domenica 31 ottobre 2010

L'ultimo dei suoi silenzi


«Eduardo è entrato nell'ultimo dei suoi silenzi: ha prolungato e reso definitivo uno dei lunghi silenzi parlanti per mezzo dei quali, sulla scena e fuori della scena, parlava senza parole. Dobbiamo per forza pensare così, se vogliamo vincere la irragionevole ma incoercibile convinzione che Eduardo c'è ancora, non può non esserci, e che di lui possiamo ancora parlare al tempo presente: dobbiamo pensare che sia entrato nel silenzio infinito che si carica di infiniti significati e infinite parole. [...] E anche adesso, nel grande silenzio dilatato che è sceso su di noi, ci ostiniamo a pensare che Eduardo ci parli ancora. Che ci sia un dopo-Eduardo, come tante volte si è immaginato. Che prima o poi Eduardo faccia il miracolo di farci arrivare una di quelle commedie alle quali andava pensando da tempo e delle quali aveva depositato i titoli allusivi come Angela Pace, Teresa Triunfo, Pare brutto, È nata la fine. Sappiamo per certo che, nel silenzio di Eduardo attore, sentiremo ancora parlare la sua voce. Quella di scena, che verrà a ricordarci in cento lingue quale fosse la "grande magia" di colui che sapeva distillare o abolire le parole. Quella fuori di scena, che continuerà a pungolarci e a tenerci compagnia con i pensieri più semplici. Come quello che Eduardo amava ripetere: "Ognuno si fa i fatti suoi e basta. Anche da questo vengono i mali che affliggono il mondo". Con le riflessioni più lineari, come quella che ricordava che "il teatro è fantasia". Con la poesia che egli più volentieri recitava quando il pubblico lo assillava di richieste. Al primo verso diceva: "'I vulisse truvà pace". E al secondo, dopo una breve pausa: "Una pace senza morte"».

(Renzo Tian, Il Messaggero, 2 novembre 1984)



EDUARDO
24 maggio 1900 - 31 ottobre 1984


sabato 30 ottobre 2010

30 ottobre 1948. La grande magia

La grande magia  fu scritta da Eduardo probabilmente nel 1947, subito dopo i trionfi ottenuti da Filumena Marturano e prima di portare in scena Le bugie con le gambe lunghe. La prima lettura fu fatta per gli allievi dell'Accademia di Arte Drammatica. Il debutto avvenne al Teatro Verdi di Trieste il 30 ottobre 1948. Per questa commedia Eduardo aveva scritto una parte per la sorella Titina, quella della moglie del prestigiatore Otto Marvuglia. A causa però delle sue precarie condizioni di salute, fu costretto a sostituirla fin dalla prima rappresentazione con Vittoria Crispo, che recitava anche un'altra parte, quella della madre del protagonista, Calogero Di Spelta.

Calogero e sua moglie Marta sono una coppia borghese in vacanza in un albergo affacciato sul mare. Una sera sulla terrazza si svolge uno spettacolo di intrattenimento per gli ospiti della pensione che vede protagonista Otto Marvuglia, professore di scienze occulte, celebre illusionista: suggestione e trasmissione del pensiero. Calogero è un marito gelosissimo, tanto da essere deriso anche dagli altri ospiti dell'albergo per questa ragione. Durante un numero dello spettacolo il prestigiatore fa scomparire Marta dentro un sarcofago.  In realtà la donna fugge su un motoscafo che la attendeva e su cui si trovava il suo amante Mariano. Questi in precedenza aveva pagato Otto per ottenere la sua complicità e favorire la fuga della donna. Quando Calogero chiede al prestigiatore di far riapparire Marta, Otto gli consegna una scatola, nella quale sostiene vi sia contenuta sua moglie. Soltanto se lui la aprirà credendo fermamente alla fedeltà di Marta, potrà riabbracciarla. Calogero prende la scatola, senza tuttavia aprirla. Dopo quattro anni Marta ritorna a casa. Otto cerca di convincere Calogero che l'esperimento è finito e la fa "riapparire" ma lei racconta la verità a suo marito. L'uomo preferisce però rimanere nella sua illusione e la caccia via, tenendo con sé la scatola ancora chiusa.

