sabato 21 novembre 2009

Primi piani per Filumena

L'altro ieri sera sono andata a teatro, all'Argentina di Roma, a vedere Filumena Marturano nell'interpretazione di Lina Sastri e Luca De Filippo, con la regia di Francesco Rosi e le scene di Enrico Job. Si tratta di una ripresa, lo spettacolo aveva debuttato la scorsa stagione, terzo capitolo di una sorta di trilogia nella quale Luca De Filippo e Francesco Rosi hanno affrontato tre capolavori scritti da Eduardo nel dopoguerra: Napoli Milionaria, Le voci di dentro e Filumena Marturano.
Ancora non riesco a perdonarmi di aver perso le prime due nelle scorse stagioni (ho passato qualche anno un po' pesantuccio…) e così, per rimediare, questa Filumena l'ho vista sia lo scorso anno che, appunto, adesso.
Sono state due esperienze molto diverse. La prima volta sono andata con mio marito, che non è proprio un appassionato del genere ma in questi casi mi accompagna tutto sommato volentieri. In quella occasione ho assistito alla rappresentazione quasi trattenendo il fiato, con una forte partecipazione emotiva, i monologhi di Filumena che scandiscono i tre atti mi hanno commosso.
La seconda volta sono andata da sola. Avevo dei posti magnifici in terza fila, quindi praticamente ero in scena…

Buio, si apre il sipario e ancora nel buio inizia la tirata di Domenico Soriano e quel suo «Pazzo, pazzo, pazzo, non una ma cento volte, mille volte pazzo!» dà inizio al match tra lui e Filumena.
Ho messo a fuoco quello che la prima volta non avevo notato. Nella commedia i protagonisti si affrontano come due pugili, due lottatori, a suon di parole. I monologhi, e non solo quelli di Filumena, ammaliano lo spettatore. Ecco, in questa messa in scena secondo me il regista ha voluto dare particolare risalto a questi momenti topici bloccando sullo sfondo i personaggi in scena che non parlano.
Durante lo sfogo iniziale di Domenico, Rosalia e Alfredo sono praticamente due sentinelle di guardia alle spalle dei protagonisti e la stessa Filumena si muove pochissimo. Quando poi tocca a lei dire la sua, è Domenico a rimanere fermo, con le mani in tasca, nell'angolo in cui rimane praticamente durante l'intero atto. La scena si movimenta con l'ingresso dei camerieri che portano la cena e poi con l'arrivo della figliola che ha fatto avutà a capa a Domenico.
Stessa cosa accade nel secondo atto quando, alla presenza di Domenico, dell'avvocato, dei tre ragazzi e di Rosalia, Filumena rivela ai suoi figli di essere la loro madre. Durante il lungo monologo tutti i personaggi restano immobili nelle loro posizioni. In questa scena l'effetto è forse amplificato perché i personaggi presenti sono di più rispetto al primo atto. Ugualmente nel terzo atto, quando Domenico chiede a Filumena la carità, chiede di sapere quale sia suo figlio, mentre l'uno parla l'altra quasi non si muove e viceversa.
Questa scelta del regista fa sì che naturalmente l'attenzione dello spettatore sia rivolta completamente alle parole della protagonista, ottenendo quasi l'effetto cinematografico del "primo piano" che rende la rappresentazione particolarmente suggestiva.
Lina Sastri è bravissima, il suo «nun giurà», il suo «e chi sì tu per impedirmi di dire ai figli miei ca me so' ffigli» sono delle stilettate. È bellissima nel terzo atto quando fa il suo ingresso trionfale vestita da sposa, è struggente nella scena finale quando, seduta sulla poltrona, finalmente, per la prima volta nella sua vita, riesce a piangere con Domenico inginocchiato ai suoi piedi che le dice «hai ragione, hai ragione tu...».
Luca de Filippo è anche lui notevole in questa interpretazione, passando dalla rabbia e dalla protervia del primo atto alla trasformazione totale nel terzo, quando cerca di capire da piccoli indizi quale possa essere suo figlio, quando supplica Filumena di rivelarglielo, quando infine si commuove sentendosi chiamare, in extremis e inaspettatamente, "papà" dai tre ragazzi. Nel finale è un uomo che ha trovato la pace e una collocazione definitiva nel mondo.

Applausi a non finire. 

A margine di questo, qualche considerazione sul pubblico che assiste alla rappresentazione delle commedie di Eduardo. È quasi una costante, ogni volta si trova quello che, durante l'intervallo, appena si accendono le luci, dice: «Certo, lui è bravo, ma suo padre era tutta un'altra cosa»; quello che dice:«Ma hai visto che è identico a suo padre?»; quello che racconta al vicino di poltrona aneddoti vari sulla vita e sull'opera di Eduardo. Poi ci sono quelli che durante la rappresentazione devono commentare con esclamazioni i punti salienti dei dialoghi, che ridono anche nei momenti in cui non c'è da ridere o che anticipano al vicino la battuta che sta per essere pronunciata. Non so se questo accada sempre a teatro, non sono una frequentatrice così assidua.
L'altra sera però avrei preso a borsettate la signora che sedeva nella fila davanti alla mia: è stata capace di ridere (e aveva una risata decisamente rumorosa) nei momenti più inopportuni; c'è da ridere, ad esempio, quando Filumena dice «uno 'e chilli tre è figlio a te»? O quando Domenico chiede chi sia suo figlio e lei risponde «eh no, questo nun t'o dico ». Io forse esagero in senso opposto e piango ogni volta che sento la battuta «i figli non si pagano», ma questa era veramente irritante…

La serata poi si è conclusa direi proprio in bellezza. All'uscita ho sentito che qualcuno chiedeva alle maschere della sala se era possibile raggiungere gli attori in camerino. Seguendo le indicazioni che molto gentilmente hanno dato, mi sono avviata. Devo ammettere che c'è stata una buona dose di premeditazione da parte mia… prima di uscire da casa avevo messo in borsa la mia preziosa copia de "'O Canisto". Quando il gruppetto a cui mi ero accodata è arrivato ai camerini, passando per l'ingresso di servizio del teatro, Luca De Filippo stava uscendo dal suo camerino. Mi sono messa pazientemente in fila. Quando ho avuto l'opportunità di rivolgergli la parola, dopo i complimenti scontati gli ho fatto vedere il libro che avevo con me e soprattutto la dedica di suo padre che lo impreziosisce. Si è incuriosito subito, mi ha detto che gli sembrava di ricordare che questo signore a cui era rivolta la dedica doveva essere forse un direttore dell'Ansa. Me lo ha autografato anche lui, in ultima pagina «così non glielo rovino» ha detto… Mi è immediatamente tornato in mente il punto di arrivo e il punto di partenza di cui parlava Eduardo: Luca è stato sicuramente il suo più riuscito punto di partenza.
Bene, a questo punto abbiamo percorso i (fortunatamente) lunghi corridoi che portano fuori ed ho approfittato per chiedergli come mai, secondo lui, c'è gente che ride di fronte ad un testo come Filumena (la signora della seconda fila non l'ho proprio digerita….). Lui ha detto che in fondo Filumena è una commedia, non un dramma e che comunque ognuno la vive in maniera del tutto personale.
Arrivati fuori stretta di mano, arrivederci, grazie ancora, complimenti.
Molto gentile, molto disponibile, grande.


Sullo stesso argomento:
La voce di Titina
Lacrime come acqua pura sulla ghiaia
7 novembre 1946. Filumena Marturano

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