippo e la tradizione, dalla Commedia dell'Arte a Eduardo Scarpetta - Cristiana Anna Addesso
  • Gli Scarpetta e il cinema - Pasquale Iaccio
  • Ma che musica maestro! The sound side of Sciosciammocca junior. Ovvero alla (ri)scoperta del compositore Vincenzino Scarpetta - Federico Valcalebre
  • Viviani e gli altri. Scarpetta, Eduardo e Pirandello - Antonio Lezza
  • Rappresentazioni delle famiglie teatrali in Viviani e Eduardo - Lucrezia Girardi
  • Eduardo Scarpetta riscrive Francesco Cerlone: da "Il finto medico" a "Nu zio ciuccio e nu nepote scemo" - Giovanni Maddalone
  • Vincenzo Scarpetta e Peppino De Filippo, musicisti non per caso - Carla Ardito
  • La scena del testo: composizioni per un allestimento - Monica Brandicci
  • "Caro Vittorio": lettere di Peppino De Filippo a Vittorio Fiore, impresario (1947-1958) - Roberta Sandìas

Il Convegno avrà luogo presso la Sala del Palazzo degli Uffici, in via G. C. Cortese, 29.

Segreteria Organizzativa: Rosanna Calderone - Michele Villano. Dipartimento di Filologia Moderna "Salvatore Battaglia", via Porta di Massa,1 - 80133 Napoli - Tel. 01.25.35.537 - Fax. 081.25.35.561
Segreteria Scientifica: Cristiana Anna Addesso - Vincenzo Caputo (cristianaanna.addesso@unina.it; vkaputo@libero.it)



lunedì 31 ottobre 2011

Apparente naturalezza


«Credo che nel ricordare Eduardo si debba cominciare dall'attore: era, delle sue tre "persone" (il drammaturgo, il regista, l'interprete), quella che egli, senz'altro, prediligeva. Eduardo è stato un attore di straordinaria penetrazione critica e, paradossalmente, di una estrema sobrietà e apparente naturalezza. Il personaggio lo studiava "standogli addosso": l'espressione era sua e credo che nelle sue intenzioni equivalesse alla marcatura stretta del giocatore di foot-ball sull'avversario: qua un gesto captato al volo, là un'intonazione, in un lavorio fitto fitto di mimesi del "grande assente" (ancora un'espressione che gli era cara) che poteva durare settimane e settimane: un giocare a rimpiattino col ruolo, che aveva qualcosa di furbesco e straziante a un tempo, una partita di dare e avere che sembrava non dovesse saldarsi mai, col bruciore delle ferite non pienamente rimarginate. Nascevano, da questi sordi, dolorosi testa a testa col personaggio, quelle interpretazioni di ammirevole misura, percorse da pause stupendamente espressive (i leggendari "silenzi"), da un sussurro soffocato, da un borbottio tra la tenerezza e il dispetto. Le vedevi germinare, come per prodigio, in proscenio (ricordo ancora la sua ultima, Ciampa del Berretto a sonagli), ti sembrava che tutto fosse facile, naturale per l'appunto: "Ma la naturalezza, a teatro, non esiste, caro amico, ve la dovete proprio levare dalla testa", mi disse dinanzi ad un folto pubblico, due anni fa, a Perugia, e sembrava che nella voce gli si fosse innestata una vena d'eroico furore, una rabbia propriamente etica, esistenziale».

(Guido Davico Bonino, La Stampa, 2 novembre 1984)

venerdì 7 ottobre 2011

Ditegli sempre di sì

Ditegli sempre di sì è una commedia in due atti, scritta da Eduardo nel 1925 per la compagnia di Vincenzo Scarpetta. Rispetto alla stesura originale subì numerose modifiche, a partire dal titolo che in origine era Chill'è pazzo!. Il tema centrale e piuttosto ricorrente è quello della pazzia, presente anche ne Il medico dei pazzi di Eduardo Scarpetta, ed affrontata dallo stesso Eduardo in Uomo e galantuomo. Se però in quest'ultimo testo la pazzia del protagonista viene simulata per sfuggire a situazioni scomode e imbarazzanti, in Ditegli sempre di sì, al contrario,  il protagonista è davvero malato di mente e, poiché questa condizione è stata tenuta nascosta, le sue stranezze saranno la causa di equivoci e situazioni imbarazzanti.

Originariamente protagonista era Felice Sciosciammocca, la "maschera senza maschera" creata da Scarpetta padre, si svolgeva in tre atti ed erano presenti un gran numero di personaggi che, intorno alla trama centrale, davano vita ad una serie di intrecci secondari, costruiti secondo gli schemi della pochade. Luigi Strada, giovane studente spiantato, poeta e attore dilettante, è un personaggio derivato dalla tradizione comica napoletana e che nella commedia di Eduardo rappresenta una sorta di alter ego del protagonista. Lui è, al contrario di Felice, un savio scambiato per folle. Mentre il primo è incapace di cogliere le astrazioni del linguaggio e quindi prende alla lettera qualunque cosa venga detta, Luigi è immerso in un suo mondo di fantasia che lo tiene lontano da quello reale.

Quando negli anni '30 la commedia fu portata in scena dalla compagnia "Il Teatro Umoristico i De Filippo", Eduardo rivide il testo, adattandolo alle esigenze della nuova formazione; ridusse il  numero dei personaggi, snellì notevolmente l'intreccio e, da un copione che risale all'epoca delle rappresentazioni dei tre fratelli, è possibile desumere come molte situazioni fossero lasciate intenzionalmente all'improvvisazione degli attori, in particolare di Peppino. In questo passaggio la commedia perse le caratteristiche che la riconducevano al genere della pochade per rientrare nel genere della commedia umoristica. Il personaggio principale non è più Sciosciammocca, sostituito da Michele Murri, vengono meno le situazioni macchiettistiche e farsesche mentre il carattere dei personaggi è maggiormente approfondito.

lunedì 19 settembre 2011

Eduardo, Pierino e il lupo

L'opera Pierino e il lupo, del compositore russo Sergej Prokof'ev e scritta nel 1936, è una favola musicale destinata ai bambini. Si compone di musica, eseguita da un'orchestra,  e testo. Ogni personaggio della storia è rappresentato da uno strumento.

