martedì 21 dicembre 2010

21 dicembre 1973. Gli esami non finiscono mai

«È una commedia in due tempi, a quadri e quadretti, con un'avvertenza dell'autore al principio a sipario chiuso, con un intervallo di pura convenienza fra i due tempi, per mandare gli spettatori a riposarsi un poco  nei corridoi. È la biografia di un uomo come tanti, dal giorno in cui, presa la laurea, egli crede che gli esami siano finiti, al giorno in cui egli muore e gli esami del prossimo invadente continuano ancora. Un lunghissimo esame, una continua resa dei conti agli altri, a se stesso, alla curiosità, alla malevolenza del mondo, di tutte le sue azioni, delle corna che gli mette sua moglie, delle corna che egli mette a sua moglie, dei soldi che spende, di quelli che non spende».

In una intervista che risale al 1947, Eduardo aveva raccontato quella che sarebbe stata l'ultima commedia da lui scritta e messa in scena un quarto di secolo dopo. Negli anni Cinquanta viene annunciata come lavoro in programma quasi ad ogni stagione teatrale, sembra essere accantonata nel decennio successivo, per vedere finalmente la luce nel 1973. Eduardo del resto spesso lasciava maturare spunti e idee di commedie anche per periodi molto lunghi. Come spiegò agli alunni di una scuola media che gli avevano chiesto come nascesse una commedia, proprio prendendo ad esempio la lunga gestazione de Gli esami non finiscono mai,  scrisse: «In genere non mi sono mai pentito d'avere aspettato: resistere agli anni e ai dubbi è la miglior prova della vitalità artistica d'una idea».

Ripropone il tema della famiglia, che aveva già affrontato in altre commedie, accentuando la visione pessimistica e grottesca, e proponendo una struttura drammaturgica molto particolare. Si compone di un prologo e tre atti divisi in scene. Tra una scena e l'altra il protagonista si rivolge direttamente al pubblico che, come Eduardo ha sempre sostenuto, diventa il personaggio in più, svolgendo in questo caso  la funzione di confidente del protagonista Guglielmo Speranza e, in un caso, anche di sua moglie Gigliola. Oltre che dal punto di vista drammaturgico, Eduardo ha sempre dato grande importanza al rapporto diretto con il pubblico, con il quale abitualmente si intratteneva a conversare alla fine degli spettacoli. Un altro elemento caratteristico del suo teatro e che viene ripreso significativamente in questa commedia, è il silenzio del suo personaggio. Come Luca Cupiello, che con la malattia perde quasi completamente l'uso della parola, come Zì Nicola ne Le voci di dentro, che si rifiuta di parlare perché "il mondo è sordo",  come Alberto Stigliano che in Mia famiglia  si rifugia nel silenzio per reagire alla situazione di deriva che vive nella propria casa, come Peppino Priore in Sabato, domenica e lunedì, anche Guglielmo Speranza alla fine rinuncia a parlare quando, dopo l'ennesima delusione subita, inflittagli dai suoi stessi figli, si consegna ad una esistenza apatica in attesa che la sua vita giunga al termine.





