sabato 28 novembre 2009

La "maledizione" di Ferdinando Quagliuolo

STRUMILLO: (a Ferdinando) Vi do di tempo fino a domani al giorno alle quattro e mezzo, e per essere preciso, alle sedici e trenta. Vi aspetto a casa sua, l'indirizzo lo conoscete perché una volta era casa vostra. Firmerete voi una dichiarazione a lui, che preparerò io. Portate vostra figlia e lui metterà una croce su tutto quello che è successo. Altrimenti: appropriazione indebita, diffamazione, estorsione, minaccia a mano armata e ferimento... Vi siete rovinato!
BERTOLINI: Come vedete, si me sparaveve era meglio!
FERDINANDO: (non contenendosi più) Tu si' na carogna, pecché pe nun nguaià 'a casa mia, primma che trasive aggio scaricato 'o revòlvere, si no te mannavo o campusanto, te facevo arrunà 'e ccervelle pe terra... (Mostrando la rivoltella) Chesta è scarica, 'a 'i'.(Tira il grilletto puntando la rivoltella verso terra, ne parte un colpo. Ferdinando impallidisce, le donne rimangono atterrite, i Frungillo si abbracciano smarriti. Strumillo cade affranto su di una sedia. Bertolini dopo un attimo di smarrimento s'inginocchia e bacia la terra.) Vatte'... vatténne! Tu si' 'a iettatura d' 'a casa mia. Io pe causa toia stevo perdenno 'a libertà.
BERTOLINI: (Con un filo di voce) Io stevo perdenno 'a vita!
FERDINANDO: E l'he 'a perdere... He  'a perdere 'a vita. Tu vuo' 'o biglietto e io t' 'o dongo 'o biglietto... (Fruga in una tasca e tira fuori il biglietto) 'o 'i' ccanno 'o biglietto... (Rivolgendosi al quadro del padre) Io ce 'o dongo. Però si 'e sorde nun le spettano, si 'o suonno era 'o mio, tu staie o munno 'a verità... Nun se n'adda vedé bene... L'he 'a fà passà quattro milioni di guai... Ogni soldo na disgrazia, comprese malattie insignificanti, malattie mortali, rotture e perdite di arti superiori e inferiori, peste e culera, friddo e miseria, scaienza e famma dint' 'a casa 'e Bertolini fino a settima generazione...(A Bertolini) Tècchete 'o biglietto...(Glielo dà. Bertolini infila la porta seguito da tutti. Ferdinando, rimasto solo, verso il quadro) Papà... Mi raccomando... (Entra a destra).


Da "Non ti pago", atto II, pagg. 1295-1296 (Mondadori, I Meridiani


Sullo stesso argomento
8 dicembre 1940. Non ti pago

venerdì 27 novembre 2009

Sik-Sik l'artefice magico

All'inizio, come molti, guardavo le commedie in TV quando, periodicamente, venivano trasmesse dalla RAI, essendo nata troppo tardi per poterlo vedere in teatro. In realtà il mio primo approccio serio con Eduardo è stato attraverso la lettura delle commedie. I VHS sono arrivati dopo, sostituiti oggi dai DVD.
All'inizio mi regalarono i due volumi editi da Einaudi "I Capolavori di Eduardo" che raccolgono le sue commedie più significative. Poi man mano iniziai a comperare le altre, pubblicate singolarmente, fino a quando ricevetti sempre in regalo (un bel filone per parenti e amici ...) i quattro volumi delle Cantate, la "Cantata dei Giorni Pari" e la"Cantata dei Giorni Dispari" in un bellissimo cofanetto sempre pubblicato da Einaudi, con la copertina rigida, le sovracopertine, la carta bellissima, insomma, un vero lusso. 

Mi piace leggere le commedie, ogni tanto le riprendo in mano. Ieri ho riletto "Sik-Sik l'artefice magico", un atto unico scritto nel 1929 per la Compagnia del Teatro Nuovo di Napoli in cui Eduardo recitava insieme alla sorella Titina. È stato uno dei primi successi di Eduardo, che restò legato a questo testo fino alla fine della sua carriera; fu una delle sue ultime trionfali interpretazioni.