Molti negli anni i personaggi che hanno interpretato la voce narrante: da Dario Fo a Gigi Proietti, da Roberto Benigni a Filippo Timi a molti altri, tra cui anche Eduardo.

Diversi anni fa trovai il CD, nell'esecuzione dell'Orchestra Filarmonica di Vienna diretta da Karl Böhm, per l'etichetta Deutsche Grammophon. 


«È difficile pensare ad un Eduardo senza volto, proprio lui incredibile artigiano della recitazione essenziale, rarefatta talvolta, e dove il viso è l'occasionale unico sostegno dei silenzi e delle pause.
È difficile pensare ad un Eduardo lontano dalla realtà napoletana nella quale e della quale fu assoluto interprete, portando il teatro dialettale ai vertici del teatro d'arte.
È difficile pensare ad un Eduardo senza i fratelli Titina e Peppino, senza gli attori che diedero vita a quella infinita galleria di personaggi che, sin dalle iniziali tematiche pirandelliane, restituirono la prepotente e commossa vitalità dei vicoli della Napoli emarginata.
Ebbene, anche un Eduardo senza volto, senza Napoli e senza la sua gente riesce perfettamente a porgere le agili trame del bestiario musicale di Prokofiev. Sembra che la sua voce ci abbia già raccontato la favola di Pierino e il lupo sin dalla nostra più tenera età, e che il racconto e la voce che gli dà vita appartengano ad un nostro passato nebuloso e piacevolmente intimo»

(Claudio Ricordi, dalle note del libretto di accompagnamento al CD)


giovedì 15 settembre 2011

Tempeste

Angela Leonardi, laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l'Università Federico II di Napoli, nel 2007 ha pubblicato per Colonnese Editore un interessante saggio sulla traduzione di Eduardo dell'opera di Shakespeare "La tempesta" in dialetto napoletano del Seicento.

Lontani tra di loro nel tempo e nello spazio, queste due grandissime personalità hanno votato le loro esistenze alla comune passione per il teatro, facendone una ragione di vita e lasciando tracce indelebili attraverso la loro arte. Hanno condiviso la medesima visione del teatro come metafora del mondo, in cui la condizione dell'attore rispecchiava quella dell'uomo.

Eduardo non ha mai nascosto la sua ammirazione per il drammaturgo inglese, primo autore teatrale a cui si accostò in gioventù, scegliendo di iniziare a leggere, durante gli anni della sua formazione, tra i vari autori proprio «il primo della classe: Guglielmo Shakespeare».  E quasi come a chiusura di un cerchio, la traduzione de "La tempesta" ha rappresentato la sua ultima fatica, terminata pochi mesi prima di morire.

Eduardo non si limitò a farne una semplice traduzione ma, grazie anche alla scelta di utilizzare il dialetto napoletano seicentesco, adattato e reso comprensibile ad un pubblico del nostro tempo, ne ha compiuto una vera e propria trasposizione. Mantenendo la fedeltà al testo originale non ha dimenticato mai uno degli elementi essenziali nella sua idea di teatro, ovvero il "personaggio in più", il pubblico. Nei vari capitoli di questo saggio l'autrice, mettendo a confronto i due testi, evidenzia l'accuratissimo lavoro compiuto da Eduardo per rendere comprensibili allo spettatore del proprio tempo concetti e situazioni di un'epoca lontana, spesso dilatando il testo originale, più raramente eliminando alcuni versi, con numerosi richiami anche alla Commedia dell'Arte.

«È però evidente che qualsiasi operazione condotta sul testo originale ha per lui lo scopo principale di servire la propria poetica, esplorando i modelli e le potenzialità espressive che gli consentono di porla in essere. Ed è in questo spazio ideale che va collocato il tratto che innanzitutto colpisce il lettore-spettatore, vale a dire il ricorso pressoché generalizzato al dialetto napoletano dei Seicento - "ma come può scriverlo un uomo che vive oggi; sarebbe stato innaturale cercare una aderenza completa ad una lingua non usata ormai da secoli"; un idioma fortemente evocativo, ricchissimo, sia dal punto di vista lessicale che sematico, capace di immergere il testo scespiriano nel mondo della cultura e delle tradizioni napoletane persino quando Eduardo cerca di mantenersi fedelissimo all'originale [...]. Così, con accenti diversi emergono in tutta la loro forza i temi e le forme originari: la favola del mago Prospero, i prodigi di Ariel e degli altri spiriti, le fattezze mostruose di Caliban, i duetti comici tra Stephano e Trinculo e, soprattutto, le situazioni e i rapporti tra i personaggi, che danno modo alle più contrastanti pulsioni dell'animo umano di venire alla luce».

Angela Leonardi, Tempeste. Eduardo incontra Shakespeare, Colonnese Editore



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mercoledì 13 luglio 2011

La follia della comicità

«[Michele] pare la cortesia e la saggezza fatte persona. E tutto quello che fa e dice, nasconde, sotto una lucidezza un po' inquieta, una matta ostinazione. Ebbene, bisogna vedere quale comicità placida e insieme fantasiosa, sfumata e potente, distratta e convinta sa raggiungere nell'interpretazione di questo personaggio Eduardo De Filippo, che poi è anche  l'autore della commedia. Questo Michele, a poco a poco, ingrandendosi, passa dalla semplicità più schietta e calma ai più arditi gradi della ilarità, sfiorando talora la farsa, superandola, per raggiungere il grottesco, mescolando il vero allo sconvolgimento del vero. È la follia della comicità; e tutto questo con una precisione di particolari osservati, impeccabili»

