domenica 22 gennaio 2012

Carlo Molfese. "Eduardo mi chiamava Campese"

Come ho già avuto modo di scrivere in questo blog, la mia passione per Eduardo ed il suo teatro è iniziata con "L'arte della commedia". La figura di Oreste Campese mi è entrata nel cuore, così come la sua ostinata difesa del teatro, rappresentazione della vita e con una sua precisa funzione all'interno della società.

Campese è un capocomico d'altri tempi, appartenente ad una «generazione di comici i quali da secoli riescono a dominare la fame ingoiando saliva», che con la sua compagnia, composta dai membri della famiglia, porta gli spettacoli in piccoli paesi di provincia, montando e smontando di volta in volta un tendone, in cui la gente semplice può recarsi perché il costo del biglietto è accessibile e dove non si vergogna di entrare, contrariamente a quanto accade nei "veri" teatri. Campese è nato dietro le quinte, «sul trono dell'Amleto» mentre il padre recitava in palcoscenico le ultime scene di un dramma, e sulle tavole del palcoscenico ha mosso i primi passi.

Addentrandomi nelle mie ricerche e letture "eduardiane" ho incontrato diverse volte un nome che, per assonanza, evoca quello del protagonista de "L'arte della commedia", Carlo Molfese. Ancora una volta la comunicazione virtuale mi è stata d'aiuto e, senza inizialmente sperare in un esito positivo, sono invece riuscita a stabilire un contatto con lui. Ho avuto anche l'onore di ricevere il suo apprezzamento per questo mio modesto angolo dedicato ad Eduardo e sperduto nella vastità della rete.

La storia di Carlo Molfese è davvero affascinante. Si tratta infatti di un personaggio che ha avuto un ruolo notevole nella scena teatrale italiana e che ha molte somiglianze con Oreste Campese. Carlo Molfese è nato nel 1934 a Brienza, in provincia di Potenza. I suoi genitori erano attori e si trovavano da quelle parti con la compagnia di Carlo Titta. Ancora in fasce partecipò come comparsa in un dramma popolare messo in scena dalla compagnia. Divenuto più grande, per seguire la tradizione familiare (il nonno era un noto avvocato), intraprese gli studi di giurisprudenza, che però abbandonò ben presto per seguire la sua passione per il teatro. Iniziò a frequentare a Napoli la Galleria Umberto I, punto di ritrovo di giovani artisti.

mercoledì 18 gennaio 2012

Nello Mascia. Lo schiaffo di Eduardo

Riassumere in poche righe la biografia artistica di Nello Mascia non è impresa facile. Classe 1946, dopo aver frequentato una scuola di recitazione a Napoli, debutta ufficialmente nel 1967 ne "La tabernaria" di Giovan Battista Della Porta. Poco tempo dopo fu chiamato da Eduardo e con lui lavorò una stagione, negli allestimenti de "Il sindaco del Rione Sanità" e "Gli esami non finiscono mai". Dopo questa esperienza, nel 1975 si sentì pronto per fondare una propria compagnia insieme a Tato Russo, la "Cooperativa Teatrale Italiana del Mezzogiorno Gli Ipocriti" con la quale svolge la sua attività teatrale per oltre vent'anni. Nel 1983 ha interpretato la parte di Trinculo ne "La tempesta" di Shakespeare diretto da Giorgio Strehler, nel '93 è stato Don Marzio ne "La bottega del caffè" di Carlo Goldoni.
Tra i suoi progetti intrapresi c'è la rivalutazione, valorizzazione e divulgazione dell'opera di Raffaele Viviani, arrivando a convincere l'editore Guida a pubblicare l'opera omnia del drammaturgo.
Attualmente sta portando in scena "Natale in casa Cupiello" di cui è interprete e regista.
Ancora molto ci sarebbe da scrivere su di lui e per questo rimando alla sua pagina autobiografica, pubblicata nel sito "La storia di Napoli".

Qualche tempo fa mi sono casualmente imbattuta in una sua testimonianza, risalente al periodo in cui recitava nella compagnia di Eduardo. Si tratta di quella che lui ha definito una "lezione di teatro". Gli ho chiesto di poterla condividere con i lettori di questo blog.