Come in altre sue commedie, il protagonista è un uomo di teatro, in questo caso un prestigiatore piuttosto  scalcinato che presenta i suoi numeri aiutato dalla moglie incinta, Giorgetta. L'esibizione di Sik-sik verrà completamente rovinata dalla presenza in scena, non prevista, di due suoi "compari", Rafele, ingaggiato in extremis a causa del ritardo di Nicola che però, una volta arrivato e visto usurpato il suo posto, decide di entrare comunque in scena, facendo miseramente fallire l'esibizione del povero Sik-Sik.

È sicuramente una commedia comica in cui però, come quasi sempre accade in Eduardo, c'è anche il dramma dell'illusionista che prima è costretto ad aprire a colpi di martello la cassa da cui sarebbe dovuta uscire "giuliva e surridente" la moglie e poi deve fare i conti con un colombo che non c'è più e al cui posto compare un pollastro. Titina ha raccontato che durante le prove più volte dovettero interrompere perché gli stessi attori e tutti quelli che assistevano, non riuscivano a smettere di ridere. Anche se:

"Mi accorgevo che, a volte, ridendo provavo stranamente pena per quel viso scavato, pallido, per l'espressione di quegli occhi nei quali sembrava brillasse spesso una lacrima. E dicevo fra me: ma Eduardo fa sul serio? Sì, l'attore faceva proprio sul serio" 

Leggendo le commedie si leggono naturalmente anche le didascalie, che spesso non sono semplicemente delle indicazioni sull'intonazione o sui movimenti in scena dei personaggi. In "Sik-Sik" c'è la lunga didascalia che descrive i momenti di panico vissuti dall'illusionista quando si rende conto che sua moglie è imprigionata nella cassa:

[...] la cassa è ancora inesorabilmente chiusa. Che dirà, che farà il pubblico? Ma il dramma di Sik-Sik è un altro, più vasto, più grande, più intimo. L'illusionista pensa alla povera moglie prossima a divenir madre, chiusa là dentro. Ed allora l'esperimento, il pubblico, il teatro, tutto, scolora nel suo cuore tormentato. Ha un'idea, la sola che possa portare a Giorgetta un aiuto, un soccorso. Scompare nelle quinte e ne viene fuori subito armato di martello. Va dietro la tenda e poco dopo si odono i colpi sordi e disperati confusi con la sua voce affannosa e ansante [...]

Come pure trovo bellissima la didascalia finale:

Se l'orchestra non lanciasse i suoi ironici accordi di tromba si udrebbe il singhiozzo di Sik-Sik. Ma la tela, più pietosa, precipita.

Nel 1962 Eduardo aveva registrato per la televisione questo atto unico che però, non si capisce come sia possibile, la RAI ha cancellato... 

Resta una registrazione audio della presentazione che Eduardo fece della commedia.





sabato 21 novembre 2009

Primi piani per Filumena

L'altro ieri sera sono andata a teatro, all'Argentina di Roma, a vedere Filumena Marturano nell'interpretazione di Lina Sastri e Luca De Filippo, con la regia di Francesco Rosi e le scene di Enrico Job. Si tratta di una ripresa, lo spettacolo aveva debuttato la scorsa stagione, terzo capitolo di una sorta di trilogia nella quale Luca De Filippo e Francesco Rosi hanno affrontato tre capolavori scritti da Eduardo nel dopoguerra: Napoli Milionaria, Le voci di dentro e Filumena Marturano.
Ancora non riesco a perdonarmi di aver perso le prime due nelle scorse stagioni (ho passato qualche anno un po' pesantuccio…) e così, per rimediare, questa Filumena l'ho vista sia lo scorso anno che, appunto, adesso.
Sono state due esperienze molto diverse. La prima volta sono andata con mio marito, che non è proprio un appassionato del genere ma in questi casi mi accompagna tutto sommato volentieri. In quella occasione ho assistito alla rappresentazione quasi trattenendo il fiato, con una forte partecipazione emotiva, i monologhi di Filumena che scandiscono i tre atti mi hanno commosso.
La seconda volta sono andata da sola. Avevo dei posti magnifici in terza fila, quindi praticamente ero in scena…

