domenica 20 marzo 2011

'E muorte so' tutte eguale

GENNARO: (entra dal fondo salutando con un gesto largo un po' verso sinistra, un po' in alto sui balconi. [...] Veste miseramente con indumenti di fortuna. Il berretto è italiano, il pantalone è americano, la giacca è di quelle a vento dei soldati tedeschi ed è mimetizzata. Il tutto è unto e lacero. [...]. Il suo aspetto è stanco e vivificato soltanto dalla gioia che ha negli occhi di rivedere finalmente la sua famiglia, e la sua casa. Porta con sé un involto di stracci, messo a tracolla come un piccolo zaino e una scatola di latta di forma cilindrica, arrangiata con un filo di ferro alla sommità, che gli serve come scodella per il pranzo. Nel varcare la porta dà un fugace sguardo intorno e ha un senso di sorpresa. La sua meraviglia poi giunge al colmo nel vedere la moglie in quell'abbigliamento così lussuoso. Quasi non la riconosce e, convinto d'essersi sbagliato di porta, fa un gesto di scusa alla donna, dicendo rispettosamente) Perdonate, signora... (Ed esce).
ADELAIDE: (raggiunge Gennaro e lo invita a tornare sui suoi passi) È ccà, don Genna'... Trasite... Chesta è casa vosta... 'A mugliera vosta, 'a vedite?

Gennaro riappare incerto, quasi non osando rientrare. Guarda ancora intorno intontito alla vista del nuovo volto della sua casa, poi i suoi occhi si concentrano su Amalia ed esprimono un che di ammirazione e di paura. Amalia è rimasta come impietrita: non osa parlare. Ha osservato lo stato miserevole del marito, ne ha subito intuito le sofferenze. [...]

[...]

GENNARO: Che sacrileggio, Ama'... Paise distrutte, creature sperze, fucilazione... E quanta muorte... 'E lloro e 'e nuoste... E quante n'aggio viste... (Atterrito dalla visione che gli ritorna alla memoria più viva con tutti i suoi particolari) 'E muorte so' tutte eguale... (Pausa. Con tono sempre più commosso, come per rivelarle la sua nuova natura) Ama'... e io so' turnato 'e n'ata manera, 'o ssa'? Tu te ricuorde quann'io turnaie 'a ll'ata guerra, ca ghievo truvanno chi m'accedeva? Nevrastenico, m'appiccecavo cu' tutte quante... (Ad un gesto affermativo di Amalia, incalza) Ma sta vota, no! Chesta, Ama', nun è guerra, è n'ata cosa... È na cosa ca nun putimmo capì nuie... Io tengo cinquantaduie anne, ma sulamente mo me sent'ommo overamente.(Ad Amedeo, battendogli una mano sulla gamba come per metterlo sull'avviso) 'A sta guerra ccà se torna buone... Ca nun se vo' fa male a nisciuno... (Poi ad Amalia come obbedendo ad una fatalità imponderabile con un tono di ammonimento) Nun facimmo male, Ama'... Nun facimmo male... (La somma di tutte le emozioni provate, quelle del ritorno, delle sue stesse parole rievocatrici, del trovarsi fra i suoi cari e più perché si sente meschino in tanta tragedia scontata, gli provoca una crisi fisica: scoppia in pianto).

Da "Napoli milionaria!", atto II, pagg. 66, 70
(Cantata dei giorni dispari, vol. I, a cura di Anna Barsotti, Einaudi)


sabato 19 marzo 2011

Farmacia di turno

Nel 1920 Eduardo, chiamato sotto le armi nel corpo dei Bersaglieri,  viene incaricato dai suoi superiori di organizzare delle recite in caserma per i suoi commilitoni. Ottiene inoltre il permesso la sera di raggiungere la compagnia di Vincenzo Scarpetta, dove recitava in quel periodo insieme ai fratelli. Scrive in quegli anni numerosi sketch ed atti unici, tra cui Farmacia di turno, atto unico nato con il titolo di Don Saverio 'o farmacista, che viene considerata la prima vera commedia scritta da Eduardo e che apre la Cantata dei giorni pari.

La scena si svolge in una farmacia di turno, il cui titolare è don Saverio, che troviamo in conversazione con Teodoro, un medico suo amico. Prendendo spunto da un articolo del giornale che sta leggendo Teodoro, in cui si racconta di un marito che uccide la moglie per il solo sospetto di essere stato tradito, Saverio racconta del suo matrimonio fallito. Dopo aver ereditato da suo padre la farmacia in cui aveva lavorato fin da bambino, pensando di trovare una sistemazione nel matrimonio, ben presto si rende conto di essere incappato in una donna interessata più ai vestiti e ai divertimenti che alla vita coniugale. Un giorno la moglie lo abbandona per un ricco signore che le fa fare la bella vita.