("Ditegli sempre di sì" - Renato Simoni, Corriere della Sera, 21 marzo 1934)


mercoledì 6 luglio 2011

Eduardo dietro le quinte

Bulzoni Editore ha dedicato una sezione della Collana Biblioteca Teatrale alla "Memoria di Eduardo", sezione curata da Ferruccio Marotti e Agostino Lombardo. I titoli pubblicati: O Capitano, mio Capitano! Eduardo maestro di drammaturgiaCome a concertoParole mbrugliateSabato, domenica e lunedì. Eduardo De Filippo, teatro, vita, copione e palcoscenico e questo Eduardo dietro le quinte. Un capocomico-impresario attraverso cinquant'anni di storia, censura e sovvenzioni (1920-1970)

Attraverso la lente dei mutamenti delle varie norme che in cinquant'anni di storia italiana hanno regolamentato e condizionato la scena teatrale del nostro Paese, è descritta in maniera scrupolosa l'attività di Eduardo capocomico e impresario, a cominciare dai suoi esordi. Viene ripercorsa la vicenda del Teatro San Ferdinando, acquistato nel 1948 da Eduardo, ridotto praticamente in macerie a seguito dei bombardamenti. Dovette affrontare enormi impegni economici, che lo portarono a chiedere numerosi prestiti alle banche, ad investire tutti i guadagni derivati dalla sua attività cinematografica di quegli anni e ad ipotecare lo stesso teatro, la sua casa di Roma e lo scoglio di Isca, acquistato alcuni anni prima.

«L'apertura di un teatro [...] è un'impresa titanica, quasi impossibile se chi vuole affrontarla è un privato. Eppure può rappresentare una grande occasione per una città affamata in cui è altissima la mortalità infantile, dove si arricchiscono gli speculatori mentre le forze attive sono costrette ad emigrare. Il progetto San Ferdinando è, nella mente di Eduardo, un punto di partenza per creare in quegli anni difficili un'azienda attiva per un rilancio culturale e sociale di una delle zone più povere della città. Invece le forze politiche lo lasceranno solo, leggi e burocrazia si trasformeranno in ostacoli insormontabili»

Altro capitolo interessante è quello che affronta la questione del Teatro Stabile di Napoli, alla cui direzione fu proposto Eduardo alla fine degli anni '60. Nonostante l'impegno assunto con la serietà e professionalità che  hanno sempre contraddistinto tutte le iniziative da lui intraprese, il progetto non vide mai la luce e Eduardo, a cui i politici di turno non chiesero mai ufficialmente di rinunciare all'incarico (ma Isabella riferisce che diverse volte gli furono fatte pressioni affinché rinunciasse spontaneamente), rimase fino alla morte il direttore artistico di questo ente mai effettivamente nato.

L'autrice del libro, Maria Procino Santarelli, è una ricercatrice storico-archivista che ha lavorato per la compagnia "Il Teatro di Eduardo" e poi per la "Compagnia di Teatro di Luca De Filippo". Ha corredato questo accurato lavoro con delle interviste ad alcuni tecnici, facenti parte di quella «categoria silenziosa» indispensabile alla riuscita dello spettacolo teatrale. Si tratta di persone che hanno lavorato insieme a Eduardo, "'o masto", e che contribuiscono a definirne meglio la figura, al di fuori dei confini della mitologia che lo accompagna.

Maria Procino Santarelli, Eduardo dietro le quinte. Un capocomico-impresario attraverso cinquant'anni di storia, censura e sovvenzioni, Bulzoni Editore

giovedì 26 maggio 2011

Il cilindro

Nell'estate del 1965 Eduardo scrisse Il cilindro, atto unico ispirato, secondo alcuni, ad un fatto di cronaca. Il soggetto della commedia era stato venduto dall'autore per uno degli episodi del film "Racconti a due piazze", una coproduzione italo-francese; titolo dell'episodio era "Morire per vivere". Il film in Italia non ebbe particolare successo ed uscì solo dopo la messa in scena teatrale di Eduardo.

Il debutto avvenne il 14 gennaio 1966 a Roma, al Teatro Quirino, insieme a Dolore sotto chiave, altro atto unico che era stato già rappresentato nella stagione precedente. Lo spettacolo aveva il sottotitolo di "Due giorni dispari" e  tratto comune dei due lavori è il tema della morte. Per i due protagonisti de Il cilindro, Eduardo ricorre ad attori non napoletani; Franco Parenti, milanese, interpreta Rodolfo e Gianna Giachetti, fiorentina, è sua moglie Rita.

Una lunga didascalia iniziale descrive l'ambiente in cui si svolge la scena, ambiente «che vediamo ha tutte le caratteristiche di quei locali sotto il livello stradale, tipici delle costruzioni di fine settecento, destinati a deposito, cantina o, nel migliore dei casi, alla sistemazione del "guardaportone"». Agostino Muscariello, ex custode di teatro, e la sua compagna Bettina, dividono la misera abitazione con Rodolfo e Rita, una coppia di giovani sposi. I quattro rischiano di essere sfrattati e per riuscire a raggranellare in breve tempo la somma di denaro di cui necessitano, hanno escogitato uno stratagemma. Rita adesca uomini dal balconcino a livello strada che affaccia sul vicolo. Una volta entrati li conduce fino al letto matrimoniale, dove però trovano ad attenderli una brutta sorpresa: disteso sul letto c'è Rodolfo nella posizione tipica dei defunti. Quando il malcapitato di turno chiede spiegazioni, Rita inizia la sua sceneggiata, spiegando che quello è suo marito morto da poco e che è costretta a prostituirsi per poter pagare il funerale. Nella maggior parte dei casi gli uomini, ai quali viene preventivamente estorto il denaro, scappano spaventati. Nei casi in cui questo non avviene e magari lo sfortunato cliente prova almeno a farsi restituire i soldi, giunge in soccorso Agostino. Si presenta con indosso un vecchio cilindro ed inizia a terrorizzare il poveretto con discorsi astrusi, facendosi forte proprio dell'autorità che il copricapo gli conferisce. Infatti, come spiega a Rodolfo dopo aver messo in fuga l'ennesimo cliente:

domenica 10 aprile 2011

Sti vvite noste...

