lunedì 31 ottobre 2011

Apparente naturalezza


«Credo che nel ricordare Eduardo si debba cominciare dall'attore: era, delle sue tre "persone" (il drammaturgo, il regista, l'interprete), quella che egli, senz'altro, prediligeva. Eduardo è stato un attore di straordinaria penetrazione critica e, paradossalmente, di una estrema sobrietà e apparente naturalezza. Il personaggio lo studiava "standogli addosso": l'espressione era sua e credo che nelle sue intenzioni equivalesse alla marcatura stretta del giocatore di foot-ball sull'avversario: qua un gesto captato al volo, là un'intonazione, in un lavorio fitto fitto di mimesi del "grande assente" (ancora un'espressione che gli era cara) che poteva durare settimane e settimane: un giocare a rimpiattino col ruolo, che aveva qualcosa di furbesco e straziante a un tempo, una partita di dare e avere che sembrava non dovesse saldarsi mai, col bruciore delle ferite non pienamente rimarginate. Nascevano, da questi sordi, dolorosi testa a testa col personaggio, quelle interpretazioni di ammirevole misura, percorse da pause stupendamente espressive (i leggendari "silenzi"), da un sussurro soffocato, da un borbottio tra la tenerezza e il dispetto. Le vedevi germinare, come per prodigio, in proscenio (ricordo ancora la sua ultima, Ciampa del Berretto a sonagli), ti sembrava che tutto fosse facile, naturale per l'appunto: "Ma la naturalezza, a teatro, non esiste, caro amico, ve la dovete proprio levare dalla testa", mi disse dinanzi ad un folto pubblico, due anni fa, a Perugia, e sembrava che nella voce gli si fosse innestata una vena d'eroico furore, una rabbia propriamente etica, esistenziale».

(Guido Davico Bonino, La Stampa, 2 novembre 1984)

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