sabato 19 febbraio 2011

Occhiali neri

Occhiali neri è un atto unico scritto da Eduardo nel 1945 che, cronologicamente, si colloca tra Napoli milionaria! Questi fantasmi!

La scena è ambientata in una villa di Torre del Greco, di proprietà dei fratelli Spelta, Mario e Maria, alla fine dell'estate. Da un colloquio di Maria con una vicina di casa, veniamo a sapere che i due fratelli si trovano a Torre del Greco, nella casa in cui erano soliti trascorrere le vacanze fin da bambini, già da un anno e mezzo. Mario, reduce della guerra d'Africa, in cui ha perso la vista, ha preferito infatti lasciare Napoli, dove non riusciva ad adattarsi alla sua nuova condizione. Nella casa di Torre del Greco invece si sente felice, rasserenato dai ricordi della loro infanzia.
In quel momento stanno attendendo l'arrivo del medico che ha sottoposto Mario a delle cure per tentare di fargli recuperare la vista; dovrà appurare se la terapia ha avuto esito positivo. Quando il medico arriva con il suo assitente, Maria va a chiamare il fratello che sta paseggiando insieme ad Assunta, la sua fidanzata. La donna ha portato con sé gli occhiali neri che Mario avrebbe dovuto indossare per un periodo, nel caso in cui avesse recuperato l'uso degli occhi. Maria invece, per scaramnzia, aveva evitato di comperarli. 

MARIA: Dottò, veramente,,, non li ho voluti comperare per buon augurio. Vuie me dicìsteve che se Mario, dopo l'esperimento, avrebbe riacquistato la vista, per un annno o due avrebbe dovuto portare gli occhiali neri... Si sèrveno... sperammo 'a Madonna!... Allora l'accatto.

[...]

ASSUNTA: Buongiorno. Dottò, ho portato gli occhiali neri. (Li prende da una borsetta e li mostra) Me ne sono ricordata io.

Prima di procedere a togliere le bende che gli coprono gli occhi però,  Mario chiede al dottore di poter rimanere da solo con Assunta. L'uomo ha colto le aspettative della fidanzata sull'esito dell'esperimento e teme che, se non dovesse riacquistare la vista, lei possa rifiutarlo o, peggio, sposarlo solo per pietà. La conversazione conferma i suoi timori.

MARIO: [...] Se io resto cieco, tu me spuse cu 'o stesso piacere? (Pausa)Rispunne ampresso Assù... Io nun ce veco, nun pozzo vedé l'espressione d' 'a faccia tua. Me spuse cu 'o stesso piacere?
ASSUNTA: (con falso entusiasmo) Sì.
MARIO: (a cui non è sfuggita l'incertezza di Assunta) Chiamma 'o duttore.

Quando il dottore toglie finalmente la benda, Mario afferma di riuscire a vedere e che quindi l'esperimento è riuscito. A quel punto però gela l'entusiasmo di Assunta, comunicandole che non è sua intenzione legarsi a lei. Rimasto solo con Maria, che chiede i motivi di questa decisione, l'uomo spiega di aver capito che Assunta, se fosse rimasto cieco, lo avrebbe sposato solo per pietà mentre lui non desiderava elemosina da nessuno. All'obiezione di Maria che comunque l'esperimento era riuscito, il fratello confessa la verità: i suoi occhi non vedono e non vedranno più;  è stato lui quindi a "fare la beneficienza" alla fidanzata.

MARIO: Nun te piglià collera. Doppo duie anne, me so' abituato. 'A vita mia me l'aggio accunciata comme me piace a me. 'A notte ce veco... quanno dormo. Dint' 'o suonno veco 'o munno comme vogl'io, 'a gente comme piace a me. E me fa pena 'a gente ca ce vede pecché a notte se cócca stanca' e nun se pò sunnà niente. E allora, vamm' 'o llieve 'a capa... siccomme 'e notte ce veco, 'e iuorno me pare comme si ll'ate fosseno tutte cecate. E vulesse na cosa sola... Ca vedesseno 'e iuorno tale e quale comme io veco 'e notte.

 L'atto si chiude sulla terrazza, dove fuori scena si sentono le voci di due vicini, già comparse in apertura, che parlano della ricostruzione della casa di uno dei due, andata distrutta durante la guerra. Mario aiuta la sorella a dipanare una matassa di lana, quasi a rappresentare il suo voler restare ai margini della vita che continua all'esterno e più in generale nel Paese dell'immediato dopoguerra.

Secondo quanto riporta Anna Barsotti, questo atto unico non fu mai rappresentato. Paola Quarenghi invece cita una messa in scena, che risalirebbe al 17 dicembre 1945 al San Carlo di Napoli, in una "Mattinatissima" destinata ad un pubblico di giornalisti, probabilmente organizzata per beneficienza. Tra i protagonisti, oltre ad Eduardo e Titina nel ruolo dei due fratelli, anche Tina Pica e Pietro Carloni.
Nel 1959 fu registrata l'edizione radiofonica con Achille Millo e Regina Bianchi nel ruolo dei protagonisti, Pupella Maggio ad interpretare la vicina di casa mentre Eduardo si riservò la parte di Rafele, l'uomo di fatica di casa Spelta.


Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. II, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni dispari, Vol. I, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)

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