Buio, si apre il sipario e ancora nel buio inizia la tirata di Domenico Soriano e quel suo «Pazzo, pazzo, pazzo, non una ma cento volte, mille volte pazzo!» dà inizio al match tra lui e Filumena.
Ho messo a fuoco quello che la prima volta non avevo notato. Nella commedia i protagonisti si affrontano come due pugili, due lottatori, a suon di parole. I monologhi, e non solo quelli di Filumena, ammaliano lo spettatore. Ecco, in questa messa in scena secondo me il regista ha voluto dare particolare risalto a questi momenti topici bloccando sullo sfondo i personaggi in scena che non parlano.
Durante lo sfogo iniziale di Domenico, Rosalia e Alfredo sono praticamente due sentinelle di guardia alle spalle dei protagonisti e la stessa Filumena si muove pochissimo. Quando poi tocca a lei dire la sua, è Domenico a rimanere fermo, con le mani in tasca, nell'angolo in cui rimane praticamente durante l'intero atto. La scena si movimenta con l'ingresso dei camerieri che portano la cena e poi con l'arrivo della figliola che ha fatto avutà a capa a Domenico.
Stessa cosa accade nel secondo atto quando, alla presenza di Domenico, dell'avvocato, dei tre ragazzi e di Rosalia, Filumena rivela ai suoi figli di essere la loro madre. Durante il lungo monologo tutti i personaggi restano immobili nelle loro posizioni. In questa scena l'effetto è forse amplificato perché i personaggi presenti sono di più rispetto al primo atto. Ugualmente nel terzo atto, quando Domenico chiede a Filumena la carità, chiede di sapere quale sia suo figlio, mentre l'uno parla l'altra quasi non si muove e viceversa.
Questa scelta del regista fa sì che naturalmente l'attenzione dello spettatore sia rivolta completamente alle parole della protagonista, ottenendo quasi l'effetto cinematografico del "primo piano" che rende la rappresentazione particolarmente suggestiva.

martedì 17 novembre 2009

Pomeriggio con il mito

Questa sera a Roma, nel foyer del Teatro Argentina, c'è stata la presentazione della biografia di Eduardo scritta da Maurizio Giammusso. Sono andata, nonostante domani abbia un altro "appuntamento" all'Argentina (tornerò a vedere Filumena) e nonostante i ragazzini, il lavoro e tutto il resto. Ma poi mi sono detta che se avessi rinunciato me ne sarei pentita perché in fondo sono anni che leggo libri, che mi documento, che guardo e riguardo i DVD, insomma è la mia grande passione.


La presentazione era prevista per le 18 ed era preannunciata la presenza dell'autore e di Luca De Filippo. Sono arrivata ben presto, alle 17.40 sono entrata nel foyer del teatro dove tutto era ovviamente già pronto per l'incontro. C'era ancora pochissima gente ed ho potuto scegliere un posto come si deve, in seconda fila. Mentre aspettavo ho avuto modo di osservare i partecipanti, ero molto curiosa di vedere che tipo di persone sarebbero state presenti. C'era qualche distinta signora un po' avanti in età, qualche "addetto ai lavori", giornalisti inviati per scrivere forse una recensione, un paio di tizi dall'aria intellettuale che con molto distacco si aggiravano nella sala in attesa dell'inizio, qualche giovane attore. Alle 18 in punto hanno fatto il loro ingresso Maurizio Giammusso, una responsabile del Teatro Argentina di cui ora mi sfugge il nome, Luca De Filippo e, a sorpresa, Lina Sastri.