Cumme vanno sperdute
p' 'o munno
sti vvite noste...
Cumme ll'uocchie d' 'a ggente,
'e pparole sbagliate
stunate
e vacante,
currenno pe' ll'aria,
pazzianno
e redenno,
se vanno mmiscanno
e mbruglianno...
E allora sti vvite
sbandate
e sbattute
t 'e vvide sperdute
p' 'o munno:
un' 'a ccà,
n'ata 'a llà...

[1972]
Da 'O penziero e altre poesie di Eduardo (pag. 27), Einaudi


sabato 2 aprile 2011

In casa Cupiello. Eduardo critico del populismo

Angelo Puglisi è docente di Diritto Romano presso l'Università Federico II di Napoli. Come spiega nell'introduzione di questo breve ma interessantissimo saggio, quasi casualmente gli fu chiesto dal direttore di "Paese Sera" di scrivere un articolo in occasione della morte di Eduardo.  Nonostante i riconoscimenti ottenuti a livello nazionale e internazionale, Puglisi sosteneva che Eduardo fosse ancora collocato dalla maggior parte della critica tra gli autori del filone regionalistico e populista. Da quell'articolo, diversi anni dopo, è nata l'idea di questo libro.

L'identificazione tra Eduardo e la sua città ed il grande amore del popolo napoletano lo hanno reso quasi un'icona della napoletanità. «Il napoletano ha sempre cercato nel teatro di Eduardo quello che ha voluto e non altro: se stesso, in una sorta di narcisistica autoreferenzialità». Attraverso l'analisi di alcune delle sue opere maggiori (Natale in casa Cupiello, Napoli milionaria!, De Pretore Vincenzo) Puglisi evidenzia come, pur rappresentando molte caratteristiche della napoletanità, Eduardo in realtà ne opera una critica profonda.

«Nel Natale in casa Cupiello i populisti sono Luca ed eventualmente il suo lettore-spettatore, non lo è Concetta che considera il presepe un'abitudine futile e soprattutto dispendiosa, in contrasto con le cose serie e aspre della vita. Non lo è certo Eduardo, il suo robusto, rigoroso pessimismo da tanto lo tiene al riparo. Allorché si affaccia una qualche fiducia, o peggio "speranza", non nel Natale, dove queste non esistono, non ne Le voci di dentro in cui la disperata visione dei rapporti umani non trova lenimento alcuno, ma in Napoli milionaria!, esse non sono riposte nelle "sorti" comunque e infine "progressive" del popolo, ma nella storia-memoria individuale e collettiva come luogo di ricostruzione critica e spesso tormentosa di una consapevole identità».

 Estremamente interessante l'approfondimento nel secondo dei tre capitoli del libro, La critica radicale del populismo, nel quale viene analizzata la commedia De Pretore Vincenzo. Qui Eduardo mette in scena il popolo napoletano e la stessa città di Napoli, uscendo dalla consuetudine di rappresentare la famiglia come specchio della società, dei sentimenti e dei contrasti che la caratterizzano. In particolare Puglisi si sofferma sulla rappresentazione del rapporto con il sacro e della religiosità nella tradizione napoletana, partendo dagli studi in  materia dello storico Giuseppe Galasso.

«[...] senza uscita e senza riscatto è l'amarissima conclusione del dramma nel chiuso di una misera stanza di ospedale, accompagnata dal burocratico cinismo intorno al morente di operatori sanitari e poliziotti. Qui Ninuccia pronuncia l'ultima parola del testo. Poiché ella aveva fatto riferimento all'anello di Vincenzo, all'infermiere  che le chiede: "Tu chi sei?", mentre "lentamente, sulla musica, cala il sipario", Ninuccia risponde: "Nisciuno".
Troppo desolata, nichilista, troppo ultima la parola, per essere solo un riferimento della ragazza a se stessa e non avere per Eduardo, invece, una valenza più generale; essa dice del popolo napoletano quando si lascia rappresentare e/o si  rappresenta, recita se stesso, come un'ipostasi.
Per Eduardo solo con l'autoconsapevolezza dentro la storia può "passà 'a nuttata"».


Angelo Puglisi, In casa Cupiello. Eduardo critico del populismo, Donzelli Editore


domenica 20 marzo 2011

'E muorte so' tutte eguale

GENNARO: (entra dal fondo salutando con un gesto largo un po' verso sinistra, un po' in alto sui balconi. [...] Veste miseramente con indumenti di fortuna. Il berretto è italiano, il pantalone è americano, la giacca è di quelle a vento dei soldati tedeschi ed è mimetizzata. Il tutto è unto e lacero. [...]. Il suo aspetto è stanco e vivificato soltanto dalla gioia che ha negli occhi di rivedere finalmente la sua famiglia, e la sua casa. Porta con sé un involto di stracci, messo a tracolla come un piccolo zaino e una scatola di latta di forma cilindrica, arrangiata con un filo di ferro alla sommità, che gli serve come scodella per il pranzo. Nel varcare la porta dà un fugace sguardo intorno e ha un senso di sorpresa. La sua meraviglia poi giunge al colmo nel vedere la moglie in quell'abbigliamento così lussuoso. Quasi non la riconosce e, convinto d'essersi sbagliato di porta, fa un gesto di scusa alla donna, dicendo rispettosamente) Perdonate, signora... (Ed esce).
ADELAIDE: (raggiunge Gennaro e lo invita a tornare sui suoi passi) È ccà, don Genna'... Trasite... Chesta è casa vosta... 'A mugliera vosta, 'a vedite?

