martedì 25 giugno 2013

Filosoficamente

Eduardo, Titina e Peppino negli anni Trenta
Filosoficamente è un atto unico scritto da Eduardo nel 1928 e che può essere considerato tra le sue opere minori. Pur essendo incluso nelle edizioni a stampa delle sue commedie, nella Cantata dei giorni pari, sembrerebbe non essere mai stato portato in scena.

Si tratta di una breve storia dal sapore agrodolce, con alcuni spunti comici che però non prevalgono sul tono dimesso che caratterizza l'intera situazione. La scena si svolge sulla terrazza di un'abitazione piccolo borghese. Gaetano Piscopo è un modesto impiegato, vedovo e con due figlie da sistemare. La sua maggior preoccupazione non consiste tanto nel dover far quadrare i conti per tirare avanti decorosamente, quanto nel sentirsi costretto a «mantenere come meglio può le apparenze», come si conviene alle persone del suo ceto sociale. Per cercare di accasare in maniera dignitosa le sue figlie Maria e Margherita, organizza delle piccole festicciole in terrazza a cui partecipano pochi amici. Per non sfigurare e per offrire agli ospiti un rinfresco appena decente, Gaetano si trova a dover contrattare con le ragazze sulla cifra da "investire":

MARGHERITA: [...] Maria ha detto che voi non volete far toccare più di quindici lire, e che ce accattiamo? Siamo più di dieci persone. Se vogliamo offrire solamente le pizze, pure bisogna farle fare di due lire l'una, mo quelle di una lira le fanno tantelle; e un frutto ce lo volete dare? Quello Arturo ha mandato tre fiaschi di vino e una guantiera di paste di Caflisch che ce le possiamo buttare per la faccia, noi poi ce ne usciamo con quidici lire... Se poi ci dobbiamo far dire che siamo pirchi di dietro...
GAETANO: insomma, quanto ce vo' pe' fa' stu ricevimento al signor Arturo?
MARGHERITA: Voi è inutile che fate caricature, perché così succede che chiunque si presenta con qualche intenzione... dopo il secondo giorno se ne scappa, e noi restiamo per la vetrina. Ci vogliono per lo meno una quarantina di lire per comprare pure i frutti.
GAETANO: Pigliateve 'e quaranta lire e nun m'affliggete... Accussì mettimmo ll'uoglio 'a copp' 'o peretto.

Tra gli invitati vi sono Arturo e Vincenzino, il primo completamente cieco ed il secondo molto miope. Nonostante le rispettive menomazioni i due sono ragazzi allegri che giungono ad animare la riunione nella quale, prima del loro arrivo, la conversazione languiva.  Le chiacchiere dei presenti disturbano il sonno di Salvatore, un vicino che fa l'operaio e deve andare a letto presto per recarsi a lavorare nel cuore della notte. Il poveretto viene anche sbeffeggiato dai ragazzi divenendo vittima di uno scherzo organizzato a sue spese.
Arturo e Vincenzino aspirano a sposare le due figlie di Gaetano e nel corso della festa si dichiarano alle ragazze. La scena si conclude con il doppio fidanzamento, prontamente accettato da Gaetano che acconsente immediatamente alle richieste dei due giovani poiché, come è andato ripetendo dall'inizio, «chelle s'hann'a mmaretà». I promessi sposi, del resto, consapevoli di essere dei modesti partiti, vedono nelle due sorelle, che non portano nulla in dote, una possibilità di avere accanto una moglie che si prenda amorevolmente cura di loro.

L'atto unico dunque non sembra essere mai stato messo in scena anche se il titolo compare in un programma della "De Filippo - Comica Compagnia Napoletana d'Arte Moderna" collocabile a cavallo tra la fine degli anni Venti e l'inizio dei Trenta. In quel periodo Eduardo ed i suoi fratelli lavorano in diverse formazioni, a più riprese nella compagnia di Vincenzo Scarpetta, in quella di rivista di Molinari, all'interno della quale i tre De Filippo danno vita alla formazione "Ribalta Gaia", fino a costituire una propria compagnia, il "Teatro Umoristico di Eduardo con Titina e Peppino" che negli anni li renderà famosi  in tutta Italia. Filosoficamente non sembra tuttavia un testo che potesse adattarsi agli spettacoli ed alle compagnie per le quali Eduardo si trovò a lavorare ed a scrivere. È possibile comunque individuare dei temi e delle situazioni che verranno poi riprese in altri suoi lavori, come ad esempio l'ambientazione sulla terrazza, luogo in cui si svolgerà l'atto unico del 1932 Gennareniello, o il personaggio del cieco che ritroveremo in Occhiali neri del 1945 o ancora il tema dei sogni e dei morti che appaiono in sogno, ripresi innanzitutto nel 1940 in  Non ti pago.

Rimane traccia di una rielaborazione dell'atto unico, dal titolo Le sue piccole mani, realizzato da Eduardo per uno spettacolo del 1943. Questo progetto, intitolato ...e così spero di sentire di te, era probabilmente destinato ai soldati impegnati nella guerra d'Africa e composto da vari pezzi scritti tra gli altri da Orio Vergani, Armando Curcio, Achille Campanile ed Eduardo. Il filo conduttore dello spettacolo doveva essere quello della guerra, non tanto quella combattuta, bensì dal punto di vista dei giovani che, compiuto il proprio dovere, attendono meritatamente di tornare ai propri affetti, mettendo quindi in secondo piano il volto più crudele del conflitto ed esaltando il valore morale dei soldati. In questa versione Eduardo elimina quasi tutti i personaggi di contorno e le situazioni più comiche mentre il personaggio di Arturo viene presentato come un reduce che ha perso la vista combattendo e che, nonostante questo, non rinuncia a farsi una vita riuscendo anche a conquistare Margherita. Anche  questo spettacolo comunque non sembra essere mai stato messo in scena.

Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, vol. I, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi, (I Meridiani, Mondadori)
Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni pari, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)


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