Si è ovviamente parlato del volume, una ristampa dell'editore Minimum fax del libro pubblicato la prima volta nel 1993. Un lavoro molto ben fatto che io avevo letto all'epoca della sua prima uscita, completo, interessantissimo, molto ben documentato. Quello che naturalmente mi ha affascinato sono stati gli interventi di Luca De Filippo. Sembra essere una persona molto schiva; quando sono entrati nella sala è apparso quasi un po' intimidito. Anche lui ha parlato del libro e poi, inevitabilmente, di suo padre, sempre in maniera molto misurata ma allo stesso tempo appassionata. Ha parlato del rapporto non proprio idilliaco che Eduardo ebbe in vita con biografi e biografie ed ha improvvisato una strofa della poesia"'A matassa", che sembra riferirsi proprio a questo. Giammusso ha ricordato il suo primo ed unico incontro con il grande drammaturgo. Era allora  inviato alle prime armi per un giornale ad una manifestazione a cui partecipava anche Eduardo. Giammusso, nella sua ingenuità ed inesperienza, taccuino alla mano lo avvicinò, chiedendogli se poteva intervistarlo. Eduardo si voltò lentamente, lo guardò e gli disse: «Grazie, quando voglio incontrare i giornalisti li chiamo io». Solo a distanza di anni, ha spiegato, si è reso conto che certi personaggi, quasi delle leggende viventi, vanno avvicinati senza improvvisazione, con il giusto rispetto e la dovuta professionalità che meritano.
Tra le tante cose dette da Luca De Filippo, una mi è rimasta nella mente: un giornalista gli ha fatto una domanda a proposito delle regie di Eduardo confrontate con quelle dei registi che hanno rappresentato in seguito le sue commedie. Lui ha risposto che, ovviamente, è impensabile fare dei paragoni, ogni testo viene in qualche modo plasmato e reinterpretato dal regista che lo mette in scena. Per quanto riguarda suo padre, ha ricordato di come fosse convinto che «il pubblico che va a teatro non è tenuto ad essere un intellettuale» e questa è stata senz'altro la cifra stilistica delle sue regie e forse, aggiungo io, il motivo per cui è riuscito a penetrare così a fondo nell'anima della gente.

domenica 15 novembre 2009

'O mare

"'O mare fa paura"
Accussì dice 'a ggente
guardanno 'o mare calmo,
calmo cumme na tavula.
E dice 'o stesso pure
dint' 'e gghiurnate 'e vierno
quanno 'o mare
s'aiza,
e l'onne saglieno
primm' a palazz' 'e casa
e pò a muntagne.
Vergine santa...
scanza 'e figlie 'e mamma!
Certo,
pè chi se trova
cu nu mare ntempesta
e perde 'a vita,
fa pena.
e ssongo 'o primmo
a penzà ncapo a me:
"Che brutta morte ha fatto
stu pover'ommo,
e che mumento triste c'ha passato".
Ma nun è muorto acciso.
È muorto a mmare.
'O mare nun accide.
'O mare è mmare,
e nun 'o sape ca te fa paura.
Io quanno 'o sento...
specialmente 'e notte
quanno vatte 'a scugliera
e caccia 'e mmane...
migliara 'e mane
e braccia
e ggamme
e spalle...
arraggiuso cumm'è
nun se ne mporta
ca c' 'e straccia 'a scugliera
e vveco ca s' 'e ttira
e se schiaffea
e caparbio,
mperruso,
cucciuto,
'e caccia n'ata vota
e s'aiuta c' 'a capa
'e spalle
'e bracce
ch' 'e piede
e cu 'e ddenocchie
e ride
e chiagne
pecché vulesse 'o spazio pè sfucà...
Io quanno 'o sento,
specialmente 'e notte,
cumme stevo dicenno,
nun è ca dico:
"'O mare fa paura",
ma dico:
"'O mare sta facenno 'o mare".
Da Le Poesie di Eduardo (Einaudi), pag. 17






sabato 14 novembre 2009

'O canisto


Quando ho iniziato, anni e anni fa, a formare la mia "biblioteca eduardiana", spessissimo nelle bibliografie dei testi che andavo leggendo, trovavo riferimenti a "'O Canisto", pubblicato nel 1971 dalle "Edizioni San Ferdinando". Inutilmente l'ho cercato nelle librerie essendo oramai fuori catalogo da tempo. 