CALOGERO: […] Chiusa! Chiusa! Non guardarci dentro. Tienila con te ben chiusa, e cammina. Il terzo occhio ti accompagna… e forse troverai il tesoro ai piedi dell'arcobaleno, se la porterai con te ben chiusa, sempre! (Rimane estatico nel gesto e fermo nella sua illusione che ormai è la sua certezza).

In questo testo Eduardo non ricorre al dialetto e per il ruolo di Otto Marvuglia  aveva pensato ad un attore in lingua come Ruggero Ruggeri o addirittura, sembra, ad Orson Welles. Queste collaborazioni tuttavia non andarono a buon fine e per il debutto ad impersonare l'illusionista fu Amedeo Girard, un attore che aveva lavorato con i fratelli De Filippo negli anni Trenta, mentre Eduardo interpretò il ruolo di Calogero. Tornano in questa commedia temi già affrontati agli inizi della sua carriera: l'intrigo amoroso che coinvolge una compagnia teatrale piuttosto male in arnese di Uomo e Galantuomo, il personaggio di Otto che ricorda molto il povero illusionista Sik-Sik. Ma soprattutto viene affrontato il tema del rapporto fra la realtà e l'illusione, come lo stesso Eduardo dichiarò alla rivista "Il Dramma", che pubblicò la commedia:«Questo ho voluto dire. Che la vita è un gioco, e questo gioco ha bisogno di essere sorretto dall'illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalla fede. Ed ho voluto dire che ogni destino è legato ad altri destini in un gioco eterno: un gioco del quale non ci è dato di scorgere se non particolari irrilevanti». Si trovano in questo lavoro anche elementi di metateatro poiché Eduardo affronta il rapporto tra il mondo del teatro e quello degli spettatori, rappresentando i confini fra queste due realtà. Come in Questi fantasmi!, adotta una soluzione scenografica che coinvolge direttamente il pubblico, trasformato in questa occasione nel mare su cui si affaccia la terrazza dell'albergo e che viene "solcato" dal motoscafo su cui fuggono i due amanti.

Con questo lavoro Eduardo volle sperimentare, allontanandosi dallo stile che fondeva la tradizione del teatro napoletano con il realismo e la cronaca e abbandonando il dialetto, proprio quando, con Napoli milionaria!Questi fantasmi! e Filumena Marturano i suoi testi in dialetto venivano riconosciuti come drammaturgia nazionale. Sia il pubblico che la critica accolsero piuttosto freddamente questo nuovo lavoro di Eduardo. Corrado Alvaro fu tra coloro che apprezzarono il carattere sperimentale della commedia, pur non apprezzando il fatto di aver abbandonato il dialetto. Altri lo accusarono di aver attinto troppo a Pirandello, di non essere riuscito ad equilibrare gli spunti comici con quelli drammatici. La commedia fu ben presto tolta di scena. Ne venne realizzata la versione televisiva nel 1964. Nel maggio 1985, pochi mesi dopo la morte di Eduardo, il testo fu messo in scena al Piccolo Teatro di Milano con la regia di Giorgio Strehler e con Franco Parenti nei panni di Calogero. Questa edizione ebbe grande fortuna e fu portata anche all'estero, in Canada, a Mosca ed a Parigi dove riscosse un grandissimo successo.

Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. II, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)



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martedì 12 ottobre 2010

12 ottobre 1967. Il contratto

In occasione del XXVI Festival Internazionale di Teatro della Biennale di Venezia,  Eduardo presentò una nuova commedia, Il Contratto, che debuttò, come unica novità italiana, al Teatro La Fenice il 12 ottobre 1967 a conclusione del festival. Fu scritta, secondo quanto ricordato da sua moglie Isabella in uno dei suoi diari, durante la loro vacanza nell'isola di Isca. Le scene ed i costumi furono affidati a Renato Guttuso mentre le musiche erano di Nino Rota.