Gennaro riappare incerto, quasi non osando rientrare. Guarda ancora intorno intontito alla vista del nuovo volto della sua casa, poi i suoi occhi si concentrano su Amalia ed esprimono un che di ammirazione e di paura. Amalia è rimasta come impietrita: non osa parlare. Ha osservato lo stato miserevole del marito, ne ha subito intuito le sofferenze. [...]

[...]

GENNARO: Che sacrileggio, Ama'... Paise distrutte, creature sperze, fucilazione... E quanta muorte... 'E lloro e 'e nuoste... E quante n'aggio viste... (Atterrito dalla visione che gli ritorna alla memoria più viva con tutti i suoi particolari) 'E muorte so' tutte eguale... (Pausa. Con tono sempre più commosso, come per rivelarle la sua nuova natura) Ama'... e io so' turnato 'e n'ata manera, 'o ssa'? Tu te ricuorde quann'io turnaie 'a ll'ata guerra, ca ghievo truvanno chi m'accedeva? Nevrastenico, m'appiccecavo cu' tutte quante... (Ad un gesto affermativo di Amalia, incalza) Ma sta vota, no! Chesta, Ama', nun è guerra, è n'ata cosa... È na cosa ca nun putimmo capì nuie... Io tengo cinquantaduie anne, ma sulamente mo me sent'ommo overamente.(Ad Amedeo, battendogli una mano sulla gamba come per metterlo sull'avviso) 'A sta guerra ccà se torna buone... Ca nun se vo' fa male a nisciuno... (Poi ad Amalia come obbedendo ad una fatalità imponderabile con un tono di ammonimento) Nun facimmo male, Ama'... Nun facimmo male... (La somma di tutte le emozioni provate, quelle del ritorno, delle sue stesse parole rievocatrici, del trovarsi fra i suoi cari e più perché si sente meschino in tanta tragedia scontata, gli provoca una crisi fisica: scoppia in pianto).

Da "Napoli milionaria!", atto II, pagg. 66, 70
(Cantata dei giorni dispari, vol. I, a cura di Anna Barsotti, Einaudi)


sabato 19 marzo 2011

Farmacia di turno

Nel 1920 Eduardo, chiamato sotto le armi nel corpo dei Bersaglieri,  viene incaricato dai suoi superiori di organizzare delle recite in caserma per i suoi commilitoni. Ottiene inoltre il permesso la sera di raggiungere la compagnia di Vincenzo Scarpetta, dove recitava in quel periodo insieme ai fratelli. Scrive in quegli anni numerosi sketch ed atti unici, tra cui Farmacia di turno, atto unico nato con il titolo di Don Saverio 'o farmacista, che viene considerata la prima vera commedia scritta da Eduardo e che apre la Cantata dei giorni pari.

La scena si svolge in una farmacia di turno, il cui titolare è don Saverio, che troviamo in conversazione con Teodoro, un medico suo amico. Prendendo spunto da un articolo del giornale che sta leggendo Teodoro, in cui si racconta di un marito che uccide la moglie per il solo sospetto di essere stato tradito, Saverio racconta del suo matrimonio fallito. Dopo aver ereditato da suo padre la farmacia in cui aveva lavorato fin da bambino, pensando di trovare una sistemazione nel matrimonio, ben presto si rende conto di essere incappato in una donna interessata più ai vestiti e ai divertimenti che alla vita coniugale. Un giorno la moglie lo abbandona per un ricco signore che le fa fare la bella vita.

SAVERIO: [...] Dotto'... chillu iuorno manco si avessi pigliato na quaterna secca... 

Sullo stesso giornale il dottore legge la pubblicità di un prodotto a base di arsenico per sterminare i topi, di invenzione del farmacista. Teodoro vorrebbe acquistarlo ma l'amico, per farlo risparmiare, gli propone di prendere due cartine di arsenico con cui potrà preparare lui stesso il veleno. Mentre conversano entrano in farmacia alcuni clienti, tra cui  Carmela, la cameriera della sua ex moglie che deve acquistare delle medicine per la signora che è ammalata. Carmela si allontana mentre Saverio le prepara le medicine  e al suo ritorno trova in farmacia Enrico, un bellimbusto che la corteggia e che ironizza sul tradimento subìto da Saverio. La donna finalmente se ne va, mentre continua il via vai di clienti, tra cui una coppia di marito e moglie che, non potendo permettersi di pagare un medico affermato, si rivolgono alla farmacia di turno per indagare un presunto malessere della signora, visitata di malavoglia da Teodoro. Per ultimo arriva Gregorio, portinaio del palazzo di fronte, che lamenta un fortissimo mal di denti. Saverio lo porta nel retro della farmacia per estrarre il dente malato. 

Mentre Gregorio si riprende dal dolore, Teodoro fa per andarsene e quando prende le cartine che sono sul bancone pensando che siano quelle di arsenico, il farmacista si accorge che contengono aspirina.

SAVERIO: [...] E st'aspirina pe' cchi l'aggio fatto?
TEODORO: Pe' chella giovine che vuie avite ditto ch'era 'a cammarera d' 'a mugliera vosta... Nun se l'è venuto a piglià ancora...
SAVERIO:  No, nun se l'è venuto a piglià ancora... 'e cartine vostre forse nun l'aggio fatte ancora... me sarraggio distratto!

Non appena Teodoro esce dalla farmacia però, arriva il brigadiere accompagnato da due guardie che  invitano Saverio a seguirli in questura. L'uomo è sorpeso e chiede il motivo dell'arresto, forse sua moglie è morta?

BRIGADIERE: Che d'è, mo 'o ssaie ch'he fatte... L'hanno purtata 'o spitale, nun se sape niente ancora. Mo s' 'a spicce cu' 'o cummissario, tanto già ha confessato...

L'atto si chiude con Gregorio che esce dal retro della farmacia e, trovandosi chiuso dentro, chiama inutilmente don Saverio. 