Mi incuriosiva molto perché trovavo riferimenti a pensieri, poesie, testimonianze, riflessioni, il testo del poemetto scritto da Luisella, l'amatissima figlia di Eduardo morta bambina, che Eduardo adattò a libretto per una "Operina in un atto" con la musica di Nino Rota. 
Era diventato ormai quasi un oggetto mitologico per me e con il tempo mi ero rassegnata all'idea che non ne sarei mai entrata in possesso.

Di recente, all'inizio di quest'anno, pensai di fare qualche ricerca su Internet. Trovai su eBay una copia, piuttosto malconcia stando alla foto e alla descrizione, senza copertina, che però costava molto poco. Non ho mai fatto acquisti su eBay, non ero molto convinta, anche se allo stesso tempo molto tentata di aggiudicarmi finalmente questa reliquia. Fortunatamente ho aspettato, ho proseguito le mie ricerche ed un pomeriggio, come d'incanto, si è materializzata l'immagine del libro sul sito di una libreria antiquaria. Nelle note descrittive era riportato: "Dedica autografa dell'autore all'occhiello".Ho avuto un sussulto che si è trasformato in una esclamazione di gioia quando, pronta ad ordinarlo dal sito seduta stante, mi sono resa conto che la suddetta libreria era non solo a Roma, ma ad un tiro di schioppo da casa mia. Sono andata a prendere il pupo all'asilo e poi difilata a destinazione. Il libro era lì ad aspettarmi, in ottimo stato, con la copertina perfetta, la sovracoperta, con quel leggero odore di stantio che a volte hanno i libri datati e che magari sono stati a lungo chiusi in qualche cantina. C'era anche la dedica:

Con gli auguri più sinceri per una serena Pasqua, invio ai miei cari amici Malgeri questo mio "Canisto" che ricorderà loro l'infinita dolcezza del tempo che fu. Eduardo. Pasqua 74

Mi rendo conto che può sembrare un'esagerazione ma mi sono quasi commossa...
Il libro è una raccolta di poesie, novelle, scritti vari, disegni, foto, insomma una specie di blog ante litteram. 

Io amo molto leggere, amo i libri anche come oggetti, ne sono gelosa, difficilmente li presto, difficilmente leggo libri prestati. Questo volume ha per me un valore inestimabile perché racchiude la summa delle mie passioni: la lettura, i libri, Eduardo. Scrivendo di questo "ritrovamento" su aNobii, la community di lettori alla quale sono iscritta da qualche tempo, ho ricevuto questo commento: "Per quanto possa sembrare strano, sono convinto che non sempre siamo noi a scegliere un libro, ma a volte è il libro a scegliere noi, nonostante l'apparente casualità degli avvenimenti. Credo che il libro in questione non potesse finire in mani migliori ed è per questo che ti ha scelto. Bel colpo e per una dedica di Eduardo mi commuoverei anch'io". 

Mi piace pensare che dalle mani di Eduardo alla libreria dei signori Malgeri da cui questo libro proviene, se ne sia rimasto dimenticato per anni nella cantina degli eredi perché aspettava proprio me... 



martedì 10 novembre 2009

Penziere mieje

Penziere mieje, levàteve sti panne,
stracciàtev' 'a cammisa, e ascite annuro.
Si nun tenite n'abito sicuro,
tanta vestite che n'avit' 'a fa?

Menàteve spugliate mmiez' 'a via,
e si facite folla, cammenate.
Si sentite strillà, nun ve fermate:
nu penziero spugliato 'a folla fa.

Currite ncopp' 'a cimma 'e na muntagna,
e quanno 'e piede se sò cunzumate:
un'ànema e curaggio, e ve menate...
nzerranno ll'uocchie, primm' 'e ve menà!