Si tratta di una commedia di ambientazione rurale il cui protagonista è lo scaltro Geronta Sebezio. Eduardo raccontò qualche anno dopo l'origine di questo nome così particolare: «Nell'800 esisteva a Napoli un erudito filosofo che pubblicava un periodico chiamato il "Geronta Sebezio", di indirizzo progressista e perciò molto seguito da gruppi di giovani e di intellettuali. […] Ora, quando io scrissi  Il Contratto, volli dare al protagonista il nome di Geronta Sebezio che vuol dire "il vecchio (e in senso traslato il saggio) del Sebeto", volendo significare con ironia e amarezza che oggigiorno - quando l'ideale massimo dell'uomo è arraffare tutto il possibile senza curarsi del prossimo suo, quando l'attività principale dello Stato è fregare e opprimere il cittadino e la chiesa ha tradito l'insegnamento di Cristo lasciandosi coinvolgere in interessi materiali e spesso antitetici con il cristianesimo - saggio è chi si comporta come il protagonista di Il Contratto».

Geronta è un piccolo proprietario terriero, venerato dai suoi compaesani che lo considerano una sorta di santone. Ha infatti la fama di poter resuscitare i morti, fama guadagnata dopo aver riportato in vita Isidoro, considerato quasi un fratello e che ora vive insieme a lui. In realtà l'uomo, vittima di una morte apparente, viene trattato da Geronta come un servo. La casa è piena di ritratti sorridenti che gli sono stati donati dai suoi "beneficati" e che testimoniano il loro ritorno alla vita.  Geronta ha elaborato un sistema truffaldino attraverso un contratto da far firmare a coloro che desiderano essere riportati in vita e con il quale questi si impegnano ad amare i propri parenti; questo allo scopo di creare la "catena d'amore" che servirà a resuscitare il morto.
Un simile contratto è stato firmato anche da Geatano Trocina; al momento della sua morte, secondo le istruzioni lasciate dal defunto, viene chiamato immediatamente Geronta. Questi si trova di fronte ai familiari, uno contro l'altro per riuscire ad accaparrarsi l'eredità. Geronta interviene mettendoli d'accordo, intascando una parte di denaro e riuscendo a far ottenere al parente più povero della famiglia una forte somma. Sarà proprio quest'ultimo che, di fronte alla inaspettata fortuna, considererà Geronta il suo salvatore, colui che lo ha riportato in vita. Veniamo così a sapere che i ritratti esposti in casa del "santone" appartengono non ai defunti, bensì ai parenti che ricevono inaspettate fortune grazie all'intervento di Geronta. La commedia si conclude con la firma di un nuovo contratto ai danni dell'ennesimo, ignaro, futuro truffato durante un banchetto organizzato in casa di Geronta.


Rispetto alla stesura originale, durante le prove e poi anche nel corso delle repliche, Eduardo apportò diverse modifiche e tagli. Nel 1970, in occasione di una ristampa dell'edizione Einaudi, uscita nella versione originale prima della messa in scena a Venezia, Eduardo chiese di ristamparla nella edizione riveduta e corretta, offrendosi addirittura di acquistare lui stesso le ultime copie della vecchia edizione per poter accelerare la stampa di quella nuova.
Grande apprezzamento riscossero le scenografie di Guttuso, considerate quasi un elemento drammaturgico. In particolare il critico Paolo Ricci notò come queste avessero colto perfettamente «il carattere espressionista e il significato metaforico della "sgradevole" favola contadina di Eduardo». Grandi lodi vi furono anche per le prove d'attore di Eduardo e Pupella Maggio; oltre a loro fanno parte della compagnia Beniamino Maggio e giovani attori provenienti dalla Scarpettiana, come Isa Danieli e Vittorio Mezzogiorno. Qualche riserva fu invece espressa sulla commedia in sé, considerata fredda e artificiosa e con un intreccio in alcuni passaggi piuttosto macchinoso, riferendosi soprattutto al meccanismo della truffa architettato dal protagonista. Dopo il debutto a Venezia la commedia fu rappresentata a Torino, Napoli e Roma. Fu ripresa anche nelle stagioni 1968-69 e 1969-70. Fu registrata la versione televisiva, con le scene di Raimonda Gaetani, tra il 1978 ed il 1979 (le riprese furono interrotte a causa di un incidente subito da Eduardo) e fu messa in onda nel 1981.


Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. III, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei Giorni Dispari, vol. III, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)


venerdì 8 ottobre 2010

8 ottobre 1932. Chi è cchiù felice 'e me!