Rispetto alla stesura originale, scritta probabilmente per una compagnia molto numerosa, nel corso degli anni diversi personaggi sono stati eliminati, altri hanno subìto delle modifiche. Secondo alcuni la commedia viene rappresentata dalla compagnia di Vincenzo Scarpetta già nel 1921, secondo altri invece debutta nella stagione 1930-31 al teatro Nuovo di Napoli con la piccola compagnia autonoma "Ribalta Gaia" che i tre fratelli avevano formato nel 1930 all'interno della compagnia di rivista Molinari, che aveva sede in quel teatro e nella quale entreranno a far parte stabilmente proprio nella stagione 1930-31. Verrà poi ripresa, sempre a Napoli, nel 1932 al Teatro Kursaal e nel 1933 al Sannazzaro.


Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. I, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni pari, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)


giovedì 10 marzo 2011

C'è pernacchio e pernacchio




Tratto dall'omonimo libro di Giuseppe Marotta, L'oro di Napoli è un film a episodi del 1954, con la regia di Vittorio De Sica e la sceneggiatura di Cesare Zavattini, Giuseppe Marotta e dello stesso De Sica.
Eduardo è protagonista dell'episodio «Il Professore», tratto dai racconti Il professore e Lo sberleffo, ed interpreta il personaggio di don Ersilio Miccio. A lui si rivolgono gli abitanti del vicolo per chiedere consigli sui piccoli problemi della vita quotidiana. Don Ersilio dispensa la sua saggezza e offre il rimedio sicuro per fronteggiare l'arroganza del duca Alfonso Maria di Sant'Agata dei Fornari che spadroneggia nel rione.
Un pernacchio eseguito a regola d'arte.


domenica 27 febbraio 2011

Sublime stanchezza, dispettosa ironia

«[...] Se Eduardo non ci fosse non ci sarebbe Gennareniello. Perché questo, davvero, è un prodigio della sua arte d'attore: di disegnare la silhouette d'un personaggio tutta sul togliere, tutta su levare. L'inquietudine, le pudiche incertezze, i magri scontenti, l'assillo sordo dell'inettitudine, questo e altro ancora, c'è nei silenzi di Eduardo, nelle esitazioni sofferenti, negli "a parte" sussurrati appena, in quelle occhiate in tralice, occhiate lunghe, a metà complici a metà seduttorie. Questa è la pienezza d'un attore giunto ai vertici del proprio magistero, questa è la sua grandezza. Poi, un farsi da parte, quasi, calcolatamente, un cedere il passo. Come già accadde con Franco Parenti, a metà Anni Sessanta, Eduardo lascia spazio al figlio Luca in Dolore sotto chiave. [...]
Poi (e siamo già sulla mezzanotte) il trionfo con Sik-Sik, l'artefice magico. Ho scritto altrove che questo mimodramma è, nella folta produzione di Eduardo scrittore, uno dei vertici. C'è la pittura d'un mondo, il mondo dei guitti del variété che si fa lingua, e lingua teatrale, d'una animalesca, straziata evidenza. Il parlar straparlando di Sik-Sik, l'illusionista da strapazzo, il suo rincorrere l'italiano degli altri reinventando, a supporto, un italiano cosi altamente improbabile da parere, in tutto e per tutto, vero, è già di per sé, una prodigiosa invenzione. Ma poi c'è Eduardo attore, cilindro sghembo, giacchettina lisa. C'è la sua patetica caparbietà a cavalcare quelle parolone irte, la sua sublime stanchezza (la vedi, annidata là sotto le palpebre) nell'inventare trucchi inutili, l'aria di dispettosa ironia con cui guarda gli orchestrali fuori tempo, le "spalle" fuori battuta, quel riuscire a fingere, insomma, con splendida misura, d'essere un uomo senza qualità. Fioccano gli applausi, la gente non si stacca dalla poltrona. Sono gli applausi di chi ha riconosciuto negli antieroi di Eduardo la propria faccia nascosta, "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo"».

(Guido Davico Bonino, La Stampa, 4 maggio 1980)

mercoledì 23 febbraio 2011

23 febbraio 1933. Uomo e galantuomo

Uomo e galantuomo è la prima commedia in tre atti scritta da Eduardo. Secondo alcuni documenti risalirebbe al 1922, secondo altri al 1926. Scritta per la compagnia di Vincenzo Scarpetta con il titolo Ho fatto il guaio?… Riparerò, unisce vari generi, a partire dalla pochade, con la rappresentazione  della situazione tipica del triangolo amoroso moglie-marito-amante. Accanto a questa tuttavia troviamo personaggi e intreccio che richiamano la farsa napoletana, con la scalcinata compagnia di attori il cui capocomico, nella versione originaria, era ancora rappresentato dalla figura di Felice Sciosciammocca. Soprattutto per alcuni personaggi, risulta evidente il richiamo alle figure tradizionali del teatro farsesco, come ad esempio nel caso di Alberto, il "mamo" ovvero il giovane sciocco, e Salvatore, il guappo. Questa scelta deriva, oltre che dalle influenze della drammaturgia dell'epoca, a cominciare da quella paterna, anche dalle esigenze della compagnia per la quale fu scritta, molto legata alla rappresentazione dei ruoli fissi tradizionali.

Alcuni critici hanno evidenziato anche un influsso di Pirandello, per il tema della pazzia simulata per coprire un tradimento. Si tratta comunque più che altro di una parodia, poiché nella commedia eduardiana la situazione ha dei risvolti comici. Tra l'altro la parodia era spesso presente nella tradizione comica napoletana e in questo stesso lavoro, in maniera più aperta, Eduardo rappresenta un'opera di Libero Bovio, mettendo in scena una delle situazioni più comiche di tutta la sua produzione drammaturgica, ovvero la celeberrima prova di Mala Nova, appunto di Bovio.