«“Sindaco del rione Sanità”.
Ho poco più di vent’anni. Sono stato appena scritturato dalla Compagnia di Eduardo. E sono timido e tremante.
Nel “Sindaco del rione Sanità” interpreto “’O Nait”. Un giovane malavitoso.
‘O Nait ha sparato ‘O Palummiello, un suo pari grado, per piccoli screzi.
Ma ha sparato nel territorio del Sindaco, senza averne chiesto l’autorizzazione. Ha il dovere di scusarsi e giustificare l’insubordinazione.
Il Sindaco, dopo lunga attesa, lo riceve.
‘O Nait racconta, con il rispetto dovuto, le ragioni che lo hanno spinto a aprire il fuoco a insaputa del Sindaco. Lo supplica di perdonare la sciocchezza e gli garantisce che per il futuro la cosa non si ripetera più.
Il Sindaco è compiaciuto delle parole sincere di ‘O Nait.
Gli fa cenno di avvicinarsi. ‘O Nait si avvicina.
Il Sindaco con estrema lentezza si toglie un anello dal dito della mano destra. Poi,  improvvisamente, stampa sulla guancia del Nait un sonorissimo schiaffone,  
‘O Nait è sorpreso.

domenica 15 gennaio 2012

Il monumento

«Il Monumento è una strana commedia nell'arco, piuttosto coerente, dell'arte di Eduardo De Filippo. [...] Si tratta [...] di una commedia nera, di un misantropico attacco di malumore etico e civile. [...] È un apologo grottesco e paradossale, che fa spicco nella produzione di Eduardo, progressista amaro ma a senso unico. Per questo, dicevo, la commedia è strana, come un sussulto di sfiducia, di irritazione acritica, per un mondo che non ha luce di valori, e che lo spinge a innalzare un monumento alla sordida coerenza del maresciallo». Così commentava il critico Giorgio Prosperi sul quotidiano "Il Tempo" la commedia in tre atti Il monumento, all'indomani della sua messa in scena a Roma.

Scritta da Eduardo nel 1967, ma probabilmente l'idea era stata concepita nell'immediato dopoguerra, fu rappresentata per la prima volta il 25 novembre 1970 al Teatro la Pergola di Firenze, dopo un'anteprima dedicata agli studenti andata in scena il giorno precedente. L'elaborata scenografia è di Bruno Garofalo.

La storia è quella di Ascanio Penna, un ex maresciallo ausiliario del Regio esercito che vive da oltre vent'anni all'interno del basamento di un vecchio monumento danneggiato dalla guerra. Insieme a lui vivono la sua compagna Sabina e Nazareno, detto Paganini, un pover'uomo che per vivere si arrangia suonando il violino in strada. Ascanio conduce una vita da recluso ed esce dal monumento solo di notte. Questa strana abitazione la sera si popola di una folla di personaggi singolari, diventa luogo di ritrovo in cui passare la serata in compagnia, per mangiare le "pagnottelle" preparate da Sabina accompagnate da un bicchiere di vino e per ascoltare i racconti del maresciallo, che risalgono al tempo in cui lui ancora svolgeva il suo incarico in caserma. Questi racconti sono pieni di rimpianto per gli anni in cui si era dedicato con abnegazione al suo servizio, in cui era punto di riferimento per i giovani soldati, che lo chiamavano addirittura "mamma". Con l'arrivo dei tedeschi però tutto questo finì e lui si ritrovò dimenticato ed ai margini della società. L'unica persona che gli è rimasta accanto in tutti quegli anni è proprio Sabina, conosciuta giovanissima quando lavorava nello spaccio della caserma. Per tirare avanti la donna, all'insaputa di Ascanio, si prostituisce, mentre gli fa credere di riuscire a vivere grazie all'attività di "locale notturno" che si svolge all'interno del monumento.

domenica 1 gennaio 2012

Eduardo e Shakespeare. Parole di voce e non d'inchiostro

Agostino Lombardo è l'autore di questo piccolo volume, edito da Bulzoni nel 2004 e dedicato alla traduzione in napoletano della Tempesta di William Shakespeare che Eduardo realizzò nel 1983. 
Linguista, critico letterario, Lombardo fu uno dei più importanti anglisti italiani, oltre ad essere tra i massimi esperti shakespeariani, nonché traduttore di numerose opere del drammaturgo inglese.


La prima parte del libro contiene due saggi firmati dallo stesso Lombardo, Eduardo De Filippo da Napoli al mondo, scritto nel 1985 in occasione della messa in scena de La grande magia da parte di Giorgio Strehler, e Eduardo e Shakespeare, pubblicato nel 1990 nel volume che raccoglie gli atti di un convegno sulla drammaturgia di Eduardo. 


Nel primo dei due scritti si tendono ad evidenziare le caratteristiche che rendono il teatro di Eduardo universale, non legato cioè alla sola realtà napoletana. Eduardo descrive infatti la sua città senza cadere mai nel folclore e negli stereotipi ma la rappresenta come «metafora del mondo»Napoli è in questo senso una città teatrale, abitata da uomini e donne che vivono situazioni in cui è possibile riconoscersi a qualunque latitudine. Inoltre le sue opere sopravvivono all'autore ed alla sua personale interpretazione in quanto concepite innanzitutto come testi da mettere in scena. Per questo vengono definite «parole di voce e non d'inchiostro»,