La vicenda di Guglielmo Speranza inizia il giorno della sua laurea quando, festeggiato dagli amici, tra cui si distingue Furio La Spina, guarda fiducioso al futuro, confortato dal fatto che i suoi esami sono finalmente finiti. In realtà dovrà ben presto rendersi conto che ad ogni passaggio importante della sua vita sarà costretto a confrontarsi con nuove prove e nuovi esami, imposti dalle convenzioni sociali. Il passare del tempo viene scandito dalle canzoni interpretate da una cantante di strada e dalla barba del protagonista che da nera passerà ad essere grigia e poi bianca. Dopo il matrimonio e la nascita di due figli, Guglielmo affronterà il fallimento del rapporto con sua moglie, l'amore vero per una ragazza dalle origini umili, il tradimento da parte di Furio che, ben lungi dal comportarsi con lui da amico, non perde occasione per giudicarlo, fino a dichiarargli apertamente tutto il suo disprezzo. Quando, i figli ormai grandi e sposati a loro volta, decide di dare una svolta alla situazione economica della famiglia, Gigliola e i figli stessi minacciano di farlo interdire; decide allora di lasciarsi morire. Trascorrerà ancora molti anni seduto su una poltrona a leggere libri e giornali, fino al giorno della sua morte. Neanche allora però riuscirà a liberarsi dell'ipocrisia e dalla falsità della gente. Non verranno rispettate le sue ultime volontà di essere seppellito nudo ma, per salvaguardare le apparenze e la decenza verrà vestito e truccato e il suo falso amico pronuncerà addirittura l'elogio funebre, a cui il Guglielmo morto assiste, con un mazzo di fiori in mano e con il viso truccato in maniera grottesca. Per questa scena Eduardo sembra si sia ispirato al funerale di suo padre, Eduardo Scarpetta. In quella occasione infatti Libero Bovio, che era stato suo agguerrito avversario, si fece largo per pronunciare il discorso funebre, arrivando ad evocare l'immagine di Scarpetta-Sciosciammocca e Petito-Pulcinella che quella notte si sarebbero incontrati e abbracciati nelle strade di Napoli. 

Per questa commedia, così lontana dai suoi precedenti lavori, Eduardo opta per delle scenografie bidimensionali, realizzate dal pittore Mino Maccari, che disegnerà anche i costumi, grotteschi e volutamente esagerati. Il 19 e il 20 dicembre 1973 la commedia viene presentata al teatro La Pergola di Firenze in due anteprime riservate agli studenti, che ne furono entusiasti. Il debutto ufficiale avvenne, nello stesso teatro, il 21 dicembre 1973. La commedia ebbe un grandissimo successo; nel gennaio del '74 arrivò al teatro Eliseo di Roma dove superò ogni primato di incasso e fece registrare file interminabili ai botteghini. Durante le repliche però, previste fino al 21 marzo, Eduardo ebbe dei problemi cardiaci che lo costrinsero a sospendere le recite e che lo portarono all'applicazione di un pace-maker a cui, in un primo momento, aveva pensato addirittura di rinunciare. «A me sembrava di forzare la natura, di dire il falso alla vita, ingannando la morte, facendo un artificio. [...] Se il mio cuore era al limite delle risorse, meglio finire lì, una cosa comincia, dura per un po', finisce, ne comincia un'altra. Che male c'è?  [...] Queste cose era l'uomo a ragionarle in me [...] ma l'attore cominciò a entrare in scena anche dentro il mio animo e a farsi forte di certe antiche teorie proprio sul teatro e sulla recitazione: e che cioè l'attore, quand'è in scena, deve sempre controllare se stesso, cioè il personaggio che rappresenta e vigilare affinché la sua finzione serva a dare la "vera" realtà [...]. E allora, sul filo di queste mie antiche teorie le quali dicono che un attore è tanto più bravo quanto più ricca è la sua capacità di finzione, ho deciso di affrontare l'intervento, e cioè di diventare un attore più completo di prima, giacché in scena finalmente il mio cuore potrà fingere insieme a me» (Intervista a Paese Sera, 5 marzo 1974).


Il 3 marzo annunciò lui stesso al pubblico e agli attori della compagnia che il giorno dopo sarebbe entrato in ospedale per sottoporsi all'operazione. Riprenderà le recite il 27 marzo, ricevendo una accoglienza trionfale.  Le repliche continuarono ancora per un mese e al termine delle serate Eduardo si intratteneva con il pubblico per leggere le lettere ed i telegrammi che continuava a ricevere.

La commedia fu ripresa nella stagione 1974-75 e registrata per la televisione nel 1975 e messa in onda a gennaio dell'anno successivo, con le scene ed i costumi di Raimonda Gaetani.


Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. III, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)


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