Ca ve trovano annuro? Nun fa niente.
Ce sta sempe nu tizio canusciuto,
ca nun 'o ddice... ca rimmane muto...
e ca ve veste, primm' 'e v'atterrà.
[1948]
da Le poesie di Eduardo (Einaudi), pag. 5

lunedì 9 novembre 2009

In principio fu una divisa da maresciallo

"A teatro la suprema verità è stata e sarà sempre
 la suprema finzione"

Credo di ricordare esattamente le circostanze in cui realizzai tra me che mi trovavo di fronte ad un vero genio del teatro. Potevo avere 18, forse 19 anni, assolutamente digiuna di cultura teatrale. Stavano trasmettendo in TV la versione televisiva de "L'Arte della Commedia", scritta da Eduardo nel 1964.
Andò in scena la  prima volta nel 1965 ma fu tolta dal cartellone quasi subito. Si tratta di una commedia particolare che all'epoca non risultò gradita nelle alte sfere poiché si ritenne inopportuno che un uomo di teatro potesse mettere in discussione le istituzioni stesse che controllavano il suo lavoro. Fu sostituita in cartellone da "Uomo e galantuomo"  e subito pubblicata nella Collezione di Teatro di Einaudi.
Eduardo in quella occasione inserì una Avvertenza dell'autore:

"Vorrei spiegare perché L'Arte della Commedia va in stampa senza prefazione. Vari critici hanno scritto brillantemente sull'argomento, cogliendo uno o più lati interessanti, e io li ringrazio [...] Ma questa è una commedia strana, formalmente e sostanzialmene diversa dalle altre; desidero perciò che il lettore giudichi con la propria testa, si formi una sua idea del lavoro, e decida da solo se la commedia è valida o no, teatrale o non teatrale (alcuni l'hanno ritenuta una "noiosa  conferenza sul teatro"), pericolosa (al punto da meritare una censura televisiva) o no. Voglio farvi solo una raccomandazione: tenete presente che questa commedia non l'ho scritta solamente per la gente di teatro - come alcuni affermano - ma per tutti noi, giacché i problemi di cui tratta riguardano la nostra vita e quella dei nostri figli".

Protagonista della commedia è Oreste Campese, capocomico di una compagnia teatrale itinerante che, a seguito di un incendio, ha perso tutto il suo "patrimonio": le scene, il tendone; tutto tranne la cassa dei trucchi e dei travestimenti. Campese si reca dal prefetto del piccolo paesino in cui è avvenuto l'incidente, appena insediato nel nuovo incarico, per chiedergli di partecipare, dando lustro con la sua presenza, ad una  rappresentazione  che permetterà di raccogliere denaro sufficiente per affrontare il viaggio che porterà la compagnia ad unirsi a quella di un capocomico amico.  L'incontro tra i due darà l'avvio ad una discussione piuttosto accesa sui rapporti tra lo Stato e il teatro, sulla condizione degli attori e sulla questione se il teatro sia o meno di pubblica utilità. Il prefetto è alla fine piuttosto infastidito e, convinto di essersi sbarazzato di Campese con il foglio di via per poter raggiungere la compagnia dei suoi colleghi, gli consegna invece la lista delle persone che dovrà ricevere quella mattina. Il capocomico gli lancia la sfida insinuandogli il dubbio che tra  coloro che andranno ad incontrarlo potrebbero nascondersi gli attori della sua compagnia.
Nel secondo atto sfilerà davanti al tavolo del prefetto una varia umanità che andrà a presentare casi personali piuttosto curiosi. Fino all'ultimo né il prefetto, né lo spettatore sono in grado di stabilire se Campese abbia davvero attuato la sua minaccia. L'arrivo del maresciallo dei carabinieri è atteso dal prefetto per smascherare finalmente la finzione del teatrante. Il maresciallo sta per entrare quando...