La versione originaria della commedia fu successivamente modificata per essere adattata alle esigenze della compagnia Il Teatro Umoristico I De Filippo. Furono eliminati alcuni personaggi di contorno; Felice Sciosciammocca, tradizionalmente interpretato da Vincenzo Scarpetta  che lo aveva "ereditato" dal padre, viene sostituito da Gennaro De Sia, viene alleggerito l'intreccio e sono attenuate le caratteristiche della pochade e della farsa.

La storia è quella di una compagnia piuttosto male in arnese che si trova a fare delle rappresentazioni in una località di villeggiatura. Le loro vicende si intrecciano con quelle di Alberto, che ha procurato la scrittura ai guitti, e la sua amante Bice. La donna confessa ad Alberto di essere incinta ma di non volerlo sposare. Lui però decide di presentarsi dalla madre di lei per chiederne la mano. Sarà grande la sua sorpresa quando scoprirà che la sua amata è già sposata con l'attempato conte Tolentano. Per rimediare si finge pazzo ma il suo stratagemma rischia di essere scoperto per l'intervento del capocomico Gennaro. Alberto viene infine arrestato. Bice, per discolparlo, confessa al delegato di polizia di aver tradito suo marito perché tradita a sua volta da lui. Sarà quindi ora il conte a fingersi pazzo e lo stesso Gennaro, convocato dal delegato per non aver pagato il conto dell'albergo, concluderà la commedia con la cantilena della finta pazzia:

sabato 19 febbraio 2011

Occhiali neri

Occhiali neri è un atto unico scritto da Eduardo nel 1945 che, cronologicamente, si colloca tra Napoli milionaria! Questi fantasmi!

La scena è ambientata in una villa di Torre del Greco, di proprietà dei fratelli Spelta, Mario e Maria, alla fine dell'estate. Da un colloquio di Maria con una vicina di casa, veniamo a sapere che i due fratelli si trovano a Torre del Greco, nella casa in cui erano soliti trascorrere le vacanze fin da bambini, già da un anno e mezzo. Mario, reduce della guerra d'Africa, in cui ha perso la vista, ha preferito infatti lasciare Napoli, dove non riusciva ad adattarsi alla sua nuova condizione. Nella casa di Torre del Greco invece si sente felice, rasserenato dai ricordi della loro infanzia.
In quel momento stanno attendendo l'arrivo del medico che ha sottoposto Mario a delle cure per tentare di fargli recuperare la vista; dovrà appurare se la terapia ha avuto esito positivo. Quando il medico arriva con il suo assitente, Maria va a chiamare il fratello che sta paseggiando insieme ad Assunta, la sua fidanzata. La donna ha portato con sé gli occhiali neri che Mario avrebbe dovuto indossare per un periodo, nel caso in cui avesse recuperato l'uso degli occhi. Maria invece, per scaramnzia, aveva evitato di comperarli. 

MARIA: Dottò, veramente,,, non li ho voluti comperare per buon augurio. Vuie me dicìsteve che se Mario, dopo l'esperimento, avrebbe riacquistato la vista, per un annno o due avrebbe dovuto portare gli occhiali neri... Si sèrveno... sperammo 'a Madonna!... Allora l'accatto.

[...]

ASSUNTA: Buongiorno. Dottò, ho portato gli occhiali neri. (Li prende da una borsetta e li mostra) Me ne sono ricordata io.

Prima di procedere a togliere le bende che gli coprono gli occhi però,  Mario chiede al dottore di poter rimanere da solo con Assunta. L'uomo ha colto le aspettative della fidanzata sull'esito dell'esperimento e teme che, se non dovesse riacquistare la vista, lei possa rifiutarlo o, peggio, sposarlo solo per pietà. La conversazione conferma i suoi timori.

MARIO: [...] Se io resto cieco, tu me spuse cu 'o stesso piacere? (Pausa)Rispunne ampresso Assù... Io nun ce veco, nun pozzo vedé l'espressione d' 'a faccia tua. Me spuse cu 'o stesso piacere?
ASSUNTA: (con falso entusiasmo) Sì.
MARIO: (a cui non è sfuggita l'incertezza di Assunta) Chiamma 'o duttore.

Quando il dottore toglie finalmente la benda, Mario afferma di riuscire a vedere e che quindi l'esperimento è riuscito. A quel punto però gela l'entusiasmo di Assunta, comunicandole che non è sua intenzione legarsi a lei. Rimasto solo con Maria, che chiede i motivi di questa decisione, l'uomo spiega di aver capito che Assunta, se fosse rimasto cieco, lo avrebbe sposato solo per pietà mentre lui non desiderava elemosina da nessuno. All'obiezione di Maria che comunque l'esperimento era riuscito, il fratello confessa la verità: i suoi occhi non vedono e non vedranno più;  è stato lui quindi a "fare la beneficienza" alla fidanzata.

MARIO: Nun te piglià collera. Doppo duie anne, me so' abituato. 'A vita mia me l'aggio accunciata comme me piace a me. 'A notte ce veco... quanno dormo. Dint' 'o suonno veco 'o munno comme vogl'io, 'a gente comme piace a me. E me fa pena 'a gente ca ce vede pecché a notte se cócca stanca' e nun se pò sunnà niente. E allora, vamm' 'o llieve 'a capa... siccomme 'e notte ce veco, 'e iuorno me pare comme si ll'ate fosseno tutte cecate. E vulesse na cosa sola... Ca vedesseno 'e iuorno tale e quale comme io veco 'e notte.

 L'atto si chiude sulla terrazza, dove fuori scena si sentono le voci di due vicini, già comparse in apertura, che parlano della ricostruzione della casa di uno dei due, andata distrutta durante la guerra. Mario aiuta la sorella a dipanare una matassa di lana, quasi a rappresentare il suo voler restare ai margini della vita che continua all'esterno e più in generale nel Paese dell'immediato dopoguerra.

