sabato 16 gennaio 2010

16 gennaio 1955. Mia famiglia

Mia famiglia fu scritta nel 1955 ma già nel 1950 Eduardo aveva iniziato ad elaborare una traccia del lavoro, più che altro informazioni riguardanti l'ambientazione e le caratteristiche dei vari personaggi.
Nel 1954 Eduardo inaugura il teatro san Ferdinando dopo che, per poterne finanziare la ricostruzione, per un paio d'anni si era dedicato esclusivamente al cinema. Qui verranno rappresentate per lo più commedie della tradizione teatrale napoletana. Questa scelta non entusiasmerà particolarmente il pubblico che preferiva le sue commedie. Per questo Eduardo, avendo bisogno di un nuovo lavoro da rappresentare, riprese in mano l'abbozzo di Mia famiglia che portò a termine nel giro di qualche settimana.
La commedia fu rappresentata dalla compagnia Il Teatro di Eduardo in anteprima nazionale al Teatro Morlacchi di Perugia il 16 gennaio 1955 mentre la prima fu due giorni dopo a Roma, al Teatro Eliseo.
Il tema della commedia è il conflitto generazionale, la disgregazione della famiglia, l'emancipazione femminile; contrasti che non si realizzano tanto attraverso lo scontro diretto ma piuttosto sono espressi da una mancanza di comunicazione che arriva alla indifferenza reciproca. Alberto Stigliano è uno speaker radiofonico, padre di Beppe che, aiutato da Guidone, suo amico omosessuale, vuole trovare fama e ricchezza nel mondo del cinema  e di Rosaria, giovane ribelle ed emancipata, fidanzata con Corrado. La moglie Elena è una donna che ha smesso di occuparsi della famiglie e passa la maggior parte del suo tempo a giocare a carte. Fa parte della famiglia anche Arturo, fratello di Alberto e militare in pensione. All'inizio della commedia si nota subito che la casa, seppure di tenore benestante, è quasi in uno stato di abbandono. Alberto si rende conto della situazione in cui versa la sua famiglia ma assiste in maniera passiva ai comportamenti provocatori dei suoi figli e dei loro amici. La sua reazione ci sarà quando sua moglie viene accusata da due amiche di non aver pagato un grosso debito di gioco. A questo punto Alberto smette di parlare, si rifugia in un silenzio che verrà scambiato per un malessere fisico. Questa reazione servirà a sbloccare la situazione familiare. Elena infatti dovrà darsi da fare per sostenere economicamente la famiglia (essendo Alberto uno speaker…) e nel secondo atto si noterà subito un miglioramento nella casa, in cui è stato attrezzato un laboratorio di sartoria. In questa apparente ritrovata tranquillità arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia che Beppe, nel frattempo recatosi in Francia per inseguire i suoi sogni di gloria, è ricercato dalla polizia perché sospettato di aver ucciso il suo pigmalione. È fuggito da Parigi ed ora si è tornato a nascondersi a casa. Nella concitazione del momento, tutti restano sorpresi quando Alberto "ritrova" la voce e chiama la polizia per far venire a prendere suo figlio.
Nel terzo atto è passato un anno, Beppe ha potuto dimostrare la sua innocenza, l'attività di Elena sembra procedere a gonfie vele. Alberto ha lasciato la casa e vive con un'altra donna, dell'esistenza della quale sia la moglie che i suoi figli erano a conoscenza. In casa Stigliano insieme ad Elena, Alberto e suo fratello ci sono i genitori di Corrado, venuti da Benevento per assistere (di nascosto) al matrimonio del figlio con Rosaria. Corrado infatti ha vietato loro di partecipare alla funzione. Arriva però in lacrime la neosposa che viene "riconsegnata" nelle mani di Alberto da Corrado il quale ammette di non essere poi così moderno come credeva. Rosaria chiede di restare sola con suo padre, al quale confessa che la sua spregiudicatezza era soltanto un atteggiamento per poter essere accettata dai suoi coetanei. Durante questo dialogo tra padre e figlia Alberto prenderà coscienza degli errori commessi.

ALBERTO: […] Poveri figli! Tu capisci in quale situazione si trovano i giovani di oggi… Se vulevano bene, e se mettevano scuorno 'e s' 'o ddicere. E noi, forse, con il nostro atteggiamento ostile, li abbiamo disorientati ancora di più. Non bisogna confondere momenti con momenti e fatti con fatti. La confusione c'è stata per loro e pure per noi. Ma questo non ci deve far credere ch se n'è caduto 'o munno.