La compagnia Il Teatro Umoristico I De Filippo inaugurò la stagione teatrale 1932-33 al teatro Sannazzaro di Napoli portando in scena l'8 ottobre la commedia in due atti Chi è cchiù felice 'e me!. La rappresentazione riscosse un grande successo, tanto che rimase in cartellone al Sannazzaro per sette mesi. Sulla scia di questo consenso i fratelli De Filippo affrontarono le scene dei teatri italiani, prima recitando a Bari ed in altre città del sud, successivamente anche al centro e al nord. La commedia infatti fu rappresentata con grande successo a San Remo, Torino, Bologna, Roma, Milano. Iniziarono ad essere considerati non più attori esclusivamente dialettali. A fronte del grande apprezzamento da parte del pubblico, i critici, pur riconoscendo le doti e le ottime capacità di Eduardo, Titina e Peppino, non ne apprezzavano il repertorio, ritenendo che fossero ormai pronti per affrontare una drammaturgia più impegnata. La commedia, scritta da Eduardo con lo pseudonimo di Molise nel 1929, era stata etichettata come appartenente ad un repertorio puramente dialettale e poco innovativo. Eduardo però in seguito ne rivendicò la modernità, soprattutto nel finale:«Chi è più felice di me […] fu un trionfo, anche perché rappresentava una rottura con il vecchio teatro, dove non s'era mai visto un finale nel quale l'attor giovane prendeva l'attrice, la sollevava, la rovesciava su un tavolo e ci si buttava addosso».
La commedia è divisa in due atti e nove scene. Eduardo utilizza didascalie molto essenziali e sintetiche che lasciavano spazio alle improvvisazioni degli attori durante la rappresentazione.

La vicenda è ambientata a Caivano, in campagna ed il dialetto non è il napoletano ma piuttosto quello parlato dai contadini campani. Il protagonista, Vincenzo, ha impostato tutta la sua esistenza sul convincimento che nulla di male può accadergli poiché nella sua vita ha previsto ogni eventualità, evita ogni rischio ed ha sposato una donna «assignata, economica e pure bella». Vive nella mediocrità che però, a suo dire, gli garantisce la tranquillità; come ripete ai suoi amici: «che me po' succedere a me?»L'elemento imprevisto però irrompe nella sua casa nelle vesti di Riccardo, un uomo che arriva da Napoli, città di perdizione, dove le donne girano truccate e seminude. L'uomo è inseguito dai carabinieri perché durante una rissa ha sparato al suo avversario. Costringe quindi Vincenzo a nasconderlo dagli agenti che stanno girando in tutte le case del paese. Nel secondo atto è visibile la trasformazione avvenuta in casa di Vincenzo: la moglie Margherita non si cura più della casa e del marito e in paese circolano voci secondo le quali sarebbe nata una relazione tra lei e Riccardo, che nel frattempo non è stato arrestato perché aveva sparato per legittima difesa, ferendo l'uomo senza ucciderlo. Quando Vincenzo apprende di queste voci, decide di affrontare il rivale ma deve ricredersi quando assiste di nascosto ad una conversazione tra Riccardo e Margherita. La donna afferma la sua fedeltà al marito e chiede allo spasimante di lasciarla in pace. Nel finale però, mentre lo prega insistentemente di partire e di non tormentarla più, con un capovolgimento della situazione gli butta le braccia al collo, tra lo smarrimento di Vincenzo che assiste insieme ai suoi compaesani alla scena.

Il tema delle corna in questa commedia serve da pretesto per rappresentare l'impossibilità per l'uomo di prevedere e controllare gli eventi della vita che non ci permette di proteggerci dagli imprevisti e dal caso. Vincenzo è un personaggio che sembra anticipare altri "illusi" del teatro di Eduardo, come ad esempio Luca Cupiello, Pasquale Lojacono o Calogero Di Spelta, uomini che di fronte alle prove cui la vita li sottopone non vedono, o fingono di non vedere la realtà.

La commedia rimase nel repertorio del Teatro Umoristico fino al loro scioglimento, avvenuto nel 1944. Fu ripresa da Eduardo nel 1948. Nel 1964 ne fu realizzata l'edizione televisiva, con Valeria Moriconi nella parte di Margherita. Nel 1983 fu messa in scena dalla Compagnia di Luca De Filippo, con la regia dello stesso Eduardo che, durante le rappresentazioni al Teatro Diana di Napoli, morì a Roma il 31 ottobre.

Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. I, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei Giorni Pari, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)