venerdì 7 ottobre 2011

Ditegli sempre di sì

Ditegli sempre di sì è una commedia in due atti, scritta da Eduardo nel 1925 per la compagnia di Vincenzo Scarpetta. Rispetto alla stesura originale subì numerose modifiche, a partire dal titolo che in origine era Chill'è pazzo!. Il tema centrale e piuttosto ricorrente è quello della pazzia, presente anche ne Il medico dei pazzi di Eduardo Scarpetta, ed affrontata dallo stesso Eduardo in Uomo e galantuomo. Se però in quest'ultimo testo la pazzia del protagonista viene simulata per sfuggire a situazioni scomode e imbarazzanti, in Ditegli sempre di sì, al contrario,  il protagonista è davvero malato di mente e, poiché questa condizione è stata tenuta nascosta, le sue stranezze saranno la causa di equivoci e situazioni imbarazzanti.

Originariamente protagonista era Felice Sciosciammocca, la "maschera senza maschera" creata da Scarpetta padre, si svolgeva in tre atti ed erano presenti un gran numero di personaggi che, intorno alla trama centrale, davano vita ad una serie di intrecci secondari, costruiti secondo gli schemi della pochade. Luigi Strada, giovane studente spiantato, poeta e attore dilettante, è un personaggio derivato dalla tradizione comica napoletana e che nella commedia di Eduardo rappresenta una sorta di alter ego del protagonista. Lui è, al contrario di Felice, un savio scambiato per folle. Mentre il primo è incapace di cogliere le astrazioni del linguaggio e quindi prende alla lettera qualunque cosa venga detta, Luigi è immerso in un suo mondo di fantasia che lo tiene lontano da quello reale.

Quando negli anni '30 la commedia fu portata in scena dalla compagnia "Il Teatro Umoristico i De Filippo", Eduardo rivide il testo, adattandolo alle esigenze della nuova formazione; ridusse il  numero dei personaggi, snellì notevolmente l'intreccio e, da un copione che risale all'epoca delle rappresentazioni dei tre fratelli, è possibile desumere come molte situazioni fossero lasciate intenzionalmente all'improvvisazione degli attori, in particolare di Peppino. In questo passaggio la commedia perse le caratteristiche che la riconducevano al genere della pochade per rientrare nel genere della commedia umoristica. Il personaggio principale non è più Sciosciammocca, sostituito da Michele Murri, vengono meno le situazioni macchiettistiche e farsesche mentre il carattere dei personaggi è maggiormente approfondito.

Michele fa ritorno a casa, dove vive con la sorella Teresa, dopo un periodo trascorso in manicomio. La donna, durante la sua assenza, ha affittato la stanza di Michele a Luigi Strada. Ha inoltre raccontato che durante questo periodo suo fratello è stato in viaggio per motivi di lavoro. Nell'incontrare amici e conoscenti Michele cerca di risolvere a modo suo quelle che, nella sua follia, considera come stranezze ed i suoi maggiori scontri avverranno soprattutto con Luigi, da lui considerato il vero pazzo. La fissazione di Michele è quella di far corrispondere alle parole il loro significato letterale ed il suo leit-motiv è «c'è la parola adatta, perché non la dobbiamo usare?».

MICHELE: [...] Qua l'amico ha passato nu guaio.
LUIGI: Che guaio?
MICHELE: Ha rubato trentamila lire.
ETTORE: Rubato, mo… che c'entra? Mi sono servito dei depositi dei miei clienti.
MICHELE: Ma 'e solde erano d' 'e tuoie?
ETTORE: No…
MICHELE: E allora li hai rubati. C'è la parola adatta, perché non la dobbiamo usare?

Nel secondo atto Michele viene invitato nella casa di villeggiatura di un amico insieme ad altri conoscenti. Qui, oltre ad una esibizione di Luigi Strada, che si servirà di Michele per avere l'occasione di recitare una sua poesia in presenza della ragazza di cui è innamorato, si svolgerà un imbarazzante incontro tra Vincenzo, il padrone di casa, ed il fratello Attilio con cui è in urto da anni. Michele infatti, avendo sentito dire a Vincenzo che solo da morto avrebbe potuto riappacificarsi con lui, ha fatto giungere a questi un telegramma che comunicava il decesso di Vincenzo. Dopo la consegna di una corona funebre arriva Attilio e, superato un primo momento di sconcerto, i due effettivamente faranno pace. Michele intanto, perseverando nella sua convinzione che Luigi sia pazzo, arriva a terrorizzarlo impugnando un coltello e minacciandolo di tagliargli la testa poiché è proprio lì che risiede il suo male. Giungerà in tempo Teresa a salvarlo ed a svelare a tutti che il vero pazzo è Michele.

Quando registrò la commedia per la televisione, nel 1962, dopo diversi anni in cui non fu più rappresentata (a seguito della separazione dei fratelli, essendo troppo legata alle loro interpretazioni, soprattutto a quella di Peppino nei panni di Luigi Strada), Eduardo adottò questo finale con l'intento di accentuare maggiormente lo scontro tra i due personaggi. Nella versione precedente infatti i due semplicemente venivano quasi alle mani, accusandosi a vicenda di essere pazzi.

A proposito dell'interpretazione di Eduardo nella versione televisiva, Anna Barsotti scrive:

«[...] per realizzare l'effetto scenico della "pazzia" nelle riprese della commedia, Eduardo sceglieva una via di mezzo fra la mimesi naturalistica e la caricatura. Infatti l'attore non doveva soltanto far ridere (caricatura) ma contemporaneamente far riflettere (si tratta di pazzia vera); quindi per conseguire il suo solito rapporto di distacco-partecipazione (quasi una corrente alternata) fra personaggio e pubblico, che è anche un rapporto di distacco-partecipazione fra l'attore e il personaggio, egli si limitava ad accentuare il suo procedimento mimico e gestuale caratteristico, quello che consentiva l'effetto di "primo piano": inserire su un "viso mobile" (connotato da continui passaggi di espressione) alcune espressioni "fisse" (caratteristiche della maschera). Eduardo accentuava la fissità mimica della maschera, grazie allo sguardo e alla piega delle labbra: gli occhi diventavano a un tratto truci (sotto il sopracciglio alzato), ruotando magari […]; la bocca si fissava in una smorfia. Quando voleva mimare il ritorno alla "normalità": occhi ilari e sorriso disarmato. La frequenza di questa alternanza […] aumentava man mano che aumentano i segni della follia nel personaggio con la maggiore durata della maschera della pazzia».




La commedia fu messa in scena nella stagione 1927-28 dalla Compagnia di Vincenzo Scarpetta; nella stagione 1932-33 e fino al 1945 dalla Compagnia Il Teatro Umoristico, interpreti i tre fratelli. Dopo la rottura tra Eduardo e Peppino fu messa nuovamente in scena a distanza di dieci anni dalla Compagnia Il Teatro di Eduardo. Nella versione televisiva del 1962 Regina Bianchi fu l'interprete di Teresa. Nel 1982 Eduardo ne curò la regia per la Compagnia di Luca De Filippo.


Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. I, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni pari, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)

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