La commedia si conclude con Elena che chiede a suo marito di tornare a casa. Alberto non accetta né rifiuta. Eduardo dichiarò che «Questa commedia non è completa perché la nostra epoca non è completa: è un periodo di transizione, di doloroso e disorientante trapasso».

L'accoglienza del pubblico è buona, anche se fu apprezzata più che altro l'interpretazione dell'intera compagnia. I critici non apprezzarono particolarmente la svolta seria di Eduardo a scapito della comicità. Viene inoltre criticata la tematica del conflitto generazionale identificando le posizioni piuttosto conservatrici del protagonista con quelle dell'autore. Eduardo arriverà a difendere la commedia sulle pagine di un settimanale:

«La commedia è in realtà soltanto un dialogo, un lungo dialogo a più voci. La rappresentazione di uno stato d'animo non deve essere necessariamente un spiegazione. Mia famiglia è il tentativo di un discorso diretto, della rappresentazione di un mondo, quello dei giovani che hanno perso la fiducia e insieme una nuova visione del mondo degli adulti anch'essi posti per la prima volta di fronte al dubbio se i concetti tradizionali della loro esistenza rappresentino o meno il giusto e il vero: ho tentato una volta tanto di rappresentare un'atmosfera, di dare un quadro di vita più che inventare situazioni teatrali di sicuro effetto».

La commedia comunque fu ripresa soltanto nella stagione 1955-56 e fu registrata per la televisione nel 1964.

Bibliografia
Cantata dei giorni dispari, vol. II, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)
Eduardo De Filippo - Teatro, vol. II, a cura di Nicola De Blasi e Paola Quarenghi (I Meridiani - Mondadori)


1 commento:

  1. Ricordo che, la prima volta che ho visto quest'opera, restai colpita dal ritratto certamente negativo che, ad un primo e superficiale esame, mi parve Eduardo volesse rappresentare trattando, oltre ad altri, un tema scottante e delicato in quest'opera: quello dei gay, o omosessuali, rappresentati nella fattispecie qui dal personaggio di Guidone; cosa che gli costa oggi altre e ben diverse critiche, come si può immaginare, forse non sbagliate.
    Volevo però dire, anche se parlo semplicemente da "spettatrice", quello che mi venne in mente in un secondo momento, spezzando, nel mio piccolo, una possibile lancia a favore di Eduardo con queste mie riflessioni: in primo luogo, se Guidone non fosse gay, credo che tutti, anche oggi, potremmo concordare che sia un personaggio negativo, allora è giusto vederlo come tale, perché senz'altro, pur avendo gli omosessuali avuto nella storia spesso il ruolo di vittime, di discriminati, di ghettizzati, essere omosessuali non è in sé una prova di rettitudine morale, e certamente persone più o meno belle o corrette vi sono anche fra di loro.
    Poi ho pensato, giacché il pensiero dell'autore è disseminato nell'intera sua opera, ma non è niente affatto detto che una sua più esaustiva rivelazione sia affidata al protagonista o al ruolo che egli rappresenta, che forse Eduardo, attraverso uno dei monologhi del secondo atto, volesse mettere in guardia proprio gli omosessuali, dicendo loro "Ragazzi, mettetevi bene in testa che voi, oggi, siete solo diventati una tendenza, una moda, quindi la considerazione che avete ottenuto è ben lontana dal comprendere anche quella dei vostri diritti e di una giusta considerazione umana." Basti pensare allo scambio di battute fra Corrado e Beppe, il figlio, amico di Guidone, quando questi torna sconvolto.
    (Corrado) "Beppe, parliamoci chiaro: fu proprio Serené che, per interessamento di Guidone, ti fece avere il contratto"
    (Beppe) "E che vuoi dire?! "
    (Corrado) "Beppe, come si fa a dirlo? Certe cose si sottintendono"
    (Beppe) "Io non avevo il dovere di conoscere le... le idee particolari di Serené! E poi, con me, si è comportato sempre da perfetto genitluomo"
    (Corrado) "Però l'equivoco correva..."
    (Beppe) "E se avesse osato, sia pure con una semplice allusione, ti giuro che io..."
    (Corrado) "Che lo avresti ucciso!"
    (Beppe) "Sì!"
    (Corrado) "E infatti il delitto è stato commesso"

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