Secondo quanto riporta Anna Barsotti, questo atto unico non fu mai rappresentato. Paola Quarenghi invece cita una messa in scena, che risalirebbe al 17 dicembre 1945 al San Carlo di Napoli, in una "Mattinatissima" destinata ad un pubblico di giornalisti, probabilmente organizzata per beneficienza. Tra i protagonisti, oltre ad Eduardo e Titina nel ruolo dei due fratelli, anche Tina Pica e Pietro Carloni.
Nel 1959 fu registrata l'edizione radiofonica con Achille Millo e Regina Bianchi nel ruolo dei protagonisti, Pupella Maggio ad interpretare la vicina di casa mentre Eduardo si riservò la parte di Rafele, l'uomo di fatica di casa Spelta.


Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. II, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni dispari, Vol. I, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)

mercoledì 2 febbraio 2011

O capitano, mio capitano!

Nel 1981 Ferruccio Marotti, titolare della cattedra di Storia del teatro e dello spettacolo all'Università di Roma, invitò Eduardo a tenere un corso di Drammaturgia della durata di tre anni. Alla prova di ammissione si presentarono trecento candidati che, dopo estenuanti sedute di lettura pubblica dei rispettivi elaborati, furono tutti ammessi a seguire il corso, con un'unica differenziazione tra allievi scrittori ed uditori. Tra i primi c'era Maria Letizia Compatangelo, oggi giornalista e autrice di testi teatrali. A distanza di vent'anni  ha voluto ripercorrere in questo libro la storia di quella esperienza unica attraverso i suoi ricordi, le riflessioni di allora e le riflessioni che dopo anni sono maturate.

Di grande interesse è il capitolo in cui l'autrice analizza il metodo di insegnamento di Eduardo, definito come «un metodo nuovo da una tradizione antica», in cui confluiscono "l'apprendistato della bottega teatrale", attraverso il quale si apprende la tecnica, le basi del mestiere di drammaturgo, ed "il dialogo maieutico" che, mutuando il termine da Socrate,  deve portare gli allievi ad avere «il coraggio di scrivere».

Un altro capitolo è poi dedicato al racconto della messa in scena, fortemente voluta da Eduardo, di una delle commedie realizzate durante il corso da uno degli studenti, Claudio Brachino, dal titolo Mettiti al passo! Il testo venne presentato a sorpresa nel cartellone della stagione 1982-83 del Teatro Valle di Roma. Il maestro non voleva che il lavoro svolto all'interno della Scuola rimanesse relegato in un ambito ristretto, attraverso una rappresentazione realizzata dagli stessi allievi, come una sorta di saggio di fine corso. Il suo obiettivo era invece quello di portare la nuova drammaturgia emergente nei circuiti teatrali nazionali, con il coinvolgimento di una vera compagnia di professionisti (gli interpreti furono Paolo Graziosi e Lina Sastri), diretta da lui stesso. Naturalmente questa notizia creò delle aspettative molto alte che andarono purtroppo deluse e la commedia fu demolita dalla critica. Scrive a questo proposito la Compatangelo:

sabato 8 gennaio 2011

8 gennaio 1965. L'arte della commedia

L'arte della commedia è un testo che parla di teatro. Fu scritta nel 1964 ma già elaborata, almeno nella trama, da più di dieci anni. Si compone di due atti e un prologo, quest'ultimo rappresentato e pubblicato solo a partire dall'edizione televisiva del 1976, ma che  Eduardo aveva composto fin dall'inizio e mai messo in scena, per il timore che potesse appesantire la commedia. Questo invece rappresenta una parte importantissima del testo, nella quale Eduardo, esponendo le idee del protagonista sul teatro, manifesta anche le proprie.

Oreste Campese è il capocomico di una piccola compagnia teatrale composta dai membri della sua famiglia. Dopo aver subìto l'incendio del capannone di sua proprietà in cui avevano luogo le recite, decide di andare a chiedere aiuto al prefetto del paesino di montagna in cui si trovano e che ha appena assunto l'incarico. Inizialmente il prefetto sembra ben disposto nei confronti dell'attore ed anzi lo incoraggia a esporre le sue teorie sul teatro. Nello svolgersi della conversazione però emergono le loro diverse opinioni, che contrappongono la visione di chi il teatro lo vive dall'interno a quella di chi invece incarna le istituzioni che in qualche modo lo disciplinano attraverso gli apparati burocratici. Il prefetto vorrebbe liquidare Campese rilasciandogli un foglio di via per affrontare il viaggio che lo porterà a riunirsi ad un'altra compagnia teatrale, ma l'attore precisa che l'aiuto che è venuto a chiedere è di natura diversa. Vorrebbe invitare il prefetto ad assistere ad una loro rappresentazione, dall'emblematico titolo "Occhio al buco della serratura", per dare lustro allo spettacolo ed invogliare il pubblico a parteciparvi. Questa richiesta fa andare su tutte le furie il funzionario che lo caccia via; il suo segretario, convinto di consegnargli il foglio di via, in realtà gli mette in mano l'elenco delle persone che il  nuovo prefetto dovrà incontrare quella mattina. Campese, resosi conto dell'errore, decide di lanciargli una sfida insinuando il dubbio che tra  coloro che andranno ad incontrarlo potrebbero nascondersi gli attori della sua compagnia.

In effetti nel secondo atto si recheranno in udienza dal prefetto le persone indicate nella lista per esporre i loro casi e le loro richieste. Durante tutti gli incontri il prefetto rimarrà costantemente nel dubbio se si tratti effettivamente di un medico condotto, di una maestra, di un parroco o se invece non siano gli attori mandati da Campese. Sul finale, quando un sedicente farmacista si avvelena per protesta alla presenza del prefetto e di tutti i personaggi che sono sfilati nel suo ufficio, arriva anche Campese, venuto a restituire la famigerata lista avuta per sbaglio. Incalzato dal prefetto e nonostante la minaccia di essere arrestato, il capocomico non svelerà né a lui né al pubblico se quelli siano o meno i suoi attori.