SAVERIO: [...] Dotto'... chillu iuorno manco si avessi pigliato na quaterna secca... 

Sullo stesso giornale il dottore legge la pubblicità di un prodotto a base di arsenico per sterminare i topi, di invenzione del farmacista. Teodoro vorrebbe acquistarlo ma l'amico, per farlo risparmiare, gli propone di prendere due cartine di arsenico con cui potrà preparare lui stesso il veleno. Mentre conversano entrano in farmacia alcuni clienti, tra cui  Carmela, la cameriera della sua ex moglie che deve acquistare delle medicine per la signora che è ammalata. Carmela si allontana mentre Saverio le prepara le medicine  e al suo ritorno trova in farmacia Enrico, un bellimbusto che la corteggia e che ironizza sul tradimento subìto da Saverio. La donna finalmente se ne va, mentre continua il via vai di clienti, tra cui una coppia di marito e moglie che, non potendo permettersi di pagare un medico affermato, si rivolgono alla farmacia di turno per indagare un presunto malessere della signora, visitata di malavoglia da Teodoro. Per ultimo arriva Gregorio, portinaio del palazzo di fronte, che lamenta un fortissimo mal di denti. Saverio lo porta nel retro della farmacia per estrarre il dente malato. 

Mentre Gregorio si riprende dal dolore, Teodoro fa per andarsene e quando prende le cartine che sono sul bancone pensando che siano quelle di arsenico, il farmacista si accorge che contengono aspirina.

SAVERIO: [...] E st'aspirina pe' cchi l'aggio fatto?
TEODORO: Pe' chella giovine che vuie avite ditto ch'era 'a cammarera d' 'a mugliera vosta... Nun se l'è venuto a piglià ancora...
SAVERIO:  No, nun se l'è venuto a piglià ancora... 'e cartine vostre forse nun l'aggio fatte ancora... me sarraggio distratto!

Non appena Teodoro esce dalla farmacia però, arriva il brigadiere accompagnato da due guardie che  invitano Saverio a seguirli in questura. L'uomo è sorpeso e chiede il motivo dell'arresto, forse sua moglie è morta?

BRIGADIERE: Che d'è, mo 'o ssaie ch'he fatte... L'hanno purtata 'o spitale, nun se sape niente ancora. Mo s' 'a spicce cu' 'o cummissario, tanto già ha confessato...

L'atto si chiude con Gregorio che esce dal retro della farmacia e, trovandosi chiuso dentro, chiama inutilmente don Saverio. 

Rispetto alla stesura originale, scritta probabilmente per una compagnia molto numerosa, nel corso degli anni diversi personaggi sono stati eliminati, altri hanno subìto delle modifiche. Secondo alcuni la commedia viene rappresentata dalla compagnia di Vincenzo Scarpetta già nel 1921, secondo altri invece debutta nella stagione 1930-31 al teatro Nuovo di Napoli con la piccola compagnia autonoma "Ribalta Gaia" che i tre fratelli avevano formato nel 1930 all'interno della compagnia di rivista Molinari, che aveva sede in quel teatro e nella quale entreranno a far parte stabilmente proprio nella stagione 1930-31. Verrà poi ripresa, sempre a Napoli, nel 1932 al Teatro Kursaal e nel 1933 al Sannazzaro.


Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. I, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni pari, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)


giovedì 10 marzo 2011

C'è pernacchio e pernacchio




Tratto dall'omonimo libro di Giuseppe Marotta, L'oro di Napoli è un film a episodi del 1954, con la regia di Vittorio De Sica e la sceneggiatura di Cesare Zavattini, Giuseppe Marotta e dello stesso De Sica.
Eduardo è protagonista dell'episodio «Il Professore», tratto dai racconti Il professore e Lo sberleffo, ed interpreta il personaggio di don Ersilio Miccio. A lui si rivolgono gli abitanti del vicolo per chiedere consigli sui piccoli problemi della vita quotidiana. Don Ersilio dispensa la sua saggezza e offre il rimedio sicuro per fronteggiare l'arroganza del duca Alfonso Maria di Sant'Agata dei Fornari che spadroneggia nel rione.
Un pernacchio eseguito a regola d'arte.