CAMPESE: Un momento!
DE CARO: (illuminandosi) Ah, finalmente hai deciso di venire a più miti consigli!
CAMPESE: No, eccellenza. Volevo soltanto farle sapere che tra il vestiario di una compagnia teatrale non è difficile trovare una divisa da Maresciallo dei carabinieri. (Rivolto alla porta) Avanti!

Sipario.

Ebbene, quella sera, quando ho assistito a questo finale, ho deciso che avrei dovuto leggere tutto di questo grande artista. Ho iniziato da lì e non mi sono più fermata.


Sullo stesso argomento:
8 gennaio 1965. L'arte della commedia

lunedì 2 novembre 2009

Anche stasera mi batte il cuore...

'A lampa

Allùmmela na lampa nnanz' 'o muorto
pure si 'o padreterno nun ce sta,
pure si ll' 'e capito cu certezza
ca nun c'è lluce,
nun c'è llampa a uoglio,
né gas
né petrolio
o lucelettrica
ca po’ dà refrigerio
a nu defunto,
o na speranza
a chi è rimasto vivo.
Ma si 'e perduto na persona cara
ca t'ha lassato nu delore 'o core
ca nun è nu delore ca fa male
ma ch'è sulo 'o delore 'e nu delore:
appìcciela na lampa nnanz' 'o muorto.
Nun sì cuntento,
nun te fa piacere
'e vedè stu delore ca fa luce?
[1970]
da Le poesie di Eduardo (Einaudi) pag. 116

"L'ommo è ommo"


ANTONIO [...] l'ommo è ommo solamente quando non è testardo. Quando capisce  ch'è venuto il momento di fare marcia indietro e la fa. Quando riconosce un errore commesso, se ne assume la responsabilità, e cerca scusa. Quando  apprezza la superiorità di un altro uomo, e ce lo dice. Quando amministra e  valorizza, nella stessa misura, tanto il suo coraggio quanto la sua paura [...]

Il Sindaco del Rione Sanità, II atto
(da Cantata dei Giorni Dispari, a cura di Anna Barsotti - Einaudi, vol. III, pag 62)

domenica 1 novembre 2009

31 ottobre 1984 - 2009

Esattamente 25 anni fa moriva Eduardo.

Ai suoi funerali parteciparono migliaia di persone, furono trasmessi in diretta dalla RAI. Alla fine della funzione intervennero per ricordarlo Ferruccio Marotti, docente all'università di Roma, un ragazzo del carcere di Nisida, e Dario Fo. La diretta TV però si interruppe proprio all'inizio di questi interventi. Dario Fo ha poi raccontato questa circostanza:

«Non mi dimenticherò mai la scena, durante i funerali di Eduardo, delle tre camere della televisione montate su torri che di colpo, all'unisono, sollevarono il muso per aria in segno di rifiuto e i segnali luminosi, gli occhi rossi, si spensero […] Ora sempre in diretta, davanti alla bara di Eduardo, presenti le alte autorità, si sarebbe celebrato il commiato. C'era un ragazzo del carcere di Nisida di Napoli, che avrebbe salutato l'unico senatore della Repubblica che si era occupato di loro. Ferruccio Marotti, dell'Ateneo di Roma, dove Eduardo insegnava, avrebbe parlato ancora, poi sarebbe toccato a me in rappresentanza dei teatranti. Dall'alto decretarono immediatamente che no, il commiato non si doveva fare. Era la vendetta dei politici che si erano visti esclusi dal rito. A loro non interessava tanto salutare un uomo di teatro. Gli interessava solo procurarsi uno spazio audiovisivo da gestire. Gli era stata negata questa occasione di battage, responsabili i familiari. E allora niente… per nessuno.
Splendido! Io ho visto per aria Eduardo che si faceva matte risate, era proprio il finale che lui voleva. Non c'era dubbio, se l'era inventato personalmente, se l'era sceneggiato e allestito col permesso del Padreterno: il padreterno dei teatranti, un certo Dioniso.
Così se n'era andato con una delle sue classiche sentenze: "Anche da morto, se non stai attento, quelli cercano di fotterti fino all'ultimo respiro"»